Indovina chi mangia glifosato…

Il 14 ottobre su Rai3 è andata in onda una puntata di Indovina chi viene a cena dedicata al glifosato. Non l’ho vista in diretta, ma solo in streaming il giorno dopo. Apro la pagina di RaiPlay e mi appare la descrizione della puntata:

E’ stato un vero e proprio caso nazionale quando è emerso che alcune marche di pasta di grano duro aggiungevano a tavola un ospite non gradito come il glifosato, il diserbante più diffuso al mondo e usato sia prima della semina sia sul terreno prima del raccolto della frutta. Nell’ultima puntata della stagione di Indovina chi viene a cena, Sabrina Giannini farà vedere i retroscena del caso dell’anno: il GLIFOSATO. E’ pericoloso per la salute e per l’ambiente oppure non ci sono prove come ha sostenuto la Commissione Europea quando ne ha autorizzato il commercio per altri 5 anni? Ma questa puntata svela soprattutto le manovre adottate per prorogare la commercializzazione di questo diserbante catalogato come probabilmente cancerogeno.

La sottolineatura iniziale è mia, perché dalla descrizione del servizio sembra che quella dell’uso del glifosato sia una novità introdotta da poco e che ha scandalizzato il mondo. Ma le cose non stanno così, il glifosato è l’erbicida più usato ovunque, e da più tempo, sono oltre cinquant’anni che è presente sulle nostre tavole. Senza che siano emerse particolari evidenze che sia pericoloso per il consumatore finale.

Premetto che altri si sono cimentati nell’analisi di questo servizio, non sono il primo e spero non sarò l’ultimo. Ho tentato di avere un approccio diverso dal tempestivo Giovanni Drogo su NextQuotidiano, che già il 15 ottobre usciva con un’ottima verifica dei fatti.

Nel servizio l’approccio è molto simile, la giornalista parla di “trauma nazionale” quando avremmo scoperto che il glifosato viene aggiunto alla nostra pasta. L’uso delle parole è importante, se inizio un servizio così mi sembra evidente dove voglio andare a parare. Subito dopo un’altra frase è emblematica:

gli stranieri hanno condito il simbolo della nostra nazione con la chimica

Bio vs Chimica

Subito nel servizio si fa un paragone tra agricoltori biologici e agricoltori “moderni” sostenendo che i primi hanno evitato di usare “la chimica”. Anche questa è un’affermazione che non mi può trovare concorde, tutto è chimica, dare a intendere che nell’agricoltura biologica non la si usi è disinformare. Anche gli erbicidi “naturali” sono chimica, va spiegato al telespettatore. Ma è chiaro che qui c’è un preciso intento: dare un’aria più sana al biologico rispetto al resto della produzione agricola. Curioso che siano anni che questa cosa viene smentita dagli scienziati di mezzo mondo, vi riporto da Il BO live, sito dell’Università di Padova:

“Il fatto che un alimento sia o non sia ‘naturale’  – scrive Bressanini in Bugie nel  carrello – non ha niente a che vedere con le sue proprietà salutistiche. Smettiamo di brandire questo termine come una clava per chiudere i discorsi invece che approfondirli”. Il 99,9% delle sostanze chimiche che ingeriamo sono naturali. E spiega, ad esempio, che  il basilico giovane contiene metileugenolo, un sospetto cancerogeno per l’uomo e così pure il caffè possiede molecole che risultano cancerogene per i topi. Questo non significa che non si debba più mangiare pesto, perché è la quantità a incidere sulla tossicità: nel caso del basilico per un effettivo aumento delle probabilità di contrarre un tumore sarebbe necessario consumarne ogni giorno ad ogni pasto.

E ancora:

 …i prodotti biologici non hanno, come credono alcuni, migliori proprietà nutrizionali rispetto ai prodotti convenzionali. A stabilirlo nel 2010 è stato un rapporto commissionato dalla Food standard agency britannica che dimostrava come non vi fosse alcuna differenza nel contenuto di nutrienti tra gli uni e gli altri, salvo alcune eccezioni come i cereali biologici più poveri di proteine e i pomodori più ricchi di vitamina C. Di conseguenza, nessun maggiore effetto benefico sulla salute. Nel 2012 anche un gruppo di ricercatori dell’università di Stanford giunse alle stesse conclusioni.

Sempre sul tema Bio è meglio che non Bio è anche il segmento successivo, dove si parla di miele, dando a intendere che con i metodi biologici siano tornate le api mentre “con la chimica” le api sono destinate a morire. Queste sono parole di agricoltori Bio e apicoltori intervistati nel corso della trasmissione. Ma mi pareva dal titolo che l’argomento non fosse “il biologico” contro “la chimica” ma il glifosato e la sua supposta pericolosità per consumatore finale e ambiente. Mentre il primo pezzo di trasmissione per ora ci ha solo spaventato da un lato, e messo in testa che il Bio non abbia nulla di chimico e sia comunque più salutare dall’altro.

Api, miele e glifosato

Quando parlano con gli apicoltori viene messo, giustamente, in evidenza che l’unico contaminante che è stato trovato nel miele (preso da api all’interno di una riserva) fosse il glifosato. Imputare allo stesso la moria di api non è possibile, ma è vero che alcuni studi hanno evidenziato di come lo stesso possa avere un effetto sui microbioti presenti nell’intestino delle api, rendendole più suscettibili agli stress ambientali. La cosa è sicuramente da approfondire, perché la salute delle api è importante, ma servono più studi per capire l’entità del problema e cercare delle soluzioni.

Ma andiamo oltre, qui il tema non è Bio o non Bio (o almeno non dovrebbe essere uno spot sul biologico) ma la pericolosità del glifosato per il consumatore finale.

