Licenziato da Amazon, costretto a vivere in camper

...poi vai a leggere, e non è vero.

Stavolta nessuna segnalazione da parte vostra, ma ritengo che la vicenda di cui stiamo per parlare meriti un piccolo articolo. La notizia l’abbiamo trovata su Repubblica, che il 10 gennaio 2021 titolava:

Licenziato da Amazon il magazziniere costretto a vivere in camper: “Penalizzato perché ho raccontato la mia storia”

La firma dell’articolo è di Enrico Ferro, stessa firma che ho trovato su Nordest Economia, sito sempre del gruppo GEDI, come anche su La Nuova Ferrara. L’articolo è ripreso per intero sulla pagina Noi Poliziotti per sempre, lo scopo è lo stesso ovunque: indignare contro Amazon. In tutti i testi trovati in giro (probabilmente per evitare denunce) la questione “licenziamento” è spiegata nelle prime righe dell’articolo. Non è affatto vero, infatti, che il soggetto sia stato licenziato, come riporta Repubblica stessa:

Il contratto di tre mesi con il gigante dell’e-commerce è scaduto e non gliel’hanno rinnovato.

Quindi non è stato licenziato, non gli è stato rinnovato un classico contratto a tempo stipulato per il periodo che include Black friday, Cyber monday e Natale. Di contratti così, che poi non vengono rinnovati, se ne fanno in tutto il mondo, in tutte le aziende che sanno che durante il periodo natalizio avranno un picco delle vendite tale per cui non basta la normale forza lavoro assunta con contratto annuale o a tempo indeterminato. Si assumono precari per sopperire alla carenza di personale, precari che ovviamente non si è in grado di mantenere anche per il resto dell’anno quando la mole di lavoro è ridotta. Si tratta di una tendenza diffusissima, per cui non dovremmo indignarci più di tanto (oppure per cui dovremmo indignarci ogni volta che succede e non solo quando riguarda alcune aziende).

Certo che dispiace pensare a un 58enne che ha solo lavori precari, ma vorrei che analizzaste con me come è stata riportata la vicenda da Repubblica (e dagli altri che da Repubblica hanno ripreso la storia). L’articolo cominciava così:

L’uomo del camper ora è anche senza lavoro. Massimo Straccini, 58 anni, di Ferrara, magazziniere di Amazon costretto a vivere nel parcheggio dello stabilimento di Rovigo perché senza le garanzie necessarie per ottenere un alloggio in affitto, è di nuovo disoccupato.

Leggete fra le righe, “costretto a vivere in camper”. L’uso delle parole è importante. Da Treccani:

Costringere: forzare; obbligare qualcuno, con la forza o con altro mezzo, a fare cosa che sia contraria alla volontà o comunque non spontanea.

Ma nessuno ha obbligato il signor Massimo a vivere in camper nel parcheggio di Amazon, da Ferrara al magazzino di Amazon in provincia di Rovigo sono circa quaranta minuti, conosco gente che fa il pendolare su tratte decisamente più lunghe. Se lavori in grandi città è un tempo ritenuto quasi normale per andare da una parte all’altra della stessa città, anzi, in alcune capitali è fin poco. La scelta di spostare il camper da Ferrara a Rovigo è sua, che avrà preso questa decisione soppesando pro e contro. Nessuna costrizione da parte di Amazon.

Nell’articolo poi si usano termini come penalizzazione, ritorsione… è abbastanza chiaro che all’intervistatore Amazon sta sulle scatole. L’idea è che tutto l’articolo sia una scusante per mettere in cattiva luce la multinazionale. Sia chiaro, non sono qui a dire che Amazon sia esente da problemi, che io sappia però sono un’azienda che rispetta le leggi vigenti, leggi che se sono considerate sbagliate vanno cambiate e fatte rispettare dai datori di lavoro, che si chiamino Amazon o Benetton, Macelleria Rossi o Abbigliamento Teresa poco conta. Non è Amazon che ha penalizzato il lavoratore o che ha fatto ritorsione contro di lui. C’era un contratto di una durata prestabilita, finito il periodo il contratto si è concluso. Come a lui così a tanti altri. Se davvero Amazon avesse assunto tutti eccetto il signore dall’altro lato ci sarebbe da festeggiare, perché vorrebbe dire che hanno fatto contratti a tantissimi lavoratori. Ma non è così. Se si vuole criticare un’azienda che ha tanti motivi per essere criticata è giusto farlo, ma portando argomentazioni circostanziate in maniera corretta.

