Come sono fatte le Pringles

PRINGLES-MERCOLA-FUCINA

Questo articoletto de La Fucina mi ha fatto sorridere, in quanto la fonte della storiella è il “caro” Joseph Mercola. Per chi non lo conoscesse, è il guru degli antivaccinisti americani, Lup. Man. Gr.Fi.d.Putt. Ladr. di Gran Croc. dell’ordine dei fuffari e protagonista di un piccolo meme, che avevamo tradotto dall’inglese giusto una manciata di giorni fa:
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La Fucina ci racconta:

Tutti i consumatori di Pringles si aspettano di mangiare delle vere e proprie patatine, ma pochi sanno che solo il 42% del contenuto di queste chips è fatto di patate. In un articolo dal titolo “La sconvolgente storia di come sono fatte le Pringles” il dottor Joseph Mercola spiega che “per capire la natura delle Pringles e di altre patatine impilabili bisogna dimenticare il concetto che sono fatte da vere patate. Pringles Company (nel tentativo di evitare di pagare le tasse sui cibi di lusso come le patatine nel Regno Unito) una volta ha persino argomentato che il contenuto di patate nelle loro chips è talmente basso che tecnicamente non possono neanche essere chiamate patatine. Quindi se non sono fatte di patate di cosa sono fatte?
Gli ingredienti sono: patate disidratate, olio vegetale, grasso vegetale, farina di riso, amido di frumento, maltodestrina, emulsionante: E471, sale.

Premetto che non sono qui a difendere le Pringles, tutt’altro! Sono dell’idea che tutto quanto sia confezionato e ricco di grassi, sia da assumere con moderazione. Si tratta di prodotti da mangiare una volta ogni tanto, non quotidianamente; una patatina ogni tanto non ha mai ammazzato nessuno, ma MODERAZIONE è la parolina magica. Le Pringles, a differenza delle patatine a cui eravamo abituati, sono ben diverse: non sono vere patatine, ma snack a base di patata a cui si aggiungono altri ingredienti. Esistono in svariate versioni e oggi sono vendute in tutto il mondo.

Dopo averci mostrato la lista degli ingredienti, Mercola ci fa una “rivelazione”: nelle patatine fritte c’è il rischio che si trovi l’acrillamide, un composto che si viene a formare durante la frittura se si va OLTRE IL PUNTO DI FUMO. Tutto corretto, tutto giusto… ma Mercola non ci spiega che non è detto che si formi sempre, visto che in teoria non si dovrebbe andare oltre il punto di fumo dell’olio. E credo che un’azienda grossa come la Kellog’s, proprietaria del marchio Pringles dal 2012, stia attenta ad evitare il rischio sprechi. Ci saranno anche sistemi di controllo efficienti per far si che non venga mai superato il suddetto punto. Ma andiamo oltre.
L’acrillamide potenzialmente si trova non solo nelle Pringles, ma in qualsiasi frittura cotta oltre il suddetto punto, visto che:

A livello di tossicologia alimentare viene prodotta, al pari dell’acroleina anche a seguito della disidratazione del glicerolo, frutto dell’idrolisi dei grassi, reazione che si presenta durante la frittura oltre il punto di fumo dell’olio utilizzato, seguita dalla sua interazione con composti azotati contenuti nei cibi tramite una serie di reazioni comprendenti una serie complessa di fenomeni, della serie compresa nelle reazioni di Maillard che avviene a seguito dell’interazione con la cottura, principalmente di zuccheri e proteine.

Oltretutto, pur essendo riconosciuta la tossicità, ad oggi non è chiaro se il consumo della stessa sostanza negli alimenti abbia o meno effetti cancerogeni sull’organismo umano.
Quindi tirando le conclusioni:

  • le Pringles non sono paragonabili alle patatine fritte a cui siamo abituati,
  • all’interno delle Pringles può formarsi l’acrillamide
  • la stessa sostanza si può trovare in tutte le altre fritture, sia di produzione industriale sia di produzione propria. L

Le fritture hanno sempre quel tipo di rischio. Non sono un cibo sano, vanno inserite in un’ottica di consumo MODERATO e bisognerebbe sempre stare attenti a non superare il punto di fumo dell’olio utilizzato.
Attaccare solo una determinata marca è idiota e tipicamente complottaro. Mercola ci ha abituato a questi giochini e La Fucina ne è suo degno compare. Fossi la Kellog’s, farei causa alla Casaleggio associati, proprietaria del marchio La Fucina. Passare notizie di un noto fuffaro come Mercola non fa altro che rinforzare l’idea per la quale tutta la testata della Casaleggio sia un covo antivaccinista complottaro.
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