Con la Renzi-Boschi, Sicilia e Sardegna senza senatori

AGGIORNAMENTO con CORREZIONI – 8 novembre 2016

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Ancora di riforma si parla, manca meno di un mese al voto e le fazioni si combattono con tutte le armi possibili. Il nostro Neil pochi giorni fa ci ha spiegato della differenza tra Unione e Comunità europea, oggi vediamo la storia che vuole che con la vittoria del Sì Sicilia e Sardegna restino senza senatori.

È vero che gli statuti delle due regioni italiane non prevedono la possibilità del doppio incarico; ad esempio quello della regione Sicilia, l’art. 3, comma 7, dice:

“L’ufficio di Deputato regionale è incompatibile con quello di membro di una delle Camere, di un Consiglio regionale ovvero del Parlamento europeo”

Ma la stessa Riforma prevede che il Senato resti in carica fino a fine mandato, come spiega il Corriere:

Il 5 dicembre, anche in caso di vittoria del Sì, gli attuali senatori resteranno in carica. Fino allo scioglimento delle Camere. La riforma entrerebbe in vigore dalla prossima legislatura. Con quali tempi? Dopo l’elezione della Camera, entro dieci giorni dalla prima riunione dei deputati, si dovrà costituire anche il Senato. In attesa della legge sopra citata, saranno le assemblee regionali a scegliere chi mandare a Palazzo Madama, con metodo proporzionale. L’unica volta in cui il Senato sarà eletto in un’unica soluzione.

Nel caso delle regioni a statuto speciale è previsto (dall’art. 39 comma 12 tra le disposizioni transitorie) invece che:

12. Le leggi delle Regioni adottate ai sensi dell’articolo 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, nel testo vigente fino alla data di entrata in vigore della presente legge costituzionale, continuano ad applicarsi fino alla data di entrata in vigore delle leggi adottate ai sensi dell’articolo 117, secondo e terzo comma, della Costituzione, come modificato dall’articolo 31 della presente legge costituzionale.

Le regioni hanno l’obbligo di  dovranno adeguarsi, e quindi modificare i loro statuti in conformità con la Costituzione. Come in ogni caso in cui statuti regionali, provinciali o comunali vadano in contrasto con le norme emanate dallo Stato.  Come cita l’art.123 della Costituzione:

Ciascuna Regione ha uno statuto che, in armonia con la Costituzione, ne determina la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento.

Ma non è tutto così semplice evidentemente. Il deputato Pili in Sardegna pone così il problema come ci riporta l’ANSA:

Nel nuovo ipotetico Senato non ci saranno i senatori sardi. La clausola di incompatibilità con il mandato parlamentare è una norma costituzionale contenuta nello Statuto sardo e per rimuoverla serve una procedura costituzionale che durerà non meno di un anno. Un cavallo di Troia che farà scattare l’applicazione della riforma e quindi la cancellazione della Specialità autonomistica della Sardegna”. Lo denuncia il deputato di Unidos Mauro Pili che ha presentato un’interrogazione urgente al presidente del Consiglio e ha anche trasmesso l’atto al Capo dello Stato e al presidente della Corte Costituzionale.
Secondo Pili c’è di più: “L’adeguamento della carta autonomistica farà scattare la revisione su tutto il titolo IV e V e le norme sull’accentramento delle competenze allo Stato – dice – si tratta di un fatto grave emerso ieri sera al Senato con la conferma da parte della relatrice della norma che ha parlato di 5 cinque leggi costituzionali per consentire alle Regioni speciali di essere rappresentate“.

Quindi vediamo di riassumere, ci sono cinque Regioni italiane con statuto speciale, che hanno nello statuto un articolo che vieta ai membri del Consiglio di fare parte di una delle Camere; secondo il deputato Pili il percorso per arrivare alla riforma dello statuto è lungo, e questo rischia di lasciare la Regione senza rappresentanza in Senato. Ma come spiega lo stesso Pili, mi pare di capire che una relatrice in Senato abbia già confermato che ci siano cinque leggi costituzionali pronte per consentire alle cinque Regioni a statuto speciale di essere rappresentate. Cinque leggi che verranno votate e discusse se passerà il sì, e votate dallo stesso sistema attuale, con il Senato che conosciamo.

Pili è preoccupato che possano così fare decadere la specialità autonomistica della sua regione, nel caso sardo, da profano, leggendo lo statuto è chiaro che per consentire i senatori basti la modifica dell’art.17, ad esempio così:

Art. 17

È elettore ed eleggibile al Consiglio regionale chi è iscritto nelle liste elettorali della Regione. L’ufficio di consigliere regionale è incompatibile con quello di membro di una delle Camere o di un altro Consiglio regionale o di un sindaco di un Comune con popolazione superiore a diecimila abitanti, ovvero di membro del Parlamento europeo .

Perché dovrebbero votare altre modifiche?

Come mi è stato fatto notare dal preciso Massimo (grazie) che cito:

…c’è una ragione di opportunità che spingerà almeno alcune Regioni a non affrontare tali modifiche: la riforma costituzionale, com’è noto, diminuisce le competenze delle regioni, e i nuovi statuti approvati successivamente all’entrata in vigore della nuova Costituzione DOVRANNO “recepire” anche tali nuove (ridotte) competenze, salvo – lunghe – negoziazioni nel caso di quelle Regioni “virtuose” (nuovo art. 116 della Costituzione). Questo, però, ai sensi dell’art. 116 (vigente e riformato) potrà avvenire solo “sulla base di intesa tra lo Stato e la Regione interessata”, cosa che – com’è facile intuire – non avverrà facilmente, e non certo per tutte le Regioni interessate nell’arco di poco più di un anno.

Lascio a voi qualsiasi ulteriore considerazione.

maicolengel at butac punto it

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