Il parere di Doshi sui vaccini per COVID-19

Facciamo chiarezza sulle polemiche degli ultimi giorni

In tanti ci state segnalando i molti articoli riportati da alcuni giornali italiani che riguardano i vaccini contro COVID-19 finora sviluppati. Non sto fare un elenco, ma sono davvero tante le testate che hanno ripreso un parere scientifico pubblicato sul British Medical Journal a firma Peter Doshi.

Titoli di questo genere:

Efficacia vaccino Pfizer e Moderna? Tra 19%-29%, non il 95%. Lo dice il BMJ

O ancora:

“L’efficacia tra il 19% e il 29%”. Ecco lo studio che rivede i vaccini

BUTAC, come ben sapete, ha nella squadra il dottor Pietro Arina, attualmente residente a Londra, specializzato in Anestesia e Rianimazione, Terapia intensiva e Terapia del dolore. Il dottor Arina in ospedale si è fatto già una discreta esperienza in ambito COVID-19, ed è anche tra le firme di uno studio per capire se l’uso di marker di infiammazione e di coinvolgimento cardiovascolare possa essere utile per capire se il paziente con COVID-19 severo debba essere intubato o no.

Insieme a lui cerchiamo di fare un po’ di chiarezza su quanto riportato con apprensione e sensazionalismo da svariate testate italiane. Come sempre ricordiamo che BUTAC non è un sito di medicina, quindi cerchiamo di riassumere con concetti il più semplici possibile quanto Peter Doshi ha fatto notare sul blog di BMJ, cioè la parte del sito che raccoglie “commenti e opinioni dalla community internazionale di lettori, autori e editori” del British Medical Journal.

Peter Doshi è un accademico, un professore associato che si occupa di farmacologia da anni. Nello specifico fa parte di un review panel della Cochrane sui farmaci diretti contro la neuroamminidasi del virus dell’influenza, ed è anche associate editor del BMJ stesso. Non siamo di fronte all’ultimo arrivato, sa perfettamente di cosa parla. Doshi ha pubblicato due articoli su BMJ, uno a novembre 2020:

Peter Doshi: Pfizer and Moderna’s “95% effective” vaccines—let’s be cautious and first see the full data

Seguito cinque settimane dopo da questo:

Peter Doshi: Pfizer and Moderna’s “95% effective” vaccines—we need more details and the raw data

Quest’ultimo pubblicato il 4 gennaio 2021. Come vedete i titoli di questi due articoli sono molto simili e per prima cosa abbiamo notato che molti stanno facendo confusione, convinti che si tratti sempre dello stesso articolo risalente a novembre. Ma sbagliano.

L’unica cosa veramente da far notare ai tanti giornalisti italiani che ne han parlato è la parola “studio”, usata da quasi tutti. Quanto pubblicato su BMJ non è uno studio, ma l’opinione – per quanto autorevole – di un accademico – per quanto rispettato. Uno studio analizza dei dati seguendo il metodo scientifico e ne riporta i risultati, qui si stanno esprimendo opinioni sui dati presentati da altri (Pfizer e Moderna), spiegando che li si ritengono insufficienti a dimostrare quanto sostenuto. Con argomentazioni sicuramente condivisibili; ma non si tratta di uno studio.

Il problema che solleva Peter Doshi, quello dell’analisi dei dati forniti dalle casa farmaceutiche, è un problema reale. È vero che tra novembre e fine dicembre sono state presentate quattrocento pagine di studi dai ricercatori che hanno prodotto i vaccini che vengono al momento distribuiti. Ma i dati grezzi non sono ancora disponibili. Questo non è di secondaria importanza, anzi. Parrebbe che molti pazienti abbiano sintomi, ma che il test molecolare PCR risulti negativo. E di conseguenza non vengono considerati COVID positivi. Facendo i dovuti calcoli considerando questo elemento, effettivamente, i valori di efficacia del vaccino cambiano in maniera considerevole. Ma quello che dobbiamo chiederci è perché questi casi siano risultati negativi alla PCR: potrebbero a tutti gli effetti NON essere casi di COVID-19. Come ci dice lo stesso Doshi, infatti, le possibili cause di questi sintomi sono varie (ad esempio le comunissime sindromi parainfluenzali) e quindi non si può escludere che siano causate da altro che non sia il Sars-Cov-2, come suggerito dai test molecolari. Ricordiamoci inoltre che alcuni di questi possono essere falsi negativi (la percentuale di falsi negativi dati dalla PCR è molto inferiore rispetto ai numeri che stiamo osservando).

Enrico Bucci ha cercato di chiarire la questione dei test PCR, che è effettivamente complessa. Il suo post potete trovarlo a questo link, qui ci limitiamo a riportare la sua conclusione (comunque per chi non ha le necessarie competenze è comunque un argomento di difficile comprensione):

Mi pare chiaro, anche dalle sue stesse parole, che egli abbia utilizzato volutamente un caso limite irrealistico ed un argomento paradossale, per richiamare correttamente l’attenzione sul fatto che i dati vanno forniti comunque tutti (anche quelli sui 3410 “sospetti COVID-19”); il che non significa affatto ciò che tanti credono di capire, assumendo due bufale in un colpo solo – che la PCR sia soggetta ad un tasso di falsi negativi di oltre il 90% e che il vaccino Pfizer sia stato autorizzato con un’efficacia inferiore al 50%.

Insomma, Doshi sta dicendo: colleghi, quando intraprendete gli studi di efficacia tenete sempre presente che esistono delle criticità da tenere in considerazione.

La maggiore criticità mossa da Doshi è che purtroppo, dato il carattere di urgenza, gli end point dello studio non permettono di capire chiaramente se il vaccino riduca effettivamente la manifestazione di sindromi con sintomi simili a COVID, e che dovremmo rivalutare l’efficacia del vaccino calcolandola su una eventuale riduzione dei ricoveri ospedalieri, dei ricoveri in terapia intensiva e delle morti collegate. Direi che per fortuna, ancora una volta, la scienza dimostra che non è un dogma, e che i dati vanno sempre interpretati da scienziati con background differenti e indipendenti tra loro, come sta succedendo in questo caso, per andare a evidenziare eventuali criticità e capire come migliorare. Detto questo i dati preliminari di Pfizer, nonostante i limiti, risultano molto promettenti. Il vaccino è ancora l’unica arma su cui possiamo confidare per uscire da questa pandemia, sperando che non si riveli un’arma spuntata. Come ha concluso anche Enrico Bucci nel suo post:

Sono pronto a ricredermi, se i dati dovessero smentirmi; ma, per ora, mi pare che essi puntino in tutt’altra direzione rispetto a certi commenti e blog, pur su riviste prestigiose come BMJ.

Ma tutto questo, come abbiamo notato in svariate altre occasioni in cui si parlava di scienza e medicina su testate generaliste, andrebbe spiegato chiaramente con un linguaggio divulgativo o, in alternativa, bisognerebbe evitare di buttarlo in pasto a lettori che non hanno le competenze per dare il giusto peso alla “notizia”. Spesso invece si spinge sui toni sensazionalistici per attirare click e condivisioni e poi si lascia trattare l’argomento a giornalisti che non hanno capito bene loro per primi che cosa sta succedendo e quali sono i fatti che vale la pena riportare, per non parlare del loro contesto. C’è un motivo se queste tematiche vengono trattate su riviste specialistiche: per trattarle e comprenderle servono competenze specialistiche.

Non è necessario aggiungere altro.

Qui un articolo di Scienza in rete sulle dichiarazioni di Peter Doshi.

Dottor Pietro Arina e redazione di BUTAC

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