Calenda, Di Maio, Bechis e Mercatone Uno

Tanti sul web in questi ultimi 4 giorni hanno accusato Carlo Calenda di essere “l’artefice” della chiusura di Mercatone Uno.

Credo che su questa storia vada fatta un po’ di chiarezza, tanto le elezioni ci sono già state non potete accusarmi di voler portare l’acqua al mulino del PD.

La storia è venuta fuori perché lo steso Calenda ha pubblicato uno status su Twitter in cui rimproverava a Di Maio di non aver vigilato a sufficienza su quanto stava accadendo.

Uno rompe il silenzio elettorale, l’altro non si accorge di un fallimento che lascia per strada 1.800 persone. Sono i due vicepremier, nessuno dei due ha mai lavorato, nessuno dei due ha capito come si lavora o come ci si comporta nelle istituzioni.

Una prima cosa va detta, Salvini non ha “rotto il silenzio elettorale”, la propaganda elettorale in rete è un vuoto legislativo da anni, e questo vuoto lo sfruttano tutti, accusarlo di aver violato qualcosa di non scritto è un errore.

Sull’affaire Mercatone Uno (è da lì che arrivano le 1800 persone lasciate per strada) invece vanno spese due parole in più. Franco Bechis, ex direttore di Libero ha risposto così a Calenda:

Ricordo che l’autorizzazione alla vendita di Mercatone Uno a questi “solidi” campioni con finanziaria alle spalle falliti in un anno esatto, è stata comunicata dal Mise il 18 maggio 2018. Il ministro in carica era Carlo Calenda per cui oggi il silenzio sarebbe d’oro.

A Bechis Calenda risponde con l’ennesimo tweet (ormai la politica in Italia la si fa solo sui social, mi pare).

L’autorizzazione è ststa data dopo 4 gare deserte. Alternativa sarebbe stata la chiusura. La vendita è stata perfezionata ad agosto. La società avrebbe dovuto fare operazioni di rafforzamento del capitale. Non ho rimproverato a Di Maio la scelta ma la mancanza di vigilanza.

Quanto sostiene Calenda è corretto?

Vediamolo insieme. Nel 2015 Mercatone Uno viene commissariato, sul Resto del Carlino il suo fondatore e proprietario spiegava:

Carlino: Cenni, se potesse cambiare qualcosa del passato, lo farebbe?

«Indubbiamente. Costruirei per il Mercatone un struttura più importante. La mia non lo era. C’ero io, poi bravissimi ragazzi nei negozi. Ma non dirigenti. Sono cinque anni che non vado più a lavorare, per malattia. Ho lasciato l’azienda in mano ad altri… È andato tutto distrutto».

Carlino: C’è chi le recrimina di non aver ‘alleggerito’ la struttura, che bisognava lasciare a casa dei dipendenti.

«Bisognava non aver bisogno, ecco. Non è semplice lasciare a casa la gente. Da povero montanaro nato in collina, a 10 chilometri dal centro di Imola, con le candele in casa, ero riuscito a dare lavoro a 6mila persone. Il Mercatone doveva restare lì per quei lavoratori che hanno mutui, comprato casa, messo su famiglia. Allora sì che avrei fatto un capolavoro».

Quindi il proprietario del marchio non accusava il governo dell’epoca di alcunché, spiegava con tristezza di come le cose andassero male sia per colpa della sua malattia sia per colpa della sua incapacità di licenziare dipendenti (la seconda è detta tra le righe, ma si capisce bene).

I bandi

Il 17 giugno 2016 esce il primo bando per l’azienda, il Sole 24 Ore riportava:

Di fatto una società operativamente sana, dopo un anno di amministrazione straordinaria che ha riportato in ordine i conti e rilanciato le prospettive di sviluppo, tra rimodulazione dell’assortimento (più arredo e meno prodotti generi, più qualità a prezzi competitivi) e ristrutturazione dei negozi.
«Abbiamo preso in mano l’azienda il 6 aprile 2015 con 42 punti vendita attivi, oggi sono 59 e nei prossimi mesi ne riapriremo altri due nel Napoletano. Il fatturato passerà quest’anno dai 347 milioni del 2015 a circa 400 e il piano industriale triennale, fin qui pienamente rispettato, prevede di arrivare a 530 milioni nel 2017», spiega Vincenzo Tassinari, uno dei tre commissari (assieme a Ermanno Sgaravato e Stefano Coen) che ha traghettato fuori dal baratro il gruppo fondato nel ’78 a Imola da Romano Cenni.

