L’acciaio inossidabile di mille anni fa…

Elia Marin ci spiega perché non è corretto definirlo inossidabile

Partiamo dal principio, nel 2020 Focus ci diceva:

Storia: Questo è acciaio inossidabile di mille anni fa

La vera storia dell’acciaio inossidabile: non è stato inventato tra il XIX e il XX secolo, come abbiamo sempre creduto, ma in realtà era stato già ottenuto da antichi armaioli persiani attorno all’anno 1000.

Articolo che è stato recentemente rilanciato più volte sui social, dalle pagine più disparate. Per chi non ha tempo o voglia di leggersi quanto segue, il riassunto è che non solo il titolo, ma anche buona parte dei contenuti di questo articolo sono completamente errati e che Focus farebbe bene a correggere il tiro, come già hanno fatto altre testate internazionali che avevano inizialmente riportato la notizia in modo simile.

Come faccio a dirlo?

Beh, anche se oggi mi occupo di biomateriali, di formazione sono un ingegnere meccanico, il mio dottorato è in Ingegneria metallurgica e ho lavorato per otto anni fianco a fianco con uno dei migliori metallurgisti d’Italia. Ovviamente però questo non basta: c’è della scienza dietro e ve la voglio spiegare nel modo più semplice possibile.

Vi siete mai chiesti quando l’uomo ha iniziato a produrre acciaio?

La risposta è facile: durante l’Età del Ferro, ovvero attorno al 1200 BCE. Facile ma probabilmente errata: sappiamo oggi che in realtà la metallurgia del ferro risale forse al 2000 BCE. E no, non è stato prodotto sia ferro che acciaio, è stato prodotto sempre e solo acciaio. Dal punto di vista applicativo, il ferro non è mai esistito: è un po’ come quando i fisici dicono che qualcosa funziona solo nel vuoto e in assenza di attrito, un’astrazione inapplicabile alla vita quotidiana, una semplificazione. Questo perché basta pochissimo carbonio nel ferro perché questo si possa definire “acciaio”, e per molti secoli non abbiamo avuto la tecnologia necessaria a produrre del vero “ferro”, ma solo vari tipi di acciaio.

E sapete a quando risale il primo manufatto in acciaio?

Al 3000 BCE. Sì, il primo oggetto in acciaio mai prodotto è antecedente alla metallurgia del ferro.

Ma facciamo un passetto indietro. Quasi tutti i metalli sono disponibili in natura sotto forma di composti: ossidi e sulfuri se siamo fortunati, cose molto più complesse nei casi peggiori. Pochi elementi, tra cui l’oro, fanno eccezione e si trovano in natura già in forma metallica, motivo per cui la metallurgia dell’oro è di molto più antica di quella del ferro. Lo stato ossidato è quello più energeticamente favorevole alla maggior parte degli elementi, e quindi quello più stabile. “Ridurre” un ossido (togliendogli l’ossigeno, in parole molto povere) richiede energia. Molta energia. Soprattutto in questo cacchio di pianeta blu ossido-centrico. Così ricavare in ferro da ferrite (Fe2O3), magnetite (Fe3O4) o altri minerali ferrosi richiede uno sforzo tecnologico notevole.

Ma ecco che ci viene in aiuto lo spazio.

spora evroniana

Sì, perché il 5% circa dei meteoriti, trascurando quelli che si sono rivelati uova aliene o relitti di astronavi, sono composti da ferro metallico (in lega con nickel). Ed è molto più facile sbattere la nostra testa dura contro un pezzo di meteorite fino a dargli la forma voluta che ottenere lo stesso metallo partendo da minerali. Insomma, il ferro era già lì, bello disponibile come metallo, lavorabile con relativa facilità, molto prima che riuscissimo ad estrarlo dalle rocce. Mi rendo conto che sto divagando, ma fidatevi, è tutto utile a capire con esattezza di cosa stiamo parlando.

Ora torniamo al nostro articolo:

Secondo Alipur, l’ingrediente segreto sarebbe proprio la cromite, un minerale molto ricco in cromo, che veniva aggiunto alla lega di acciaio durante la fusione.

