La Verità e la “censura” Agcom

La Verità da qualche giorno sta facendo rigirare un articolo che s’intitola:

Tappano la bocca a chi critica l’Islam, rom trans e migranti.

L’articolo ce l’ha con l’Agcom. Twitta Maurizio Belpietro:

L’Agcom, presieduta dall’ex capo di gabinetto del Prof a Bruxelles, ha varato un regolamento per imbavagliare l’informazione non politicamente corretta. Chi critica rom, islamici, gay e migranti rischia multe salatissime. È la dittatura del conformismo.

Il titolo de La Verità, condiviso da Belpietro, è lievemente diverso dal titolo presente sul giornale, come potete vedere qui sopra. La prendono come fatto personale:

L’uomo di Monti vuole chiuderci il giornale

Ma è davvero così? L’Agcom ce l’ha con La Verità? Vediamo di capire meglio le cose.

Oggetto del dibattere è una delibera di qualche mese fa, più precisamente la delibera 25/19 emessa da Agcom e intitolata:

CONSULTAZIONE PUBBLICA SULLO SCHEMA DI REGOLAMENTO RECANTE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI RISPETTO DELLA DIGNITÀ
UMANA E DEL PRINCIPIO DI NON DISCRIMINAZIONE E DI CONTRASTO
ALL’HATE SPEECH

Non mi pare ce l’abbiano con La Verità, a meno che il giornale di Belpietro non faccia parte di quel gruppo di testate on e offline che sono abituate a diffondere odio e disinformazione online.

Non vi riporto tutto il testo della delibera (che trovate qui), ma solo alcune parti, prima fra tutte un frammento dell’introduzione:

Nel corso degli ultimi anni, l’Autorità ha registrato un crescente e preoccupante acuirsi, nelle trasmissioni televisive di approfondimento informativo e di infotainment delle principali emittenti nazionali, del ricorso ad espressioni di discriminazione nei confronti di categorie o gruppi di persone (target) in ragione del loro particolare status economico-sociale, della loro appartenenza etnica, del loro orientamento sessuale o del loro credo religioso. Tali ripetuti episodi riflettono, indubbiamente, i mutamenti registrati nel dibattito politico, economico e sociale, a seguito del manifestarsi di fenomeni di particolare impatto mediatico-culturale e della relativa trasposizione nella cronaca sociopolitica e nell’agenda setting delle diverse forze politiche, in confronti sempre più accesi e polarizzati: attacchi terroristici, fenomeni migratori, episodi di criminalità collegati a vario titolo a specifiche origini etniche o specifici orientamenti sessuali, e così via. Di fronte a fenomeni complessi, che richiederebbero letture multilivello, attenzione ai dati e al contesto, separazione tra il merito del dibattito sulle politiche pubbliche e le valutazioni su specifiche caratteristiche personali, si affermano, con forza, chiavi di lettura semplificate, polarizzanti, divisive e perciò stesso fautrici di discriminazione attraverso espressioni d’odio verso gruppi di persone identificate in base a talune caratteristiche comuni.

Il testo della consultazione riporta molti esempi. Dalla discriminazione sessuale a quella per etnia o religione, fino al famoso hate speech. Andrebbe letta per capire di cosa si stia parlando, ma evidentemente a La Verità avevano altre cose da fare.

Tutto quanto discusso da Agcom nel suo documento viene dalle tante linee guida che sono state rilasciate negli ultimi tempi dall’Unione Europea, linee guida che potete trovare linkate a quest’indirizzo. Non si tratta di voler chiudere giornali, non si tratta di tappare la bocca ai giornalisti, ma solo di fare informazione nella maniera corretta. Chi lo fa non rischia nulla dal proposto regolamento Agcom.

Riporto sempre dal loro testo:

Dal 1° gennaio del 2013 al 31 dicembre del 2017, periodo cui si riferiscono gli ultimi dati disponibili, gli hate crime registrati sono cresciuti del 112%, segnando un costante incremento annuo. Sul totale delle segnalazioni raccolte, circa la metà costituiscono un reato secondo i criteri e gli accertamenti dell’OSCAD. Oltre il 60% dei reati d’odio accertati si riferiscono a matrice discriminatoria connessa all’origine etnica o alla provenienza geografica della vittima.

Da nessuna parte nel testo si parla di far chiudere testate, ma, nel caso si violi il regolamento, sono previste procedure sanzionatorie. Il regolamento è composto tutto da articoli che – se letti con attenzione – non sono altre che la riaffermazione di un’etica giornalistica che dovrebbe già esser seguita da tutti i soggetti muniti di tesserino dell’Ordine. Viene chiesto di stare attenti all’uso delle parole quando possono risultare lesive della dignità di una persona, viene chiesto di evitare le generalizzazioni, e  di evitare titoli acchiappa lettori che facciano leva solo sull’indignazione e non sui fatti.

Essere contro un regolamento come questo, che mi viene da definire di buon senso, significa essere consci che la propria testata giornalistica regolarmente disattende ognuna delle linee guida in uso.

Non credo sia necessario aggiungere altro. BUTAC è contro ogni discriminazione e da tempo cerca di seguire le linee guida di Parole Ostili, sia nella moderazione sui social sia nella scrittura di articoli.

maicolengel at butac punto it
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