I “corsi gender” e la disinformazione giornalistica

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Incarcerati perché i figli “non partecipano ai corsi gender”?

Questo è stato per me un articolo complesso. Si parte da una fonte italiana, Tempi.it, già incappata altre volte in articoli dalla dubbia utilità: si ricordi che i comunicati stampa di Lorenzo Croce hanno avuto risalto tra le loro pagine, pur sapendo perfettamente che si tratta di fuffa al quadrato. Ciò dovrebbe dirla lunga su come non vogliano in alcun modo dare una parvenza di onestà alla professione che spacciano quotidianamente. Controllare le fonti? Cos’è, si mangia?

In una sola notizia, Tempi è capace di sparare una doppietta di racconti gonfiati con un taglio a dir poco scandalistico.

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Germania. «Lo scandalo gigantesco» dei genitori «incarcerati fino a 40 giorni» perché i figli non partecipano ai corsi gender

La storia è quella dei coniugi Martens, che sarebbero stati messi in carcere. Si noti il tono ampiamente patetico, già visto altrove.

La loro unica colpa è di essere padre e madre di una bambina che si è rifiutata di partecipare due volte ai corsi di educazione sessuale previsti per le elementari. L’anno scorso Luise non è stata portata in carcere insieme al marito perché era incinta. Quest’anno, l’ufficiale di polizia non l’ha «prelevata con la forza come dovrei» perché sta ancora allattando l’ultimo figlio.

Il racconto messo così metterebbe i brividi… se non fosse che la storia viene rispiegata poco più in basso – l’importante è attirare l’attenzione.

E si scopre che i genitori non sono stati incarcerati perché “padre e madre” di una “figlia” ribelle. Qualsiasi genitore che tiene a casa il figlio da scuola può venire denunciato dalla scuola, e lo Stato tedesco può sanzionarlo. I coniugi Martens sono membri di un gruppo estremista cattolico, ovvero lo “Organische Christus-Generation”; il gruppo è CONTRARIO al mantenimento dell’educazione sessuale nelle scuole. I due hanno continuato a non mandare la figlia a scuola e alla seconda ora di assenza ingiustificata – in qualsiasi materia – la scuola può denunciare: 100 € + 50 di sanzione. Una multa, nulla di più, ma i Martens hanno scelto di non pagare il totale provando ogni strada possibile, arrivando perfino al medico compiacente che giustificasse i loro figli (ne hanno OTTO!). Una volta scoperto il falso, i coniugi sono stati nuovamente denunciati e lo Stato è intervenuto, obbligando il signor Martens a una giornata di detenzione. Una punizione che sarebbe stata applicata in qualsiasi altro caso e materia da cui un alunno fosse assente ingiustificato. Il carcere, dunque, non è scattato perché “oppositori dell’ideologia gender”: si sono rifiutati di pagare una sanzione applicata a CHIUNQUE usufruisca dell’insegnamento in una scuola PUBBLICA e faccia saltare le lezioni ai figli per futili motivi.

Certo, Tempi spiega il tutto, ma farlo solo ad articolo inoltrato e con un taglio decisamente populistico è squallido. Traspare chiara l’intenzione: fare leva sullo sdegno omofobo di chi vede la cosa come una discriminazione al contrario, radicandosi nelle frange più bigotte del cattolicesimo – e non solo quelle. Si parla solo di una legge che non è stata emanata per “difendere i gender”, ma solo i soldi delle tasse dei cittadini tedeschi nonché il sistema scolastico stesso, per non parlare dell’educazione dei  giovani.

Spiegare tutto senza troppi giri di parole e senza i classici toni apocalittici da moral majority sarebbe stato un segno di maturità giornalistica.

Così non è stato.

Anzi: la notizia non è finita. Insistere è un’arte e seminare zizzania una pratica:

Nella città di Borken, ad esempio, in una classe la lezione ha turbato così tanto i bambini che sei di loro sono svenuti.

I fatti di Borken risalgono a Giugno 2013, ma l’articolo linkato non dice esattamente che siano tutti svenuti: uno è andato in iperventilazione, un altro ha avuto problemi di circolazione; il resto ha avuto un mancamento. L’articolo spiega che il tutto è avvenuto dopo aver dovuto disegnare quello che secondo loro rappresenta gli organi genitali. Non sussiste però alcun collegamento fra le cose, poiché l’articolo illustra che a tutti è stato prelevato il sangue per capire la causa del malore: il dubbio, non espresso, è che si sia trattato di una piccola intossicazione alimentare.

Scrivo “dubbio” perché non sono riuscito a trovare la conclusione dei fatti di Borken, e l’articolo che Tempi linka è un trafiletto di scarsa rilevanza ai fini della mia indagine. Sono però convinto che se fosse stata una polemica seria, la testata avrebbe provveduto a seguire il caso.

Così non è stato.

Perché parlarne ora? Perché riportare lo stesso articolo identico a se stesso su così tante testate? Perché nessuno vuole verificare i fatti e raccontarne la corretta versione?

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Il Giornale

È lecito essere contrari a qualcosa; è inderogabile che tutti possano esprimere il proprio dissenso pacificamente e senz’armi. Al tempo stesso, però, occorre una sana dose di onestà intellettuale. Un aspetto che non dovrebbe venire meno, neppure dal palcoscenico qual è la stampa, che funziona da amplificatore della propria battaglia.

Viviamo in paese dove vive ancora l’assurdo presupposto: “se la cosa è stampata su una testata nazionale, essa è automaticamente vera”. Occorre essere corretti, spiegare tutto nel modo più neutrale possibile, senza ricorrere a sporchi trucchi da ciarlatano. Non farlo è eticamente sbagliato. Il fine di questo becero pseudogiornalismo è fare proseliti senza arte né parte – il che rende tutto ancora più squallido.