L’autore del testo ripreso da Focus quindi riporta che il “segreto” di questo acciaio inossidabile persiano era la cromite. La cromite è uno spinello contenente Cr2O3 in grande quantità. Niente battute su spinelli e giornalisti, per favore. [Beh fosse stata la redazione del Fatto Quotidiano sarebbe stato come sparare sulla croce rossa dai ndmaicolengel]

Ora, la cromia (Cr2O3) è una brutta brutta bestia. Non dal punto di vista estetico, visto che è l’ingrediente che dona il colore rosso ai rubini, ma dal punto di vista tecnologico: fonde a temperature assurde ed è molto dura. Andiamo un secondo a Sheffield, Inghilterra, a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Woods e Clark inventano l’acciaio inossidabile, partendo prima da una lega con il 35% di cromo e successivamente arrivando ad un 15% circa (ulteriormente evoluto in 12%). Negli acciai inossidabili il cromo (non la cromia, cromo semplice, senza ossigeno) è disperso in modo omogeneo nella matrice di ferro e questi due elementi, più altri come nickel, molibdeno e manganese, formano una fase unica*, che a seconda dei casi può essere austenite o ferrite (anche martensite, ma per carità non andiamo ad infognarci in questi tecnicismi). Perché sia inossidabile, un acciaio deve avere in genere almeno il 12% di cromo. Ma non cromo a casaccio, cromo ben disperso nella matrice di ferro.
Purtroppo al cromo stare nella matrice non piace e se trova l’occasione (carbonio o ossigeno) ecco che forma una particella dura di cromia (Cr2O3) o carburo di cromo (Cr23C6, sì, quello è un 23 non un typo). Ci vuole un sacco di lavoro e attenzione per tenere il cromo lontano da questi elementacci schifosi.

Ma come funziona un acciaio inossidabile?

La sua “pelle” è in realtà una sottilissima pellicola di ossido misto in cui il cromo gioca un ruolo fondamentale. Contrariamente alla ruggine del ferro (che sempre ossido è) questa pellicola è così stabile che non progredisce nel tempo, rimanendo sempre di spessore nanometrico. Così sottile che in realtà non la vediamo affatto. Così mentre il ferro viene “mangiato” continuamente dal suo ossido nativo, la pellicola di ossido di cromo (misto) protegge tutto il materiale sottostante. Il nostro mitico acciaio persiano, però, ha un contenuto di cromo molto basso (1-2%) e un contenuto di carbonio piuttosto alto, condizioni che sono antitetiche all’inossidabilità.

Non solo: non esistendo all’epoca un modo per estrarre il cromo dalla cromia, l’acciaio persiano è in realtà composto da due fasi distinte: una matrice di acciaio all’interno nella quale sono disperse particelle dure di ossido di cromo. Non una fase sola con il cromo omogeneamente distribuito nel ferro come negli inossidabili.

Gli effetti?

Un notevole aumento della durezza. Usiamo infatti lo stesso “trucco” al giorno d’oggi per gli acciai così detti “per utensili”: sono rinforzati da particelle dure di carburi (idealmente anche nitruri, boruri e ossidi).

Ed ecco che arriviamo al busillis: quello persiano è un acciaio “per utensili” (tool steel) o “al crogiuolo” (crucible steel) o ancora più in generale “al cromo”, rinforzato (indurito) da una dispersione di particelle dure di cromia nella matrice. Ed è con uno di questi termini che hanno corretto titoli e contenuti molte altre riviste che avevano inizialmente parlato di inossidabile.

Una grandiosa scoperta comunque, ma di natura completamente diversa.

NOTA: *esistono gli acciai inossidabili duplex, che contengono due fasi. Si tratta però di due fasi “ferrose”, non di fasi “dure” ceramiche come sono ossidi e carburi. E comunque se sapete cos’è un acciaio duplex probabilmente non avete bisogno di spiegoni in merito.

Elia Marin

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