I gamberi della Thailandia

GAMBERITHAILIANDIA

Ciaooo!

Il buon Beppe nazionale, sopravvissuto alla bufala di Ermes che lo voleva già morto e sepolto, ci delizia urlando allo scandalo e condividendo questo post di TzeTze.

Ho guardato il video, ma in un minuto e quarantasette secondi non si parla di come vengano allevati i gamberi, bensì di come vengono lavorati. Vorrei far notare al giornalista di Presa Diretta che se impiegassero più di mezz’ora per lavare i gamberi, pulirli, talvolta anche precuocerli, e mandarlo all’abbattitore, non verrebbe mantenuta la catena del freddo e il prodotto rischierebbe di deteriorarsi sia dal punto di vista organolettico, sia da quello chimico microbiologico. Detto ciò, analizzerei l’articolo di TzeTze, per me sempre più fastidioso della mosca a cui rimanda.

Intanto quelli che vengono banalmente chiamati gamberi sono in realtà mazzancolle e dal video si vede benissimo. Qui possiamo trovare alcune informazioni sia sui gamberi sia sulle mazzancolle.
Si tratta di due crostacei diversi e anche per il MIPAAF sono due specie diverse. Se cercate nel DM MIPAAF del 2008 e successive modifiche (c.d. decreto Pesca) troverete una tabella con tutte le specie ittiche di interesse commerciale. La tabella riporta ordine, famiglia, specie e denominazione. Gamberi e mazzancolle non solo sono specie diverse, ma hanno habitat diversi, un po’ come astici e aragoste. A proposito, il primo che dice che l’astice è il maschio dell’aragosta farà una brutta fine.

Quanto segue poi potevano pure risparmiarselo:

Perché questi crostacei arrivano da così lontano? La produzione italiana di gamberi vive una crisi profonda dovuta alla concorrenza spietata dei prodotti importati dall’estero. I crostacei vengono pescati, allevati, spesso precotti e congelati a migliaia di chilometri di distanza, rendendo molto difficile i necessari controlli di qualità e portando in Italia alimenti rovinati e sui costi dei quali incide molto il lungo viaggio internazionale.

Non è propriamente vero, anzi, il video dimostra esattamente il contrario. I controlli di qualità ci sono e sono rigorosi, spesso più di quelli effettuati in alcuni stabilimenti italiani che – as usual – “fatta la legge, trovato l’inganno”. Ho visitato e auditato stabilimenti di produzione in Thailandia, che producono per il mercato europeo, americano e giapponese; mercati davvero molto attenti e, passatemi il francesismo, spaccacazzi.
Gli stabilimenti extra-UE, non solo quelli thailandesi, hanno un numero di registrazione riconosciuto dalla UE. Sono aggiornati con cadenza annuale anche gli stabilimenti autorizzati all’importazione in UE. Senza considerare che all’arrivo nei nostri porti le autorità veterinarie (in Italia sono i PIF, Punti interfrontalieri) controllano tutto ciò che entra: se non è conforme alle normative, diramano allerte o border rejection tramite il respingimento alla frontiera. La merce nemmeno entra, dunque, ma viene rispedita al mittente con costi non indifferenti. Se non sapete cosa comporta, ve lo spiego subito: quello stabilimento viene segnalato in tutta la UE, e i successivi 10 arrivi saranno controllati per il parametro risultato non conforme per la materia prima in oggetto. Per poter “chiudere il caso”, tutti e 10 gli arrivi devono risultare a norma.
Potete ben immaginare cosa comporti per lo stabilimento in termini di costi. La merce non conforme non viene deviata su altri mercati o utilizzata per loro, perché le normative spesso sono restrittive come le nostre, se non di più.