Domenica stessa, quando ho letto l’articolo di Repubblica, ho fatto un veloce post Facebook per lamentarmi di quanto avevo letto. Dopo poco dal mio post, dove avevo taggato sia Repubblica che Amazon (nessuno dei due si è ovviamente fatto vivo) sono però stato contattato da una donna, Cristina Miriam Chiaffoni, che ha lavorato nello stesso magazzino di Rovigo. Anche lei non è una ragazzina al primo impiego, e anche a lei il contratto non è stato rinnovato. Questo è quanto mi ha riportato:

Sono stata anch’io lavoratrice per tre mesi in Amazon e nello stesso magazzino di questo signore. Allora: punto primo non è stato l’unico. Almeno un buon 60% di lavoratori compresa me non si sono visti il contratto rinnovato. Senza fare sensazionalismo come questo collega. Io pure vengo da Ferrara. E non c’è certo bisogno di vivere nel parcheggio di Amazon in un camper (che comunque ti puoi permettere e non costa poco). Sono 40 km che io ho fatto senza problemi per tre mesi (45 min di strada). C’è chi veniva da Mestre. …Se voleva essere comodo non e’ certo colpa di Amazon. Non difendo un’azienda che comunque mi ha dato molto in questi tre mesi. Ma difendo la verità. Di menzogne ne abbiamo anche troppe da smaltire. Ed ora sarebbe giusto che Amazon intervenisse contro questo sensazionalista. Non ti fai martire infangando colleghi e sparando bugie.

Ho omesso quello su cui non potevo fare verifiche, ma per il resto quanto trovate qui sopra è quanto Cristina ha postato a commento del mio post e che ha accettato venisse riportato. Ma torniamo al testo di Repubblica, procedendo nell’intervista leggiamo:

Quale era la sua mansione?

“Ero uno degli addetti allo stoccaggio. Dovevo sistemare la merce in arrivo negli armadi robotizzati. Il lavoro non era male”.

Lei aveva un contratto di tre mesi con un minimo garantito e il resto a chiamata. Quanto è arrivato a prendere di stipendio?

“A pieno regime 1.770 euro per 157 ore. C’erano anche due festivi”.

Com’è stato lavorare in Amazon?

“È stata un’esperienza, sono soddisfatto anche se è finita. L’unico elemento destabilizzante è che non c’è mai un’interfaccia, un contatto diretto. È tutto via app, o via tablet. Sei un numero”.

Quindi a pieno regime circa 11,27 euro all’ora, il lavoro non era male, ed è stata un’esperienza che l’ha lasciato soddisfatto. Non proprio una pessima recensione. Certo che sei un numero controllato via tablet, è normale in aziende dove lavorano migliaia di persone, alcune solo per brevi periodi. Ma la cosa che mi ha dato più fastidio è leggere quanto viene riportato nelle ultime domande dell’intervista:

Lei ha 58 anni. Quanti anni di contributi ha?

“Purtroppo ho soltanto 22 anni di contributi. Da giovane lavorai in nero”.

Ma che lavori ha fatto in passato?

“Ho lavorato come magazziniere con le cooperative, ma sempre contratti brevi. Prima di andare in Amazon lavavo biancheria ospedaliera: una specie di catena di montaggio. Lì facevano addirittura contratti settimanali. Finivi il venerdì e la sera ti dicevano se lavoravi o meno la settimana successiva”.

Quindi siamo di fronte a un lavoratore che ha lavorato svariati anni in nero (immagino non per multinazionali come Amazon per le quali è praticamente impossibile fare del nero), poi ha lavorato per aziende ospedaliere – immagino italiane – con contratti settimanali, rinnovati il venerdì per il lunedì. E siamo qui a spalare merda su Amazon. Parliamone.

Lo so, arriverà subito qualcuno a dire che il nero e i contratti settimanali sono colpa delle multinazionali che sfruttano la mano d’opera italiana, ma sono balle. Nel nostro Paese il lavoro in nero esiste da sempre, del sommerso se ne leggeva sui giornali già cinquant’anni fa e da allora è sempre stato una piaga per l’economia nazionale. Per quanto riguarda invece i contratti è lo Stato che permette precariato di questo genere, non sono le aziende che lo sfruttano a essere cattive, ma i governi che pur di fare un piacere ai loro “grandi” elettori permettono questo genere di contratti. Non ce la si deve prendere tanto con chi sfrutta la cosa, ma in primis con chi la permette.

A tutto questo vorrei aggiungere che non credo che a Ferrara il signore viva in un camper, ne avrebbero parlato gli articoli precedenti, lui e la compagna probabilmente a Ferrara hanno un tetto sotto cui vivere ma nel caso aspettiamo ulteriori informazioni per rettificare.

Non credo di poter aggiungere altro.

maicolengel at butac punto it

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