La lista nera di Coldiretti

A febbraio 2019 su alcune testate italiane sono apparsi articoli generati da un comunicato stampa di Coldiretti. Titolava il Corriere della sera (redazione Cucina!!!):

Agromafie e cibi «criminali», la lista nera di Coldiretti dei prodotti più contaminati

La lista nera però, come fa notare il Fatto Alimentare, è più allarmistica che di reale utilità per il pubblico. Coldiretti, per essere più accattivante verso il suo pubblico, ha stilato la lista come se fosse un menù chiamato:

Il menù del crimine

Sensazionalismo portami via…
Si parte dagli antipasti:

  • La mozzarella sbiancata con carbonato di soda e perossido di benzoile. Ma il Fatto Alimentare ci spiega che si tratta di una pratica vecchia di cinquant’anni, e che non risultano denunce nel 2018. Vedete, denunciare pratiche che sono illegali va bene, ma occorre avere prove alla mano che suddette pratiche siano ancora in atto sul territorio, altrimenti è fare puro allarmismo alimentare.
  • Le frittelle di bianchetti. Secondo Coldiretti sarebbero vietate, ma in realtà il regolamento che viene citato spiega in maniera abbastanza chiara che le cose non sono esattamente così, all’art.15 l’Unione Europea spiega che il novellame di sardine (i bianchetti) che è pescato usando le reti permesse può esser venduto per il consumo umano senza rischiare sanzioni.
  • Il riso che arriva dalla Birmania, frutto della persecuzione e del genocidio dei Rohingya. In questo caso la denuncia però è tardiva, visto che nel 2017 il Ministro per lo Sviluppo Economico Carlo Calenda aveva aperto un’indagine sul tema che ha portato alla reintroduzione dei dazi per il riso proveniente da quelle zone.
  • Il pesce vecchio “ringiovanito” con il cafados, anche qui un filo di disinformazione, il cafados non ringiovanisce affatto il pesce vecchio, rende più appetibile il fresco e lo conserva un po’ di più. Il cafados abbassa l’acidità del pesce e lo rende più bianco, quindi esteticamente più commerciabile.
  • La bistecca che arriva da macelli clandestini. Non metto in dubbio che possano esistere dei macelli clandestini, siamo il Paese dei furbetti, ma quanti ce ne sono? Quante macellerie e ristoranti sono disposti a rischiare la licenza per aver venduto un prodotto non tracciato? Non ci vengono portate prove o numeri che ci permettano di capire l’entità del fenomeno. Spaventare il consumatore piace evidentemente molto.
  • Tartine di tartufi cinesi spacciati per italiani. Ma come spiegava anche il Fatto Alimentare il tartufo cinese non si può vendere in Italia, anche perché abbiamo un succedaneo perfetto, il tartufo nero di Norcia che rende antieconomico l’uso di quello cinese.
  • L’olio colorato alla clorofilla. In questo caso la denuncia di Coldiretti ci racconta di una pratica che si utilizzava anni fa, riportata anche su Repubblica nel 1997, ma per dimostrare che tutt’ora venga utilizzata servirebbero prove alla mano, che Coldiretti non mostra, altro allarmismo alimentare.
  • Il pane cotto in forni clandestini. Su questa storia ci sarebbe da lavorare, se cercate la notizia ne esiste praticamente solo una fonte verificabile, un articolo del 2013, e una precedente versione del 2010 (su Blitz Quotidiano) con molti meno riferimenti. Ma si fanno precise accuse a un singolo giro di piccoli forni legati in qualche maniera alla camorra, dove, senza nessuna certezza, si narra siano anche state usate casse da morto. Non esiste conferma dalle procure. Quello che è certo è che in Italia, quindi su tutto il territorio nazionale, i forni a legna per la panificazione non sono praticamente più usati. Se cerchiamo online ci rendiamo conto che la maggioranza di quanto esiste sul mercato è elettrico, eventualmente con varianti a pellet. Non esiste altra fonte che racconti di questi fantomatici forni sul territorio nazionale che usino bare e scarti di mobili. Coldiretti dovrebbe essere tenuta a rivelare i dati in suo possesso, altrimenti si tratta di condivisione di leggenda urbana.

Coldiretti conclude facendo presente che:

C’è anche il rischio di portare a tavola inconsapevolmente i frutti dello sfruttamento come le nocciole turche o le banane dell’Ecuador prodotte dal lavoro minorile come denunciato dal Ministero del lavoro degli Stati Uniti d’America e infine, se si vuole regalare un fiore – conclude Coldiretti – c’è sempre in agguato il circuito della vendita illegale delle rose che sfrutta manodopera straniera in generale bengalese che fa il giro di ristoranti e pizzerie per ore e ore con mazzi di fiori da vendere alle coppiette a cena.

Ma dimentica di citare il fatto che anche consumando prodotto italiano proveniente da colture italiane rischiamo di alimentare lo sfruttamento del lavoro. Sono molti gli stranieri sfruttati in Italia con salari da fame e trattati come schiavi, e probabilmente tra loro ci sono anche italiani costretti per necessità. Se si voleva fare davvero luce su una black list dei prodotti a cui stare attenti a mio avviso si poteva fare decisamente un lavoro migliore. È un peccato notare come tanti, a partire dal Corriere (ma l’hanno riportato tutti) abbiano dato così tanto spazio acritico a una sana dose di sensazionalismo e allarmismo alimentare, per lo più infondato.

Così facendo si contribuisce pesantemente alla disinformazione, altro che fake news che circolano sui social. Non comprendere le conseguenze di questa disinformazione è grave. È con queste notizie che si creano miti e leggende urbane, sono queste notizie che il cittadino ritiene assolutamente affidabili perché passate attraverso il filtro giornalistico. Se avessero detto qualcosa di scorretto il giornalista l’avrebbe evidenziato, pensano. No?

Meditate gente, meditate…
maicolengel at butac punto it
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