I Mille, i massoni e la pseudoinformazione italiana

Il complotto della spedizione dei Mille!

Una segnalazione che ci è arrivata pochi giorni fa mi ha fatto scoprire qualcosa di cui non avevo mai sentito parlare.

Il complotto della spedizione dei Mille

La segnalazione che abbiamo ricevuto ci segnalava come, su un portale di domande e risposte, una domanda avesse generato una risposta che chi ci faceva la segnalazione ritiene falsa.

Il portale è QualcheRisposta.it, sito che nello stile scopiazza Quora, o Yahoo Answer (che ha chiuso l’anno scorso), e la domanda che veniva posta era:

Chi ha finanziato la spedizione dei mille?

La risposta ritenuta poco affidabile:

La donchisciottesca spedizione di Garibaldi e dei suoi Mille, come la definisce Mack Smith in Cavour e Garibaldi nel 1860, venne finanziata dal governo inglese con una cassa di piastre d’oro turche (moneta franca nel Mediterraneo del tempo) pari a molti milioni degli attuali dollari. Nella spedizione dei Mille il ruolo della massoneria inglese fu determinante con un finanziamento di tre milioni di franchi ed il monitoraggio costante dell’ impresa.

Ammetto che, pur avendo una moglie inglese che è da sempre appassionata di storia, non avevo mai sentito riportata la teoria che la spedizione dei Mille fosse stata pagata dalla massoneria britannica. E ammetto che non pensavo potesse essere un’ipotesi diffusa.

Ma mi è bastata una veloce ricerca online per scoprire che anche solo negli ultimi dieci anni sono tantissimi ad aver parlato di questa credenza:

La notizia che sarebbero stati i massoni britannici a finanziare la spedizione dei Mille non è vecchia, risale appunto a una decina d’anni fa, e la fonte è uno storico italiano, Aldo Mola, o meglio la fonte secondo Il Giornale sarebbe la Massoneria di rito scozzese dell’Obbedienza di Piazza del Gesù, che in occasione di una commemorazione nel 2009 avrebbe fatto questa rivelazione insieme allo storico:

«Il finanziamento – ha detto il professor Aldo Mola, docente di storia contemporanea all’Università di Milano e storico della massoneria e del Risorgimento – proveniva da un fondo di presbiteriani scozzesi e gli fu erogato con l’impegno di non fermarsi a Napoli, ma di arrivare a Roma per eliminare lo Stato pontificio».

Io non sono un’appassionato di storia del Risorgimento, ma in famiglia c’è stato un membro della spedizione dei Mille pertanto ancora conserviamo una lettera dove Garibaldi lo ringraziava per i turtlein che in episodio successivo alla spedizione gli aveva fatto recapitare (tortellini di sua produzione, da ottimo salumiere quale era). Per questo motivo molti anni fa mi occupai di ricerche sulla storia di famiglia ne feci anche sulla spedizione dei Mille, ero curioso di vedere il nome di questo parente indiretto negli elenchi dei garibaldini. Nel corso delle mie semplicissime ricerche avevo verificato che negli archivi di Stato esistono tantissimi documenti di libera consultazione, tra cui l’elenco dei garibaldini e tutta la documentazione sulla gestione finanziaria.

Purtroppo questi documenti non erano stati digitalizzati all’epoca come non lo sono nemmeno oggi (o perlomeno io non sono stato in grado di trovarli), ma esistono risorse online che ne parlano.

Partiamo però sempre da quanto riportato nel 2009 su Il Giornale:

I fondi della massoneria inglese, secondo lo storico, servirono a Garibaldi per acquistare a Genova i fucili di precisione, senza i quali non avrebbe potuto affrontare l’esercito borbonico, «che non era l’esercito di Pulcinella, ma un’armata ben organizzata».

Esiste persino una pagina di Wikipedia dedicata al Fondo per il milione di fucili, e curiosamente non fa cenno a soldi della massoneria inglese ma riporta cifre molto precise, anche grazie ai resoconti raccolti da Alexandre Dumas all’epoca direttamente dalla viva voce di Garibaldi. Riporta Wikipedia:

La raccolta fondi era supportata da un’organizzazione capillare presente con propri comitati nei comuni dell’Italia centrosettentrionale i quali inviavano i fondi raccolti ai Comitati Provinciali che infine riversavano le sottoscrizioni alla direzione milanese. Non mancarono aiuti provenienti dall’estero. Secondo una stima del 12 novembre 1859, il Fondo per il milione di fucili era già ricco di 100.000 lire ai quali si aggiunse un contributo di pari importo devoluto dal Comune di Milano. Non solo il denaro fu oggetto di offerte, ma fucili, munizione ed equipaggiamento militare furono donati al Fondo per il milione di fucili. Altresì l’Ospedale Maggiore di Milano mise a disposizione materiale medico. Il prestigio internazionale di Garibaldi indusse a una donazione anche Samuel Colt, che inviò via mare da New York a Genova, cento revolver Colt Navy. Le armi che affluirono a Milano furono depositate presso la caserma dei carabinieri Santa Teresa dalla quale non uscirono per armare i garibaldini salpati da Quarto, poiché il governatore di Milano, Massimo d’Azeglio, li fece sequestrare giustificando tale ordine con il timore che le armi non giungessero nelle mani di Garibaldi.

