Indovina chi viene a cena e la sperimentazione animale

Si parla di sperimentazione animale a Indovina chi viene a cena (29 ottobre 2018), un nuovo programma condotto da Sabrina Giannini con un focus sulla Farmacologia e la Tossicologia. Si parla del divieto ricerca sugli scimpanzé negli Stati Uniti dello scandalo di Dieselgate, delle ricerche sull’Aspartame condotte dall’Istituto Ramazzini e di Minibrains.

Bisogna comprendere secondo quali criteri il Committee del National Research Council abbia considerato non più necessaria la ricerca sugli scimpanzé negli Stati Uniti. Non vuole dire che la ricerca su questi animali non abbia contribuito in maniera significativa alla scienza.

Il comitato ha stabilito che potrebbe essere giustificabile una ricerca su tale modello solo se contribuisca significativamente alla salute pubblica, se non si possa sperimentare sull’uomo per motivi etici e non esistano altri modelli (animali e non) che possano essere impiegati al posto degli scimpanzé.[1] La somiglianza degli scimpanzé con gli uomini li rende modelli importanti per certi tipi di ricerche ma richiede anche che ci siano motivi davvero importanti per usarli.

Il motivo per cui è stata abbandonata la ricerca sugli scimpanzé è dunque di natura etica, poiché si è deciso di integrarli nella sfera morale umana proprio in virtù della grossa somiglianza con l’uomo.
Una cosa che non è stata evidenziata nel programma è che i buoni propositi di mandare in pensione quasi tutti gli scimpanzé impiegati nella ricerca pubblica non sono stati purtroppo seguiti da un’altrettanto buona organizzazione, non esistendo un piano concreto e ben organizzato di reinserimento dei primati[2], e alcuni sono morti non appena trasferiti proprio a Chimp Heaven[3], il santuario federale di cui si è occupata la trasmissione. Per questo era stata istituita una commissione che doveva valutare se e come trasferire i restanti scimpanzé[4].

Come modello virtuoso di sperimentazione animale Sabrina Giannini ha deciso di intervistare Fiorella Belpoggi per l’Istituto Ramazzini di Bologna (di cui abbiamo già parlato qui e qui), la quale promuove uno studio dell’Istituto, di cui è coautrice, che evidenzierebbe la cancerogenicità dell’aspartame, sostenendo che l’EFSA non lo avesse preso in considerazione. L’EFSA è l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, un organismo indipendente composto da esperti che si occupa di esprimere pareri scientifici sulla sicurezza dei prodotti alimentari. Sull’aspartame ha fatto una review sistematica analizzando tutti gli studi condotti sull’argomento e non ha solo analizzato lo studio, ma ha anche risposto, ancora nel lontano 2006, ritenendo che non esistesse una correlazione dose-risposta significativa e che l’incidenza di alterazioni infiammatorie nel modello scelto non lo rendesse affatto adeguato[5].

La Belpoggi sostiene che l’erronea metodologia nelle ricerche condotte da altri enti riguarderebbe il periodo di esposizione degli animali alla sostanza in analisi, “quando i ratti avrebbero 6-8 settimane (che corrisponderebbero a 15-18 anni umani) e si protrarrebbero fino a 2 anni (50-60 anni nell’uomo) ignorando il fatto che l’80% dei tumori insorgerebbero dopo questa età e in tal modo si perderebbe la sensibilità del modello sperimentale”. In realtà esistono tra quelli citati dall’EFSA studi proprio sull’aspartame condotti addirittura su due generazioni di ratti, studi condotti nel periodo perinatale e durante la gravidanza su ratti, topi e scimmie (citati nel capitolo “Reproductive and developmental toxicity of aspartame” e seguenti).

Le linee guida OECD (che sono sempre in aggiornamento e non sono di certo ferme agli anni Ottanta) raccomandano di estendere gli studi fino e non oltre ai due anni nel ratto, siccome nell’ultimo periodo della vita degli animali esiste un aumento dell’incidenza di tutta una serie di patologie che possono agire come un fattore confondente nell’interpretazione dei risultati.
Se questo non bastasse per dipanare i dubbi attuali, l’EFSA cita anche importanti studi epidemiologici sull’uomo e l’insieme delle numerose ricerche in vitro, in vivo e gli studi retrospettivi hanno permesso di esprimere il parere sulla questione.

Il programma si è occupato molto di Dieselgate, che è stato un capitolo nero che riguarda la ricerca, con l’aggravante etica che riguarda l’impiego a scopo fraudolento degli animali. Sabrina Giannini si interroga giustamente se uno studio su dieci macachi costretti a respirare motori diesel esausti avrebbe potuto mettere in dubbio il parere della IARC (International Agency for Research on Cancer) che ha catalogato i motori diesel come cancerogeni per l’uomo: “Un risultato ottenuto valutando migliaia di esperimenti su centinaia di migliaia di animali (topi, ratti, scimmie) e anche sugli uomini (per esempio uno studio su 12.000 minatori)”. Questo è il punto cruciale sulla quale dobbiamo soffermarci: Il processo di acquisizione delle conoscenze nella scienza è cumulativo e la ripetibilità di una grande mole di dati su un determinato argomento rende la conoscenza su tale argomento consolidata.

Uno studio su dieci macachi non avrebbe dunque fatto la differenza. E allora perché le ricerche sull’aspartame  condotte dall’istituto Ramazzini non dovrebbero seguire lo stesso principio?

Sabrina Giannini afferma ripetutamente che la sperimentazione animale non è attendibile e che alla fine bisognerebbe testare sull’uomo. Come mai gli studi epidemiologici e retrospettivi sull’aspartame in questo caso non vengono considerati? La sperimentazione animale è solo una parte di un programma di ricerca al cui interno sono coinvolti tutta una serie di metodi differenti. Ciascun modello, animale e non, è caratterizzato da benefici e limiti: generalmente si tratta di metodi “diversi” che forniscono informazioni che verranno integrate in modo da avere un quadro quanto più completo possibile su un determinato problema.

La consistenza dei dati spiega anche la lentezza dell’approvazione dei nuovi metodi lamentata tanto da Thomas Hartung (scienziato che si occupa di metodi alternativi, direttore del CAAT, intervistato nel programma). È necessaria una conoscenza consolidata sui modelli da utilizzare in vista della sicurezza dei pazienti. Quindi non ci sono “motivi politici”, l’immagine con la pioggia di banconote che nemmeno il deposito di Paperon de Paperoni è sbagliata. La legge italiana obbliga all’utilizzo di un metodo alternativo al modello in vivo se questo è ugualmente efficace.

Mandare poi una giornalista a Baltimora e affermare che delle cellule staminali in coltura “pensano” è alquanto comico, e se fosse vero dovrebbe porre dei quesiti di natura etica sulla leicità morale di condurre esperimenti in capsule di Petri pensanti.

Giulia Corsini
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[1] Chimpanzees in Biomedical and Behavioral Research: Assessing the Necessity , Commitee of National Research Council (2011)
[2] Research on lab chimps is over. Why have so few been retired to sanctuaries? Science (David GrimmJun. 12, 2017)
[3] The deaths of 9 retired research chimps ignite a biology feud, Wired (Chelsea Leu, 8.18.16)
[4] US government rethinks how to retire research chimps, Nature (30.1.2018)
[5](2013). Scientific Opinion on the re‐evaluation of aspartame (E 951) as a food additive. EFSA Journal, 11(12). doi:10.2903/j.efsa.2013.3496