Nazionalità, immigrazione e profughi: i miei 2 cents

NAZIONALITA

La situazione attuale nella quale si trova l’Europa, e di conseguenza l’Italia, è molto complessa. È complicata da spiegare ed è complicata da capire. Ha una infinità di risvolti politici, economici e umani che rendono difficile fare una analisi approfondita. Quello sul quale possiamo essere tutti d’accordo è il vuoto cosmico delle istituzioni. Non parlo solo del nostro Governo, ma anche dell’Unione Europea e della NATO: chi governa questo paese, chi dovrebbe armonizzare il lavoro di tutti i governi d’Europa e chi ha il dovere di difendere questa Unione.

È chiaro, oltre che ovvio, che il problema profughi sia una storia vecchia, che non sia nata adesso con la guerra in Siria. Basti pensare alla Palestina: tranne chi già era grandicello alla fondazione di Israele, nessuno di noi ha mai sentito parlare del conflitto palestinese senza la questione profughi. Se c’è una cosa sulla quale però non c’è da discutere è questa:

L’Italia non è pronta. 

Pronta a cosa? Pronta a confrontarsi con altre culture, ad affrontare i problemi di convivenza con persone di nazionalità/cultura/lingua/religione diversa dalla propria. Per molti versi è una cosa assurda essendo l’Italia terra di pellegrinaggio e meta turistica a livello mondiale, ma ancora per la maggior parte degli italiani uno straniero è “lo straniero”, che viene a disturbare la propria dolce italianità.

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Questo articoletto non vuole essere un trattato di geopolitica o un manifesto contro il razzismo, voglio solo condividere con voi la mia esperienza e le mie sensazioni. L’esperienza è quella di straniero in Italia.

Nonostante molti ancora mi chiedano se abbia preso ispirazione per il mio nickname da Carpe Diem o da Dexter, Neil è il mio vero nome. Anche il più sveglio si sarà accorto che è un nome straniero, nome impossibile da pronunciare per qualunque italiano. Finora – e sono passati più di venticinque anni – non ho incontrato nessuno in grado di pronunciarlo o, una volta erudito su come si debba pronunciare, ricordarsi come pronunciarlo. Probabilmente è più facile che oggi la gente sappia pronunciare in maniera corretta Josè o Mohammad che il mio nome. Il nome straniero è dovuto al fatto di essere nato oltreoceano, negli USA, dove i miei decisero che fosse più opportuno un nome “locale” per ridurre difficoltà come quelle vissute da loro. Sì, i miei genitori sono italiani che hanno fatto la vita da emigrati negli USA prima, o a cavallo perlomeno, dell’era dell’ascesa degli italiani dalla posizione di “peggio dei polacchi”* a “etnia accettabile come tutte le altre”. Momento storico in cui il concetto di minimum wage era utopia e quando andava bene i nomi dei miei assumevano una tinta ispanica. Una nazione dove esiste lo jus soli, oltre ad una complicata jus sanguinis, permettendomi quindi di essere cittadino americano nonostante i miei genitori non lo fossero e non lo siano mai diventati; subito registrato attraverso il Consolato Italiano a New York all’anagrafe dove prima risiedevano i miei genitori, divenni quindi sia italiano che statunitense. O meglio: statunitense (da ora in poi americano che è più facile) perché nato sul suolo degli USA, ma da sangue 100% italiano immigrato, e italiano, ma concepito e nato migliaia di km dal suolo italico.

Figlio di immigrati in un paese straniero là, straniero figlio di italiani di qua. Americano o italiano quindi? 

“Ti senti più italiano o americano?” insieme a “Meglio là o in Italia?” sono le due domande che per i primi quindici anni in Italia mi sono sentito porre quasi quotidianamente dalle persone, solitamente dopo al loro “Eh?” quando pronunciavo il mio nome. “Come il primo uomo sulla Luna” è ancora il modo in cui cerco di farlo capire alla gente, che comunque nella maggior parte dei casi non capisce lo stesso o ci arriva solo dopo un po’. Meno recente fu il professore che alla mia risposta “Come Neil Armstrong”, rispose “Ah sì, Armstrong, grande trombettista”; più recentemente dopo lo spelling ad un corriere peruviano “N-E-I-L” mi sono sentito chiedere “Enel?”
Questi esempi rappresentano lo sconforto che ancora oggi provo, ma perdono comunque tutti sempre lo stesso.