Le nocciole e il glifosato

E finalmente nel servizio si passa alla parte più interessante. Ci viene mostrata una coltivazione di nocciole dove viene sparso glifosato. La giornalista ci spiega che la nuvola che vediamo sollevarsi dimostra come poi lo stesso erbicida possa spostarsi in aree limitrofe anche distanti. Vero, il vento può fare questo, ma lo fa con qualsiasi prodotto usato, far vedere un’azienda che non usa nulla è fuorviante. Non è quella la strada sostenibile per l’agricoltura.

Lo studio citato sul cibo organico

Sì, è vero che esiste uno studio che s’intitola:

Association of Frequency of Organic Food Consumption With Cancer Risk

Lo studio è fatto su un campione di soggetti a cui sono state poste domande esplorative, poi sono stati seguiti per quattro anni per verificare l’incidenza di tumori in base al tipo di alimentazione più o meno organica.

I risultati positivi per quest’associazione sono presenti solo nel gruppo che consuma più organico, e solo per due tipi di carcinoma (mammario postmenopausale e linfoma non-Hodgkin). Ma è proprio nelle conclusioni dello studio stesso che vengono usate parole abbastanza chiare:

A higher frequency of organic food consumption was associated with a reduced risk of cancer. If these findings are confirmed, further research is necessary to determine the underlying factors involved in this association.

Che tradotto:

Una maggiore frequenza del consumo di alimenti biologici è stata associata a un ridotto rischio di cancro. se questi risultati vengono confermati, sono necessarie ulteriori ricerche per determinare i fattori sottostanti coinvolti in questa associazione.

Che vuol dire tutto e niente. Perché chi ha una vita salutista oggi è spinto (anche da servizi come questo) a consumare organico, convinto del binomio organico=più sano. Non esiste un tipo di tumore, ne esistono tanti e la scienza ha dimostrato che dipendono da moltissimi fattori, incluso lo stile di vita. Possiamo solo dire che chi è più attento alla salute ha una percentuale di rischio  più bassa di contrarre alcuni tipi di tumore.

Le sentenze contro il glifosato

Si passa quindi negli Stati Uniti, dove l’erbicida è stato portato sul banco degli imputati. La sentenza che viene citata è quella del 2018 quando un Tribunale impose alla Monsanto di indennizzare un giardiniere per non avere inserito indicazioni sui rischi di contrarre un cancro usando il loro prodotto. La trattammo all’epoca:

Quello che mi preme farvi presente è che la sentenza americana non è scienza, come non lo sono mai le sentenze dei tribunali. Oltretutto in questo caso si tratta di una sentenza data tramite il parere di una giuria popolare, che non è composta a sua volta da scienziati.

La valutazione dello IARC

Si passa quindi a parlare della valutazione dello IARC, curioso come mi tocchi parlare sempre dello stesso ente in pochi giorni. Come viene spiegato nel servizio nel 2015 lo IARC ha classificato il glifosato come “probably carcinogenic to humans” gruppo 2A. Ricordo che sono 4 i gruppi di classificazione scelti da IARC:

  • Gruppo 1, agenti che sono sicuramente cancerogeni per l’uomo
  • Gruppo 2A, agenti che sono probabilmente cancerogeni per l’uomo
  • Gruppo 2B, agenti che potrebbero essere cancerogeni per l’uomo
  • Gruppo 3, agenti che non sono cancerogeni per l’uomo

Nel gruppo 2A troviamo:

  • bevande calde come il caffè e il tè,
  • cibi come la carne rossa,
  • materiali come il bitume,
  • mestieri come il barbiere e il parrucchiere,
  • chi fa turni di lavoro che interrompono il ritmo circadiano
  • i caminetti di casa che bruciano legno e pellet
  • il semplice friggere qualcosa
  • ecc ecc

Avete letto con attenzione la lista? Perché non vedo la stessa foga per vietare le bevande calde? Eppure tra tè, tisane, caffè, brodini e compagnia bella ne facciamo largo consumo. Perché non veniamo avvertiti di questo pericolo? Perché non stiamo parlando del gruppo 1, che ne certifica l’aumento di rischio? Detto ciò sul tema glifosato e gruppo 2A a livello internazionale c’è un dibattito che va avanti da qualche tempo, e il consenso scientifico sembra andare in una direzione opposta alla classificazione esistente. Esiste un’analisi successiva che mostra anche il perché, potete trovarla qui, pubblicata nel 2017.

E qui arrivano anche le mie conclusioni

Io mi fermo, lo so che il servizio non è giunto a conclusione, ma – anche se non tutti la pensano così – io non sono pagato per fare questo, e il mio tempo libero ultimamente è sempre meno.

Non sarebbe la prima volta che chi grida alle bufale e ai fake lo faccia dicendo fake. Per confondere, denigrare e a vantaggio di chi? Ricordiamo che le multinazionali pagano anche i creatori del dubbio… pure sui social

Nel rapporto intitolato: “Information Disorder: Toward an interdisciplinary framework for research and policy making” pubblicato dal Consiglio Europeo viene fatta questa premessa fin dall’inizio:

In questo rapporto, ci asteniamo dall’usare il termine “fake news”, per due ragioni. In primo luogo, è tristemente inadeguato per descrivere i complessi fenomeni dell’inquinamento delle informazioni. Il termine ha anche iniziato ad essere usato dai politici di tutto il mondo per descrivere le organizzazioni giornalistiche la cui copertura trovano spiacevole. In questo modo, sta diventando un meccanismo grazie al quale il potente può reprimere, limitare, indebolire e aggirare la stampa libera.

Non credo sia necessario aggiungere altro. Giusto per non dimenticarlo: di glifosato/e su BUTAC abbiamo parlato svariate volte. 
maicolengel at butac punto it
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