La disinformazione genera mostri

Qualcuno di voi mi ha chiesto di verificare quanto ci sia di vero nel racconto che l’avvocato di Luca Traini fa del suo ingresso in carcere.

Mi ferma la gente a Macerata per darmi messaggi di solidarietà nei confronti di Luca. E’ allarmante ma ci dà la misura di quello che sta succedendo

L’intervista all’avvocato a me fa rabbrividire, ma sono anni che qui su BUTAC cerchiamo di mettere in evidenza che la disinformazione fatta parlando alle pance degli italiani aveva dei rischi.

Rischi grossi.

Rischi che anche oggi vengono dai più minimizzati. La disinformazione genera mostri, convinti di agire per il bene dei propri concittadini, e che invece stanno operando nella maniera peggiore.

Gli estremismi attirano altri estremismi, e la politica lo sa benissimo. Un gesto come quello di Traini ispira altri, da tutte le parti. Sia quelli che la pensano come il pistolero maceratese sia quelli che si sentono minacciati da quel gesto.

Due piccioni con una fava,

perché al politico che soffre di xenofobia va benissimo che l’immigrato si radicalizzi, più diventa a sua volta estremista più è facile che scoppi il casino. Difficile sarebbe fare campagna elettorale se tutti gli immigrati lavorassero in fabbrica e avessero uno stile di vita identico a quello dell’italianissima famiglia del Mulino Bianco. Invece più sono disoccupati, sporchi e incavolati più fanno comodo a chi su di loro organizza campagne elettorali. Ma non sono qui a parlare di immigrati. No, quest’editoriale, l’ennesimo, è per evidenziare ancora una volta una certa disattenzione da parte dei giornali sulla distinzione tra Fake News e fake news. Le prime sono quelle che possono davvero cambiare una scelta di voto, le seconde sono per i pigri del web, quelli che comunque condividono la qualunque.

A seguito di un’indagine Doxa La Stampa titola:

Le fake news rischiano di condizionare il voto: tre italiani su dieci ci credono

Tre su dieci?

Purtroppo continuando a non spiegare agli italiani cosa siano le Fake News, facendo esempi seri di quelle che per davvero sono notizie a cui stare attenti, fa fare alla Doxa lo stesso errore che avevano fatto quelli del Reuters Institute for Journalist di Oxford.

Tre persone su dieci, spiega Doxa, credono a notizie false anche se sono state palesemente certificate come tali. È il caso, ad esempio, della finta sorella di Laura Boldrini che gestirebbe centinaia di cooperative che assistono immigrati. Un falso certificato, ma il 30% degli intervistati lo crede ancora vero. Stessa sorte per la bufala sulla bambina musulmana di 8 anni data in sposa a un 35enne a Padova: la finta notizia era circolata nel novembre del 2017, diventando subito virale. E ancora oggi il 63% degli intervistati la crede vera.

Non sono quelle, entrambi uscite solo sui social network, le vere notizie false che potremmo definire Fake News (con la maiuscola). D’altronde sono notizie per l’appunto da social network, non storie approfondite con fonti verificabili.

Le notizie false che andrebbero evitate sono tutte le altre, quelle che quotidianamente leggiamo sui giornali, quelle che servono proprio a farci percepire la realtà come la vuole l’editore.

Dal braccialetto di Amazon per controllare i dipendenti, in cui sono cadute tutte le testate italiane e la stragrande maggioranza dei politici, agli Stati Uniti che si preparano alla guerra richiamando centocinquantamila riservisti. Per non parlare del siluro nucleare russo arma più potente di tutti i tempi, di cui l’unica traccia che esiste (e che solletica Donald Duck al punto da volere creare altre armi per contrastarlo) è un fotogramma tratto da una trasmissione televisiva russa di due anni fa.

La Stampa ci racconta:

Dal test risulta che in media oltre il 40% delle persone non riconosce notizie inventate e già smascherate. Secondo l’80% degli intervistati le fake news condizionano l’opinione pubblica, mentre solo l’1,4% ritiene che non abbiano alcun tipo di influenza.

Sarei curioso, quanti dei lettori dei media tradizionali hanno creduto alla storia del braccialetto controlla-dipendenti? E quanti ancora ci credono anche dopo che la storia è stata smentita? E lo stesso avviene con tantissimi casi di cronaca malfatta.

Io capisco benissimo che difficilmente troveremo giornalisti e editori disposti ad ammettere questo, credo che siano ben consci dei casini che hanno creato (e che in tanti casi stanno continuando a creare) ma che non possano spiegarlo al lettore. Ci vorrebbe molta onestà intellettuale per ammettere di essere la principale causa della disinformazione nel nostro Paese. Quante cavolate sono state scritte sull’Unione Europea, quante testate usano termini come diktat, imposizioni, scordandosi sistematicamente che siamo tra i fondatori di quell’Unione, e che abbiamo anche noi voce in capitolo nel Parlamento europeo, basterebbe che ci presentassimo un po’ più spesso.

Onestà intellettuale cercasi

È difficile nominare una testata che agisca secondo vera onestà intellettuale nel nostro Paese, tutti sono legati a logiche di mercato o favori condizionati. La ricerca del tutto subito, dei tanti lettori anche se per poco, è diventata la base del nuovo giornalismo, e sembra che a nessuno importi niente. Vedete io li capisco, è difficile cambiare, la crisi colpisce duro. Lo dico da imprenditore in un settore morente rispetto a trent’anni fa. Ma se ti occupi di notizie, se hai scelto nella vita di raccontare agli altri cosa succede là fuori devi fermarti a riflettere, capire se ne vale la pena. Lo so, con la verità non si fanno soldi, qualsiasi cosa pensiate di BUTAC noi sappiamo che BUTAC ne è l’esempio lampante.

Così davvero non va, e se non lo capite ora lo capirete poi, perché la disinformazione genera mostri, che per un po’ magari si radicalizzano in rete, ma prima o poi escono allo scoperto anche fuori.

maicolengel at butac punto it

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