La multa per accesso a Rigopiano

La Stampa il 10 gennaio ha pubblicato un articolo a firma Antonella Boralevi.

Titolo:

Rigopiano, la multa al papà che viola i sigilli per portare fiori e le ragioni del cuore

L’articolo in realtà non è altro che un piccolo post Facebook ripreso su La Stampa visto il tema e la viralità dello stesso. Poche righe per riportare l’indignazione contro quel povero papà che voleva solo onorare la memoria del figlio. A me sta benissimo se la cosa è su un post Facebook di una scrittrice. Meno quando la stessa storia viene riportata sui giornali in maniera acritica, senza che vi sia una spiegazione dei fatti per il pigro lettore.

Vediamo di capirci, in Italia esiste una legge del codice penale, l’art. 439, che riporta:

Chiunque viola i sigilli (1), per disposizione della legge o per ordine dell’Autorità apposti al fine di assicurare la conservazione o la identità di una cosa (2) [705, 752-762, 260, 261], è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da centotre euro a milletrentadue euro.

Se il colpevole è colui che ha in custodia la cosa, la pena è della reclusione da tre a cinque anni e della multa da trecentonove euro a tremilanovantotto euro (3).

A Rigopiano c’è un cancello che riporta quell’articolo di legge e il fatto che la zona sia stata posta sotto sequestro. Come lo stesso tipo di cartello si trova davanti a ogni locale che sia stato posto sotto sequestro dalle autorità, è la legge. E la legge dice che “chiunque viola i sigilli” verrà punito. Il reato rientra tra i tanti depenalizzati che non prevedono più la reclusione, ma la multa sì, ed è un reato perseguibile d’ufficio, non servono indagini; il colpevole è stato identificato, è normale gli venga recapitato il decreto di condanna.

Io comprendo benissimo che ci si rimanga male al racconto che il papà di una delle vittime sia stato multato per aver varcato quel cancello. Ma la legge non prevede trattamenti di favore. È un gesto dovuto, quella sanzione. Scrivere come ha fatto la Boralevi ha poco senso, se non quello di parlare alle pance degli italiani:

Ti denunciano perché sei entrato abusivamente in un luogo posto sotto sequestro. E ieri un giudice del Tribunale di Pescara emette il primo decreto di condanna. Multa di 4550 euro.

Sentenze sulla tragedia e nomi dei responsabili, ancora non ci sono. Questo è il primo atto che su Rigopiano la Giustizia sancisce.

Ovvio che non ci sono ancora sentenze, il giudizio sulla tragedia non è cosa da prendere alla leggera, ci vanno di mezzo le vite di tante persone coinvolte nella vicenda, persone che magari in buonafede hanno fatto madornali errori. Tutte le cose vanno soppesate nella maniera corretta per cercare di arrivare a emettere un giudizio serio che dia soddisfazione a chi chiede giustizia. Invece la sanzione per chi varca un confine ben delineato non necessita sentenze di giudizio particolari. Il “colpevole” è facilmente identificabile nel soggetto che ha superato quei sigilli, emettere la sanzione è un atto d’ufficio, che ovviamente avviene appena viene contestato il reato. Certo che indigna tutti che la multa arrivi al papà di una vittima. Ma la legge è (dovrebbe essere) uguale per tutti. Non si possono fare favoritismi, non si può decidere che lui no poverino. Non funziona così. E la cosa dovrebbe essere chiara a tutti. Da chi si ferma sulle strisce pedonali per andare a prendere il bimbo a scuola a chi fa lo stesso per caricare un’anziano parente. Nel caso dei sigilli a un’area lo si fa per evitare che accessi non autorizzati possano inquinare eventualmente delle prove, o che chi entra non metta a rischio la propria incolumità camminando in una zona a rischio.

La legge va rispettata

Poco conta chi sei, se c’è una legge deve rispettarla.

Se quella legge non piace si può chiedere di modificarla. Ma sfruttare una legge, corretta, per parlare alle pance dei propri lettori, per me, è errato. Indignare nei confronti dei giudici e periti che devono analizzare tutti i fatti e decidere chi siano i colpevoli di quei 29 morti è sbagliato.

Parlare alle pance senza spiegare le cose va bene finché fai la scrittrice, non quando i tuoi post social diventano articoli di giornale.

maicolengel at butac punto it
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