La citazione dall’HuffPost è davvero insensata:

L’Europa è il più grosso importatore di farina di pesce dalla Thailandia, usata anche per ingrassare i nostri polli e maiali di allevamento; tuttavia tra le bancarelle ricolme di trash fish l’occhio cade su diversi pesci tropicali della barriera corallina e sui piccoli di altre specie, portati a riva dai pescatori tramite la pesca a strascico che distrugge i fondali decimando i coralli. È questo il vero prezzo del cocktail di gamberi: la produzione nazionale e i suoi frutti arrancano, mentre a migliaia di chilometri da noi l’ambiente viene massacrato.

La Thailandia è una delle nazioni più attente all’ecosistema marino che si possa incontrare. Nel sito che vi linko qui potrete verificare cosa sono le Regional Fisheries management organisations (RFMOs).

international organisations formed by countries with fishing interests in an area. Some of them manage all the fish stocks found in a specific area, while others focus on particular highly-migratory species, notably tuna, throughout vast geographical areas.
The organisations are open both to countries in the region (“coastal states”) and countries with interests in the fisheries concerned. While some RFMOs have a purely advisory role, most have management powers to set catch and fishing effort limits, technical measures, and control obligations. The EU, represented by the Commission, plays an active role in six tuna organisations and 11 non-tuna organisation.

Traduco dall’inglese:

organizzazioni internazionali formate da paesi con interessi di pesca in una determinata zona. Alcuni di loro gestiscono tutti gli stock ittici che si trovano in una determinata area, mentre altri si concentrano su particolari specie altamente migratorie attraverso vaste aree geografiche, in particolare il tonno.

Le organizzazioni sono aperte sia ai paesi costieri sia a paesi con interessi nel settore della pesca (delle specie) interessate. Mentre alcune RFMO hanno un ruolo puramente consultivo, la maggior parte hanno poteri di gestione per impostare (le) catture e i limiti di pesca,le misure tecniche e obblighi di controllo. L’Unione europea, rappresentata dalla Commissione, svolge un ruolo attivo in sei organizzazioni (che si occupano ) di tonno e in 11 organizzazioni (che non si occupano di) tonno.

Da quel sito potete tranquillamente andare a vedere le RFMO che operano in Thailandia e paesi limitrofi, mentre da questo sito potete vedere la carbon footprint di tutto il mondo. Vedete dove si attesta la Thailandia? Ben al di sotto degli USA, dell’Italia e della Cina. Qui invece potete trovare il consumo di elettricità, e non solo, di tutti i paesi del mondo. Capite benissimo che i Thailandesi sono molto attenti all’ambiente e al consumo energetico.
La Thailandia sarà anche uno dei principali produttori di farine di pesce, ma è molto attenta alla pesca sostenibile, cioè che le specie pescate non siano a rischio: invece del tonno pinna gialla preferiscono i tonnetti, chiamati così perché rimangono di piccole dimensioni da adulti e hanno un ciclo riproduttivo rapido, come lo skipjack o il bonito. Se cercate sul sito della FAO, troverete quali sono le specie ittiche più a rischio. Molta della farina di pesce prodotta in Thailandia viene prodotta a partire dagli scarti della lavorazione del pesce destinato al consumo umano, La pesca di tonni e tonnetti è fatta in gran parte con metodi non FAD (FAD free) quali pesca a canna, pole and line, reti con maglie di dimensioni non eccessivamente piccole e controlli da parte delle autorità (Ministero della Pesca). Senza considerare che i clienti come COOP sono molto attenti all’ecosostenibilità della pesca e alla provenienza delle materie prime. Ve lo posso garantire: compilo infiniti questionari per COOP e tutti gli anni auditano la ditta per cui lavoro e i nostri fornitori thailandesi.

Scusate la divagazione, ma volevo solo spiegarvi che non tutto quello che arriva dalla Thailandia è inquinato, inquinante o non ecosostenibile. La Thailandia non è un paese di deficienti, anzi! Per alcune cose sono più avanti di noi occidentali, sono molto più attenti di noi italiani.

Thunderstruck