Il referendum sull’Euro

Si può indire un referendum sull’Euro? Siamo andati a curiosare un pochino nel trattato della Comunità Europea.

Da sempre lo ripetiamo e lo ripeteremo sino allo sfinimento: Butac non si occupa di politica ma di mistificazioni e bufale. A noi interessa solo la verifica dei fatti, a prescindere dall’argomento trattato. Siamo curiosi come San Tommaso perché non ci fidiamo di nessuno.

Lo spunto per l’ennesimo fact-checking ce lo ha dato il pentastellato Alessandro Di Battista in un’intervista rilasciata alla giornalista tedesca Constanze Reuscher per il quotidiano tedesco Die Welt tradotto e pubblicato da Repubblica.

Tuttavia, per dovere di imparzialità, proprio a testimonianza del fatto che non ci fidiamo di nessuno, abbiamo  scelto di attingere il testo dell’intervista tradotta dal blog di Beppe Grillo che titola:

L’intervista di Di Battista sul Die Welt (tradotta bene)

È garantito dal leader che è tradotta bene. E tra le altre cose, alla domanda: “Ha cambiato atteggiamento sull’euro?” il deputato ha risposto:

Euro e Europa non sono la stessa cosa. Noi vogliamo solo che siano gli italiani a decidere sulla moneta.

E difatti il titolo della pagina de Repubblica che ha ripreso l’intervista è stato:

Di Battista (M5s): “Dal fisco ai migranti ecco il programma. Vogliamo referendum sull’euro”

Da qui la nostra domanda: si può fare un referendum popolare affinché, come dice Di Battista, siano gli italiani a decidere se uscire o meno dalla moneta unica? Egli è ben conscio dei problemi imputati dall’introduzione dell’euro e lo dichiara a Die Welt:

Conosco bene quali sono le conseguenze dell’introduzione dell’euro, la perdita di potere d’acquisto, il calo delle retribuzioni, la riduzione della capacità di concorrenza delle imprese, il degrado sociale, la disoccupazione. Se l’Europa non vuole implodere deve accettare che non si può andare avanti così.

Il sito businessinsider ha dedicato ampio spazio a questa domanda, titolando così la risposta:

Il referendum sull’euro si può fare solo cambiando la Costituzione

Nel testo si dice chiaramente che:

Dall’euro l’Italia non può uscire se non cambiando la Costituzione o attivando la procedura di recesso dall’Unione Europea.

Quindi sarebbe impossibile indire un referendum?

Secondo le regole costituzionali in vigore, tra l’altro difese a spada tratta proprio da Di Battista e dai suoi nel recente voto del 4 dicembre, un referendum sull’euro non [può] essere ammesso.

Ci spiega meglio la questione Stefania Bariatti, professore di Diritto Internazionale all’Università Statale di Milano:

L’euro è stato istituito nel solco del Trattato di Maastricht e l’articolo 75, secondo comma, della Costituzione vieta espressamente il referendum abrogativo sulle leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali.

In poche parole non si possono indire referendum su ratifiche di trattati internazionali come quello di Maastricht.

Ma siamo sicuri? Ricordatevi che noi non ci fidiamo nemmeno della mamma.

Il secondo comma dell’articolo 75 della Costituzione Italiana parla molto chiaro:

Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio [cfr. art. 81], di amnistia e di indulto [cfr. art. 79], di autorizzazione a ratificare trattati internazionali [cfr. art. 80].

Insomma, così come non si possono fare referendum per togliere le tasse o per rimettere in libertà Totò Riina, non si possono nemmeno fare referendum sulle ratifiche internazionali.

E adesso come la mettiamo? Chi decide se uscire dall’euro o meno? Ancora businessinsider:

Per liberarsi della moneta unica l’unica strada sarebbe quella di modificare la Costituzione proprio all’articolo 75, ma sarebbe un passaggio molto delicato e pieno di insidie, come le proposte del governo Renzi hanno dimostrato.

Ancora la Bariatti che sottolinea:

Con un’altra legge costituzionale si potrebbe chiedere il referendum sull’euro, ma il principio costituzionale dovrebbe essere modificato per tutte le leggi di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali, non solo per quella oggi considerata dal Movimento 5 Stelle.

Quindi con l’articolo 75 modificato non solo si potrebbe fare il referendum sull’euro, ma su qualsiasi altro trattato internazionale. In definitiva, per fare decidere agli italiani come vorrebbe Di Battista, bisognerebbe appunto cambiare la carta costituzionale.

