Cronaca di una morte annunciata

Non so se accada solo a me, ma certe volte, leggendo un articolo di cronaca, mi immedesimo in uno dei protagonisti, in modo quasi del tutto involontario. Mi capita più facilmente se il fatto coinvolge un mio collega, un medico che, come me, lavora in area critica. Ecco, mi è successo di nuovo, ed in modo non poco sgradevole. È un vero e proprio incubo, che mi tormenta la notte. Mi sembra di essere di guardia, quando, arriva una chiamata dal pronto soccorso. Voce concitata dell’infermiera, poche parole rotte dall’urgenza. “Bambino, quattro anni, morto”. Corro giù dalle scale, che nel mio sonno agitato assomigliano a quelle dell’ospedale dove lavoravo. Poi, sul lettino troppo grande per lui, il bambino. Piccolo. Troppo piccolo per avere quattro anni. Magro. Emaciato. Livido. Senza nemmeno rendermene conto lo tocco. È gelato. Pupille dilatate, malgrado la luce vivida della lampada scialitica. Non ha nemmeno senso cercare i segni vitali. Si legge già un ECG piatto come una tavola. Morto. Morto. Morto. Poi, come spinta dalla rabbia, afferro il laringoscopio e espongo le corde vocali. Nemmeno un sussulto. Il tubo scivola giù senza ostacoli. Solita storia. Controllo la posizione. Corretta. Si cuffia e poi, via, con ossigeno al 100%. E massaggio cardiaco. Adrenalina nel tubo. Niente. Niente. Niente. Non riparte. Morto.

A quel punto mi sveglio e capisco di avere sognato.

Ma purtroppo il fatto è tragicamente vero. A Lecce (sei anni fa) è toccato ai miei colleghi constatare il decesso di un bimbo di quattro anni. Alto un metro. Peso, 12 kg scarsi. Un uccellino. Avrebbe dovuto pesare tra i 16 e i 20 kg. Pieno di croste e di ematomi. I capelli diradati e scoloriti. Il pancino gonfio, mentre le gambe e le braccia sembrano stecchini. Uno dei medici presenti lo paragona ai bimbi africani, devastati dalla malnutrizione. Ora che le speranze sono cadute, si cerca di capire meglio cosa sia successo. Esplode, a questo punto, l’orrore: il padre del piccolo è un collega. Si chiama Marcello Monsellato ed è il presidente e fondatore di AMOS, associazione medicina omeosinergetica. Coerente fino in fondo con la sua concezione della medicina, ha sempre curato il piccolo usando i suoi metodi. E adesso, proviamo a capire come funziona, si fa per dire, questo sistema di lavoro. Non è facile, per niente.

Occorre fare uno sforzo per entrare nella mentalità di questo medico, che ha creato una sua metodologia tutta diversa da quella tradizionale. Ha largamente attinto alle teorie di Rijk Gerd Hamer, un ex medico tedesco (è stato radiato) che ha collezionato condanne nei più svariati Paesi europei. Hamer, e con lui Monsellato, rifiutano tutti i presidi terapeutici noti. Proclamano entrambi che non esistono malattie, ma solo “benattie”. I tumori maligni sono solo l’espressione di conflitti, se si risolve il conflitto il tumore guarisce. Una loro fedele seguace, tale Germana Durando, prima pretende di curare con l’omeopatia una bambina che poi, subito dopo, muore per una meningite batterica. Evita la condanna grazie alla prescrizione, ma lei insiste e tratta allo stesso modo un melanoma maligno. La paziente muore e il fratello della defunta (medico) denuncia la maldestra terapeuta, che viene rinviata a giudizio. Anche Gabriella Mereu, quella famosa per il rito della medaglietta sacra, prima introdotta in vagina e poi seppellita, nonché per gli insulti “terapeutici” è molto vicina al famigerato Hamer. Insomma, un qualunque normale cittadino liquiderebbe subito il problema concludendo, forse non a torto, che sono solo “una gabbia di matti”. Purtroppo, però, questi signori circolano a piede libero e praticano la professione medica. I risultati possiamo comprenderli meglio leggendo il referto autoptico del piccolo Luca Monsellato. I genitori di Luca sono accusati di omicidio colposo, “per non avere prestato le cure adeguate, in presenza di un perdurante, grave e preoccupante, quadro patologico”, ovvero per aver cercato di guarire il bambino con quelle medicine omeopatiche che si sarebbero poi rivelate inefficaci. Come causa della morte viene individuata una “polmonite interstiziale e batterica, complicata ulteriormente da sovrainfezione da miceti patogeni”, ovvero da quella che i genitori hanno indicato essere una semplice dermatite e che aveva segnato il corpicino con ecchimosi e croste. “Si trattava di un bimbo con marcato deficit ponderale e quadro di grave malnutrizione”, del quale non sono riusciti a datare l’inizio, specificando che “tale condizione ha certamente rappresentato un fattore concausale favorente l’insorgenza e l’evoluzione infausta del quadro infettivo responsabile del decesso”.

Lo stato di debilitazione in cui Luca viveva avrebbe fatto degenerare la polmonite, che probabilmente non è stata neppure curata tempestivamente. “A maggio caldeggiai il ricovero in una struttura ospedaliera dopo aver conosciuto l’esito degli esami che avevo prescritto”, ha spiegato la dottoressa Silvia Giannuzzo, in servizio nel centro di Terapia intensiva neonatale dell’ospedale Vito Fazzi di Lecce, rispondendo alle domande del Pubblico ministero. “Quegli esami non mi furono mai portati in visione dai genitori, ne venni a conoscenza contattando il biologo del laboratorio. Ritenni di far sottoporre il bambino a degli accertamenti perché aveva un aspetto pallido, astemico e sofferente. Rifiutava di assumere cibo solido. I genitori non mi sembravano propensi al ricovero: mi dissero che la situazione era sotto controllo, che avrebbero provveduto loro. Non ne seppi più nulla. Se quegli esami rivelarono anomalie? Sì. Soprattutto per l’azotemia e le proteine totali. Ma anche l’emoglobina era un valore da valutare. Il calcio ed il fosforo bassi meritavano approfondimenti”.

Ecco. Ecco come si muore a quattro anni nella civilissima Italia. Vorrei chiarire che Luca ha impiegato un bel po’ si tempo a morire. Ed è morto soffocato. Perché una broncopolmonite invada così ampiamente il tessuto alveolare ci vuole tempo. Tempo e anche assenza di terapia. L’aspergillosi, poi, è tipica dei soggetti gravemente debilitati: malati oncologici, affetti da AIDS, pazienti terminali in genere. Non te l’aspetti in un bimbo di quattro anni. Ma, se è per questo, non ti aspetti nemmeno le croste e gli ematomi. Nemmeno la denutrizione, la grave carenza di proteine e di altri principi nutritivi essenziali. Ora vi lascio liberi di giudicare. Intanto i signori Monsellato continuano a insegnare i loro metodi terapeutici e, per non farsi mancare di nulla, si dedicano a balli, cene ricreative, brindisi, viaggi di piacere. Essendo persone socievoli pubblicano lietamente sul loro profilo FB le belle foto che li ritraggono sorridenti, mentre si baciano, posano davanti ai monumenti, ridono felici, si godono la bella vita. Già. La vita.

Quella che il loro figlio non godrà mai più.

Morto a quattro anni per le cause documentate nell’autopsia.

Annalisa Neviani