Google favorisce Hillary Clinton

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PREMESSA: Quanto segue non può essere una sbufalata, non posso dirvi con certezza come stiano le cose, sappiamo tutti che Google è “padrona del mondo digitale” e che se davvero volesse potrebbe manipolare l’informazione senza grande fatica. Ma gli articoli che circolano sul web in queste ore raccontano la storia in maniera superficiale, senza dare un background sufficiente al lettore per farsi un’idea più precisa sui fatti.

Research Proves Google Manipulates Millions to Favor Clinton

Google piega le ricerche a favore di Hillary Clinton: Uno studio riapre la polemica

Intanto spieghiamo che lo studio ha un anno, e che il suo titolo è questo:

The search engine manipulation effect (SEME) and its possible impact on the outcomes of elections

Lo studio, di un anno fa, è corretto: è dimostrato che i motori di ricerca possano avere un forte impatto sul pubblico del web, anzi, ce l’hanno già anche senza che nessuno all’interno degli uffici di Big G faccia nulla. Basta che chi si occupa della campagna di questo o un altro candidato abbia le competenze necessarie per far apparire il proprio sito primo nei motori di ricerca. Si possono sfruttare tutti i trucchetti che chi ci legge con attenzione conosce bene, dai titoloni acchiappalettore (clickbaiting) alle pagine social non collegate ma che portano comunque visite al sito del candidato, i sistemi per scalare il ranking sui motori di ricerca sono davvero tanti. Ma lo studio non dimostra nulla, se non il fatto che la cosa sia oggettivamente possibile. Se ne parla oggi, a un anno di distanza dalla sua pubblicazione, solo e unicamente perché una testata filo russa, Sputnik News, più vicina al candidato Trump, ha deciso d’intervistare uno degli autori dello studio stesso. Uno che con Google sono anni che ce l’ha a morte.

Chi è il Grande accusatore?

Robert Epstein, che in queste ore ha rilasciato interviste a destra e a manca (ma più a destra mi sa) dove sostiene la sua teoria. Ma chi è Robert Epstein? Riportiamo dalla Wiki in inglese:

Robert Epstein (born June 19, 1953) is an Americanpsychologist, professor, author, and journalist. He earned his Ph.D. in psychology at Harvard University in 1981, was editor in chief of Psychology Today, a visiting scholar at the University of California, San Diego, and the founder and director emeritus of the Cambridge Center for Behavioral Studies in Concord, MA

E perché ce l’ha con Google?

In 2012, Epstein publicly disputed with Google Search over a security warning placed on links to his website.[10] His website, which features mental health screening tests, was blocked for serving malware that could infect visitors to the site. Epstein emailed “Larry Page, Google’s chief executive; David Drummond, Google’s legal counsel; Epstein’s congressman; and journalists from The New York Times, The Washington Post, Wired, and Newsweek.”[10] In it, Epstein threatened legal action if the warning concerning his website was not removed, and denied that any problems with his website existed.[10] Several weeks later, Epstein admitted his website had been hacked, but still criticized Google for tarnishing his name and not helping him find the infection.

In pratica è un bimbo capriccioso. Nel 2012 Google ha inserito un avviso che entrando nel sito di Epstein si rischiava un malware: questo succede in maniera TOTALMENTE AUTOMATICA, non c’è un essere umano che decide, ma si tratta di passaggi automatici che vengono fatti dopo che è stata segnalata la presenza di software potenzialmente pericoloso, può succedere in tutti i siti, anche i più rinomati. Basta che qualche editor pubblicitario inserisca in uno degli script del malware o che il sito venga hackerato. Google non fa altro che avvertire il navigatore curioso, spiegando che il sito può avere problemi. Epstein però era convinto che Google lo stesse di fatto censurando. Quando dopo qualche giorno ci si è resi conto che in realtà la grande G aveva ragione, e il sito era stato hackerato, Epstein invece che chiudere lì la questione ha insistito, lamentandosi che nessuno nella sede di Google si era prodigato per aiutarlo a scovare da dove fosse partita l’infezione.

Come un bimbo capriccioso che si lamenta e piange con la mamma perché lui stesso ha rotto un giocattolo.

Sia chiaro, l’accusa non è mossa solo da Epstein, esistono altri personaggi che sostengono la teoria che Google favoreggi Hillary, peccato non siano “studi” ma video sul tubo, video che fanno solo parziale informazione. Mostrano i suggerimenti di svariati motori di ricerca, mostrando come su Google i suggerimenti negativi verso Hillary non vengano quasi mai mostrati, mentre su altri motori di ricerca sì. Peccato si eviti attentamente di spiegare al grande pubblico che molti elettori (americani come italiani) non usino Google per navigare e informarsi, bensì i social network. I suggerimenti vengono solo da quanti hanno scelto di fare quella precisa ricerca, e la fuffa perdonatemi ma è noto che è veicolata molto di più dai social network che dai motori di ricerca.

Butac è rimasto per due anni senza pubblicità di Adsense, la cosa non mi ha fatto piacere, da Google l’unico messaggio che ricevevo era che avevo articoli che non rispettavano la policy del motore di ricerca. Ci ho messo due anni per capire quali fossero, non ho gradito, ma non ho mai gridato al complotto. Ero conscio che Google non ce l’avesse con me, ma che essendoci qualche milione di siti indicizzati non potessero far altro che affidarsi ad automatismi. E che ovviamente non potevo sperare nell’aiuto di un essere umano.

Non spiegare tutto questo ai propri lettori e sostenere la teoria di Epstein sul favoreggiamento di Google è non dare informazione completa ai propri lettori. A cercare Epstein su Wiki ci volevano pochi secondi, ma evidentemente si considera Sputnik testata più attendibile. Siamo sicuri che sia una cosa corretta?

Come detto in apertura sono conscio che volendo Google può fare tutto quello che vuole, ma lo sta facendo per davvero? Non è dato saperlo. Un’altra cosa che le testate hanno evitato accuratamente di menzionare è che esistono già sistemi (legali) per avere più visibilità su Google, sono le inserzioni, e più un cliente paga più è facile che il suo sito compaia tra i suggerimenti. Al tempo stesso hanno più visibilità testate note e lette in tutto il mondo (come il Washington Post o il New York Times) che quelle che mi capita di vedere e che riportano tanta roba poco verificata a favore del candidato Trump.

Credo di avervi fornito qualche dato in più su cui riflettere.
maicolengel at butac punto it
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