Sempre Il Sole nel gennaio del 2017 ci raccontava della proroga del bando, spiegando che:

La proroga è necessaria per poter procedere con un secondo bando per la cessione dell’azienda che prevede condizioni di vendita maggiormente flessibili e coerenti con le indicazioni arrivate dal mercato, dopo il flop del primo bando, andato deserto, per la vendita dell’intero compendio aziendale.

…Le offerte che avranno la corsia preferenziale restano quelle che comprendono l’intero perimetro dei 78 punti vendita esistenti e dei dipendenti in forza al momento della cessione. Ma verranno prese in considerazione anche offerte di acquisto per i soli negozi già operativi, e quindi non per tutto il compendio, e in subordine per asset aziendali.

Anche il secondo bando porta a niente, e a luglio 2017 ne arriva un terzo, ancora più flessibile di prima:

…i Commissari

AVVISANO

chiunque ne abbia interesse di essere stati autorizzati ad avviare una fase di negoziazione per l’acquisto dell’intero o parte del Perimetro di Vendita a trattativa privata, invitando tutti soggetti interessati a prendere contatto con la Procedura secondo le modalità pubblicate sul sito www.mercatoneunoamministrazionestraordinaria.it. I Commissari si riservano di pubblicare successivamente il regolamento contenente i termini e le modalità di presentazione di offerte d’acquisto…

Nel frattempo Romano Cenni era morto a marzo dello stesso anno. Qui potete trovare anche l’ultimo bando di gara. 

Nessuno lo vuole comperare

Quindi è vero che i bandi andarono deserti o con offerti non conformi; il governo, con i suoi commissari, aveva fatto il possibile durante l’anno di amministrazione straordinaria. I conti erano in ordine con prospettive di crescita.

Per coloro che ancora non hanno colto il punto: dopo un anno di amministrazione straordinaria l’azienda andava ceduta per risanare i debiti contratti dalla società. Quei debiti sono con società terze, fornitori di servizi, tutte quelle persone che quando poi vanno alle Iene ci lamentiamo che lo Stato non ha aiutato. Questo era l’aiuto statale: prendere l’azienda, rimetterla in sesto e cercare un acquirente interessato. Lo si è fatto per due anni senza successo. La scelta del governo di fronte a un’offerta che rispettava i criteri del bando di gara dopo così tanti buchi nell’acqua era obbligata.

Come siano andate le cose purtroppo è noto, sicuramente i due anni di chiusura (con sporadiche riaperture delle strutture ancora utilizzabili e produttive) non hanno giovato ai conti in ordine del 2016.

La vendita alla Shernon Holding

Ad agosto 2018 comunque l’azienda viene finalmente venduta alla Shernon Holding S.r.l., che secondo quanto raccontavano i redazionali sui giornali aveva presentato grandi progetti di rilancio del marchio. Gli accordi con la Shernon sono cominciati con Calenda Ministro, ma come riportavano i quotidiani sono stati finalizzati ad agosto. Il nuovo governo era già in carica.

Mercatone Uno: al via rilancio con la nuova proprietà
„A traghettare l’azienda nel nuovo corso è Shernon Holding S.r.l., società che lo scorso 9 agosto ha acquisito i 55 punti vendita a marchio Mercatone Uno dislocati in tutta Italia, unitamente alla sede direzionale di Imola e alla piattaforma logistica situata a San Giorgio di Piano (BO).“

Le cose sono poi andate come abbiamo visto, ma la gestione della Shernon è stata fatta tutta sotto l’attuale Ministro, è il MiSE in carica che doveva, nel caso, vigilare. Bechis accusando Calenda di responsabilità di quanto è avvenuto ai lavoratori di Mercatone Uno sta spacciando disinformazione. Purtroppo come ben sappiamo il fronte propagandistico che condivide quella disinformazione è troppo ampio e potente da combattere solo coi blog come BUTAC. Sarebbe davvero ora di vedere altri attori in campo.

EDIT: a tutto questo devo aggiungere una cosa che mi era sfuggita, negli accordi fatti a suo tempo col precedente governo era stata anche prevista una clausola di salvaguardia, che, secondo quanto riporta lo stesso Carlo Calenda, può riportare la società in Amministrazione Straordinaria, salvaguardando così i lavoratori.

maicolengel at butac punto it
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