Il protocollo fantasma per le terapie domiciliari contro COVID-19

Un protocollo di cura deve essere pubblico, basato su bibliografia aggiornata e pertinente, e riconosciuto e autorizzato dalle autorità sanitarie. Non basta un .pdf scritto male...

In questi giorni, sopraffatto dai commenti dei sostenitori della terapia domiciliare precoce contro la COVID-19, ho incominciato a chiedere, al limite del trollaggio, di poter vedere questo fantomatico protocollo. Ho ottenuto varie risposte, ma le migliori sono state nell’ordine:

“Migliaia di pazienti sono stati curati a casa con questo protocollo! Con questo protocollo si previene il peggioramento della patologia!”

“Eravamo troppo impegnati per prendere i dati dei pazienti, noi curiamo, noi non perdiamo tempo”

“Se vuoi puoi trovare il protocollo su ippocreateorg oppure ti facciamo entrare nella chat di confronto terapeutico”

Appena saputo dove trovare il protocollo mi ci sono fiondato, sono andato sul sito, pronto a leggere questo innovativo protocollo, ma tutto ciò che ho trovato è stato un link che mi indirizzava a un libro su Amazon intitolato: “Healing at Home from Covid 19: Manual for Early Tailored Therapy” che costa SOLO 15 dollari (7 se prendi la versione ebook, affarone!!!!!). 

Un po’ intristito, sono tornato alla mia vita di tutti i giorni, ma grazie a un ottimo giornalista e nostro amico, Gerardo D’Amico, il mio desiderio di vedere il vero protocollo si è avverato. Nella serata di ieri sera, infatti, Gerardo ha pubblicato il .pdf con il protocollo.

E sinceramente come medico e come debunker non so da dove iniziare.

Con ordine, precisiamo che la volontà da parte di un gruppo di medici e cittadini di contribuire ad aiutare e divulgare conoscenza contro la pandemia in cui ci troviamo è lodevole. Sulla carta. E se viene fatto nel modo giusto.

Ma non parrebbe essere questo il caso. Gli esponenti del suddetto gruppo, vista la pubblicazione del protocollo, hanno subito iniziato a millantare minacce di querele, perché il protocollo sarebbe ancora in discussione con l’Aifa e il Ministero della Salute, e per il rischio che i pazienti si automedichino. Ma se continuano a sostenere che il protocollo sia già stato usato su migliaia di pazienti, come mai stanno ancora discutendo la sua plausibilità con il Ministero? Inoltre, il protocollo richiede diversi farmaci che costano molto e che non possono essere comprati come farmaci da banco. Ma questi interrogativi, come quello sul perché il protocollo nl frattempo debba rimanere segreto, rimarranno irrisolti.

Possiamo però passare a una rapida e sincera disamina del protocollo di cui finalmente siamo entrati in possesso. Il protocollo è redatto in un modo bizzarro, con qualche scritta in inglese e la maggior parte del testo in italiano. Non che non si possa fare, ma se si usano due lingue allora TUTTO il testo scritto in una lingua deve essere anche riportato di pari passo nell’altra, in genere in due colonne parallele. Ma ok.

Lo scopo del suddetto protocollo è quello di evitare, per quanto possibile, l’ospedalizzazione e la letalità, trattando a domicilio la malattia COVID-19 nelle fasi 1 e 2. Un modo molto particolare di esporre l’obiettivo, ma che prevede uno scopo nobile.

Però non capisco il modo di definire le fasi della malattia presente nel protocollo. La COVID-19 è stata studiata a lungo e molte differenti classificazioni sono state proposte, io non sono riuscito a trovare questa classificazione in fasi nel materiale OMS, ma solo in siti italiani. Limite mio, in ogni caso serve solo come indicazione. Diciamo che le fasi 1 e 2 sono quello che clinicamente viene considerato mild (lieve) Covid-19, cioè malatti con sintomi lievi e che non richiedono ospedalizzazione, ma stretto monitoraggio.

Andando oltre abbiamo delle premesse, alquanto buffe in un protocollo… ma ormai abbiamo capito che abbiamo davanti un protocollo un po’ sui generis. Ogni premessa andrebbe trattata a sé, ma per brevità possiamo riassumere dicendo che non è provato che la riduzione del glutatione da parte del paracetamolo abbia un qualche impatto clinico, inoltre, e questa è una cosa molto grave, si consiglia di partire con il protocollo prima del risultato del tampone.

Questo vuole dire iniziare una terapia prima della diagnosi. Il che vorrebbe dire che, secondo chi ha stilato il protocollo, chiunque abbia un colpo di tosse o una cefalea deve iniziare un protocollo complesso e non privo di effetti collaterali.

Ma andiamo a vedere questo protocollo. Interessante notare che in fase 0, o asintomatico, venga proposto un cocktail di vitamine che in pochi giorni supera i dosaggi consentiti in un anno.

Ma il punto più interessante è quello in cui, per la fase 0, si propongono isolamento, idratazione adeguata e controllo saturazione, senza trattamenti farmacologici. Che suona un po’ come vigile attesa, ma ok.

Per ogni fase successiva vengono proposti dosaggi – che non sono riuscito a trovare in letteratura – di farmaci per cui non è stato provato alcun beneficio nel trattamento per la COVID-19. Non sono in malafede, semplicemente prima di dare un farmaco che non conosco a un paziente controllo indicazioni e posologia. E non ho trovato nessuna indicazione per alcun farmaco, tranne per il Dexametasone (che però viene dato a un dosaggio sbagliato rispetto a quello proposto dallo studio RECOVERY).

Non entrerò nel merito dei singoli farmaci, ma l’uso di anticoagulanti, antibiotici, idrossiclorochina (si consiglia anche ivermectina) può risultare in effetti collaterali gravi. Però capiamoci, perché qui va fatto un discorso generale. Non sono contro questi farmaci, né voglio fare terrorismo. Un farmaco si usa quando c’è un motivo clinico che fa sì che il rapporto rischio-beneficio sia pro benefici. Uso un vaccino perchè è sicuro e mi protegge da una malattia potenzialmente mortale. Uso eparina (anticoagulante) in un paziente con patologia medica o chirurgica che si ritrova a letto in ospedale per evitare embolia polmonare, e perché i suoi paramentri ed esami sono monitorati tutto i giorni da personale sanitario. Se non c’è una malattia da prevenire non do un vaccino (la COVID purtroppo esiste, quindi non è questo il caso, ma ad esempio nel momento in cui la polio è andata a scomparire si è smesso di somministrare il vaccino a tutti), così come non do eparina ad alti dosaggi a pazienti che non ne avranno beneficio, ma che potrebbero avere emorragie cerebrali con conseguente disabilità e/o morte.

Mi voglio quindi soffermare sull’ultimo punto. Per la somministrazione di idrossiclorochina viene richiesto un consenso informato scritto, in quanto farmaco off-label. Ma per avere un consenso informato, devo avere anche una cartella clinica.

Quindi tornando a uno dei commenti iniziali, dove sono le cartelle cliniche di questi pazienti? E quindi dove sono i loro dati, i parametri e tutto il set di dati che si possono analizzare?

Io come medico e ricercatore vorrei vedere tutto, perché sono aperto al confronto. Se, con i dati alla mano, questo protocollo può provare che veramente si possono prevenire le ospedalizzazioni, allora sono ben contento di divulgarlo e di aiutare il suo sviluppo.

Ma nel frattempo io vedo solo messaggi pieni di odio che riportano numeri alla Ingegner Cane.

 

Dott PA

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