Ma ci sarebbe anche un altra strada: uscire dalla Comunità Europea come ha fatto il regno Unito di recente, come continua la Bariatti:

Bisogna attivare l’articolo 50 del trattato sull’Unione Europea che prevede la “clausola di recesso” dalla CE.

Cosa dice tale clausola?

Il paese dell’UE che decide di recedere, deve notificare tale intenzione al Consiglio europeo, il quale presenta i suoi orientamenti per la conclusione di un accordo volto a definire le modalità del recesso di tale paese. Tale accordo è concluso a nome dell’Unione europea (UE) dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo. I trattati cessano di essere applicabili al paese interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’accordo di recesso o due anni dopo la notifica del recesso. Il Consiglio può decidere di prolungare tale termine. Qualsiasi Stato uscito dall’Unione può chiedere di aderirvi nuovamente, presentando una nuova procedura di adesione.

E allora perché non indire, teoricamente, un referendum come hanno fatto nel Regno Unito, per uscire dalla Comunità Europea? Ci risponde sempre la Bariatti:

Noi non abbiamo questo tipo di referendum, non è nella nostra Costituzione. La possibilità di proporre un referendum propositivo, che era nella proposta di riforma, è stata bocciata il 4 dicembre. Quindi per uscire dalla Ue i proponenti dovrebbero ottenere un voto politico in Parlamento di segno contrario alla permanenza nell’Unione, che travolgerebbe anche la partecipazione alla Ue.

A questo punto lo stesso Di Battista ha rettificato:

L’intenzione reale dei 5 Stelle sarebbe quella di promuovere un referendum “di indirizzo”, volto a chiedere il parere non vincolante della popolazione su una determinata questione politica.

Cioè sapere cosa dicono gli italiani e basta, senza nessuna azione esecutiva preposta. Ma…

Ma poiché il referendum di indirizzo non è previsto dalla Costituzione per promuoverlo serve una legge costituzionale ad hoc così come avvenne il 18 giugno 1989, quando venne richiesto il parere popolare sul conferimento o meno di un mandato costituente al Parlamento europeo che veniva eletto nella stessa occasione (legge costituzionale 3 aprile 1989, n.2). Dunque anche questa strada appare lunga e complessa.

E ce lo spiega ancora la professoressa Bariatti:

Serve una legge costituzionale, per la quale si deve raccogliere la maggioranza necessaria in Parlamento, e poi si potrà svolgere un referendum di indirizzo non vincolante. Se in quella occasione il popolo voterà contro la permanenza dell’Italia nell’euro, il governo e il Parlamento potranno decidere di seguire l’orientamento così manifestato, ma a livello Ue non esiste nessun meccanismo per farlo senza uscire dalla Ue. Nella parte del TFUE che riguarda la politica monetaria e l’euro ci sono le disposizioni per entrare a far parte del gruppo degli Stati che adottano l’euro, ma non quelle per uscirne. Quindi l’unica procedura prevista dai Trattati europei è l’uscita dalla Ue in base all’art. 50 TFUE, quello che dovrà utilizzare la Gran Bretagna.

Ricapitolando: il Parlamento dovrebbe fare prima una legge costituzionale, poi si dovrebbe indire il referendum (non vincolante), se vincessero gli “exit” il Parlamento potrebbe (ma non sarebbe obbligatorio) decidere di seguire il risultato referendario. Tuttavia per l’art. 50 saremmo poi obbligati ad uscire oltre che dall’Euro anche dalla Comunità Europea poiché l’uno senza l’altra non è previsto dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).

In pratica, se dopo aver cambiato la Costituzione e aver svolto un referendum di indirizzo, gli italiani scegliessero di uscire dall’Euro, non potrebbero farlo se non abbandonando anche l’Unione Europea. Cioè quello che i 5 Stelle oggi dicono di non voler fare, volendo uscire dall’Euro ma restare nell’Unione.

In conclusione

La conclusione è che spesso, troppo spesso, i nostri parlamentari parlano (e/o scrivono) a vanvera! E badate bene, non vuol essere un preciso riferimento ad una singola forza politica, poiché il malessere, ahinoi, coinvolge tutti gli schieramenti politici a 360°, pardon a 180°, poiché Camera e Senato hanno gli scranni in tale disposizione.

La cosiddetta malapolitica non ha né una precisa casacca, né tanto meno un colore o un simbolo partitico.

È questo il nostro guaio!
Lola Fox
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