I (David) Bowie bonds

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Mentre con la sua improvvisa scomparsa proliferano le leggende su David Bowie, grazie all’approvazione di Sua Eminenza (sta parlando di me nd maicolengel)  ho deciso di spendere due parole in più per chiarire ai nostri lettori una leggenda urbana che non si riferisce ai gusti sessuali del Duca Bianco o alla ragione per cui il suo occhio destro fosse affetto da midriasi permanente, bensì dei Bowie Bonds e della leggenda che vuole che abbiano dato il via alla crisi economica attuale.

I fatti

Cominciamo da quelli che sono fatti di cronaca e che quindi contestualmente sono veri ed innegabili: nel 1997 David Bowie si trovò nella necessità di ottenere subito un grande quantitativo di soldi liquidi per poter ricomprare dal suo ormai ex-manager Tony De Fries il 50% dei diritti d’autore sui suoi album del periodo dal 1972 al 1976 – quelli da Ziggy Stardust fino a Station to Station, per capirci. L’incontro con l’esperto di finanza David Pullman portò alla creazione dei Bowie Bonds, ovvero dei bond emessi in cambio dei diritti d’autore per dieci anni dei 25 album già incisi fino a quel momento dall’autore inglese. Detta così e valutata con i criteri del giorno d’oggi può sembrare una fesseria, ma Pullman veniva da esperienze analoghe con altri artisti fra i quali James Brown e gli Isley Brothers, e negli anni successivi avrebbe proposto analoghe offerte al trio di autori della Motown Holland-Dozier-Holland ed il successo almeno iniziale delle iniziative portò la Goldman Sachs a sondare il terreno per una iniziativa analoga relativa ai diritti d’autore delle canzoni di autori come Bob Dylan e Neil Diamond. Vennero quindi emesse le obbligazioni controllate – ora divenute tragicamente famose grazie a Banca Etruria – relative ed agli investitori venne prospettato un rendimento del 7.9% annuo a dieci anni, persino superiore a quello offerto dai Buoni del Tesoro che all’epoca non andavano oltre un 6.37%. Non troppo inaspettatamente, nel 2004 Moody’s abbassò il rating degli stessi Bowie Bond da A3 a Baa3, giusto un gradino sopra quello dei titoli spazzatura, e tutto l’interesse generato dalla manovra finì nel nulla; questa è la storia, da lì partono le leggende.

Le leggende

Una versione hardcore della leggenda vorrebbe che la Goldman Sachs fosse così immersa nei Bowie Bonds che il loro fallimento avrebbe dato il via al crollo dei mutui subprime che nel 2007 crearono la prima grande crisi economica negli USA dal 1929; l’ipotesi va immediatamente accantonata: in primis perchè ormai i Bowie Bonds erano praticamente senza valore già da tre anni, ed in seconda battuta perchè la Goldman Sachs è stata una delle banche che ha più guadagnato dalla crisi stessa, arrivando a generare profitti fino a 4 miliardi di dollari scommettendo proprio sul crollo dei mutui subprime e su una imminente crisi dei fondi d’ammortamento ad essi correlati.

La versione più soft vuole che quello che ha fatto David Bowie sia stato un tentativo primordiale di quello che poi hanno fatto le grosse banche vendendo buoni collegati ai mutui per garantirsi un profitto indipendentemente dall’andamento degli stessi: l’artista inglese – collegato ai soliti Rotschild, Bilderberg e complottismi assortiti – avrebbe fatto da apripista per scaricare sulle folle i rischi delle operazioni bancarie garantendo alle banche il solo guadagno. L’ipotesi, per quanto affascinante, non regge fondamentalmente per due ragioni: la prima è che il crearsi delle garanzie sui mutui concessi da parte delle banche è una pratica che è iniziata nei primi anni 1970, quando Bowie era un adoratissimo glam rocker piuttosto che un visionario esperto di finanza. L’utilizzo della tecnica di concedere, anche a soggetti che difficilmente potrebbero accedere ai tassi di mercato normali in quanto già rivelatisi cattivi pagatori, carte di credito, prestiti e persino minimutui per l’acquisto dell’automobile ha subito una forte accelerazione nella seconda metà degli anni ’80, quando la carriera dello stesso Bowie era in stasi e non c’erano ancora segni di alcun interesse futuro per i mercati azionari. Inoltre, per quanto possa sembrare incredibile, se non ci fosse stato il crollo di mercato dell’industria discografica, l’emissione dei Bowie Bonds sarebbe stata un colpo incredibile per i fortunati acquirenti, dal momento che fino a quel momento gli incassi della stessa erano stati incredibili e gli album precedenti di Bowie su cui venivano calcolati i diritti d’autore vendevano complessivamente circa un milione di copie all’anno.

La stessa idea in futuro sarebbe stata applicata ai cataloghi di altri artisti – James Brown e gli Iron Maiden, ad esempio – quando ci fu un rinnovato interesse dei mercati finanziari verso la musica dovuto all’introduzione dello streaming illimitato a pagamento come nel caso di Spotify o Tidal. Se Bowie avesse sottoscritto un simile contratto dieci anni prima, ci avrebbe rimesso un sacco di soldi; se l’avesse sottoscritto cinque anni dopo, non avrebbe trovato nessuno disponibile ad investirci un centesimo mentre altri cinque anni dopo gli investitori si sarebbero accalcati davanti alla sua porta.

Spider Jerusalem

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