La sottoscrizione per il milione di fucili fu chiusa il 20 dicembre 1860 con una rimanenza di cassa di 52.179 lire e 19 centesimi. L’anno successivo fu pubblicato a Milano il Reso conto di tutta la gestione del “Fondo del milione di fucili” diretta dai signori Enrico Besana e Giuseppe Finzi d’immediato incarico del Generale Garibaldi.

Quindi esiste un resoconto di quella raccolta fondi, come esiste un resoconto di tutti i finanziamenti all’impresa dei Mille, resoconto citato su alcuni siti che si occupano di storia. Riporto da uno di questi le parole dello storico Marco Vigna:

Le entrate totali furono di lire 6.201.060,13 e per la maggioranza provennero da cambiali emesse dal governo provvisorio dittatoriale durante la campagna: 5 milioni (l’80 % circa del totale) furono così pagati, coperti dalle ditte genovesi “Parodi” e “C. e Fratelli Rocca”, che a loro volta (con ogni probabilità) furono rimborsate dal Regno di Sardegna. Di fatto, quasi tutto il finanziamento delle spese di guerra provenne da finanziatori genovesi, che erano prestatori presso il governo sardo.

Il denaro tratto in loco, dalla Sicilia o dal Napoletano, fu minimo: giunsero 100.000 lire dalla tesoreria di Sicilia e 41.134,57 ducati dalla segreteria generale della dittatura di Napoli. Furono cifre minime rispetto al totale. Inoltre si noti che le spese suddette non servivano soltanto alla guerra, ma anche al funzionamento della normale macchina statale che la dittatura di Garibaldi aveva rilevata dal precedente governo borbonico e che andava fatta funzionare. Ad esempio, 184.323,44 lire furono spese per ciò che è detto “esercizio politico”, quindi normali costi di pubblica amministrazione. In ogni caso, le somme provenienti dalle finanze siciliane o napoletane furono una parte minimale del totale: il 4 % circa, rispetto all’80 % versato da Genova ovvero dal regno sardo.

La campagna si avvalse anche di contributi privati, pari a 851.735,28 lire. Essi giunsero quasi tutti dall’Italia, con una piccola parte proveniente dall’estero: comunità italiane all’estero, RussiaFranciaUsaRegno Unito. I famosi finanziamenti giunti dall’Inghilterra ammontarono in tutto a 49083 lire dall’Inghilterra, quindi circa lo 0,8 % del totale. Il totale dei finanziamenti giunti dall’estero, ma che di fatto comprendevano anche raccolte di emigrati italiani, fu circa del 2 % del totale. Per dare un’idea dell’esiguità del denaro di provenienza estera basti ricordare che, tra i finanziamenti italiani, quello raccolto con la vendita di coccarde tricolori raccolse 16.000 lire! Arrivarono meno soldi dall’Inghilterra di quanti ne siano pervenuti dalla sola Brescia (62.071) o dalla piccola Como (58.710) o Bologna (62.317).

Ecco, nelle 62.317 lire raccolte a Bologna c’erano anche soldi del mio lontano avo salumiere, nipote di noto martire. L’ipotesi che ci siano dei soldi provenienti dalla massoneria britannica non ha alcuna prova a supporto se non le parole di uno storico e di alcuni massoni, i resoconti non presentano tracce di questi fantomatici tre milioni di franchi in piastre d’oro.

Come sia possibile che negli ultimi tredici anni tante testate giornalistiche italiane abbiano riportato la notizia acriticamente, senza che nessuno degli autori degli articoli abbia mai approfondito la questione, è la dimostrazione pratica che a nessuno interessa più informare ma solo accalappiare il lettore quel tanto che basta a fargli vedere la pubblicità sul sito o acquistare una copia del cartaceo.

Curiosamente, oltre ad alcune testate giornalistiche, gli altri che spacciano la notizia per sicura e affidabile sono siti come: DataBase Italia, I Nuovi Vespri, e tanti di quelli legati ai movimenti neoborbonici con cui ci siamo scontrati in passato.

Non credo di poter aggiungere altro.

maicolengel at butac punto it

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