Starete magari aspettando la risposta alla prima domanda, ed è che mi sono sempre sentito un americano in Italia e non c’era modo che non potessi sentirmi tale. “Ai miei tempi” non c’erano stranieri a scuola o all’oratorio o dovunque si andasse. Chiunque scoprisse che io o mio fratello o le mie sorelle eravamo americani si faceva prendere dallo stupore e dall’entusiasmo. Per tutti era una cosa straordinaria che venissimo da così lontano e si vedeva la curiosità scintillare negli occhi della gente. Come potevo non sentirmi americano: cresciuto ascoltando vinili americani di canzoni per bambini come On top of spaghetti, Grandfather’s clock o The Old Woman Who Swallowed a Fly – potete gustarvi anche voi l’album più bello della storia su Youtube – festeggiando Halloween mettendo una candela in una zucca intagliata quando la gente manco aveva mai sentito nominare questa festa, guardando film in inglese quando nessuno parlava questa strana lingua e approfittarne per comunicazioni segrete tra di noi. Ho sempre guardato il mondo attorno a me come un americano in Italia, ma nonostante questo non mi sono mai sentito meno italiano degli altri, perché c’è tanto per essere orgogliosi di essere italiani. Per citare alcune ragione scontatissime: l’arte, i paesaggi, il cibo, il calcio – sì, gli sport americani non mi piacciono un granché. Non riesco ad immaginare combinazione più bella di americano e italiano. Se parlo dell’Italia riesco a farlo sia come osservatore esterno che come persona coinvolta direttamente. Sono cresciuto qui e in Italia ho passato la maggior parte della mia vita, non posso non sentirmi italiano. Nonostante ciò venivo chiamato “american boy” o semplicemente “americano” e questo non mi offendeva per nulla, essendo tutto vero.

Essere americano non mi ha mai fatto sentire migliore o superiore, non ci sarebbe alcun motivo per sentirmi così, esattamente come essere italiano non mi rende migliore o superiore a nessun altro. Nessuno è migliore o superiore per via della propria nazionalità, qualunque cosa voglia dire questo termine, soprattutto nel mio caso. 

Americano o italiano quindi? 

Oggi come risponderebbero i tanti, tantissimi italiani che si sentono superiori in quanto nati in Italia? Quegli italiani che urlano e sbraitano e riversano la loro insicurezza su qualunque straniero gli passi davanti. Tanti di questi bazzicano anche qui, giusto per qualche commento brillante quando trattiamo bufale sugli immigrati. Immagino già qualcuno che adesso riceve l’illuminazione e dice “Aaah, ecco perché difendono sempre i clandestini!!” – che ovviamente non ha alcun senso, anche perché io ho trattato ben poche volte questo argomento, oltre al fatto ognuno qui si scrive i propri articoli in libertà senza alcuna imposizione di “linea editoriale” nel senso classico, che ci crediate o meno.

Un po’ mi piacerebbe sapere il parere di chi ha definito un nostro “collega” come “immigrato”, come per sminuirlo. Io cosa sono secondo il canone xenofobo attuale? Provocazioni a parte, negli anni la “novità” dello straniero catalogabile come straniero buono in quanto proveniente dagli USA è andato scemando. Sicuramente la politica americana ha avuto il suo ruolo, anche se dagli anni ’70 in poi non è che sia cambiato moltissimo – Vietnam per esempio – ma principalmente i nuovi immigrati hanno alzato il livello di guardia della gente: una volta erano tutti marocchini, in quanto non c’è differenza per loro con algerini, tunisini e così via, come ora sono tutti peruviani – equadoriani, colombiani ecc, è tutta la stessa roba.

https://www.youtube.com/watch?t=14&v=h_-BbZ66b7c

Stop fighting North and South Korea, you’re both basically all chinese.

Si è passati dalla curiosità per le peculiarità degli stranieri al timore, alla paura del diverso. L’Italia invece di avanzare è arretrata, somigliando più agli USA degli anni ’50 che agli USA moderni. Basta guardare qualche TG per rendersi conto che neanche lì sono rose e fiori, parliamoci chiaro, e cerchiamo di non finire nel ragionamento “l’erba del vicino è sempre più verde”: il cattivo rapporto tra polizia e afroamericani, e il problema dell’immigrazione dal confine messicano sono questioni importanti che influenzano la vita degli americani. C’è una differenza importante, ed è quella che dimostra quanto l’Italia non sia pronta: trovarsi un compagno di banco o un collega, incontrare al bar o anche solo camminare di fianco per strada a qualcuno di un’altra razza o altra etnia non è una cosa che mette timore o crea panico in un americano. È normale conoscere gente con origini ebraiche, tedesche, olandesi, italiane o cinesi e questo non è visto come una cosa negativa, anzi, è visto come una cosa positiva.

Non voglio generalizzare perché è una cosa sbagliata. I razzisti e gli xenofobi sono di casa ovunque e gli Stati Uniti non sono da meno, anzi in alcune zone ci sono dei bei campioncini, soprattutto negli stati del sud, ma non solo. Ci sono delle differenze storiche importantissime tra l’Italia e gli Stati Uniti e la questione su come si possa definire l’Americano tipo è molto più difficile che definire l’Italiano, questo è chiaro. Questo non è un post in cui voglio discutere se sia meglio l’Italia o gli USA, discussione sterile ed inutile, ma mi rendo conto di quanto ci sia da lavorare in questo paese, paese che dovrebbe essere la culla della civiltà e della cultura. Paese da dove è partito il Rinascimento, ma che grida allo scandalo se vede passare un pullman di gente di colore diverso o che gioisce alla vista della morte di persone innocenti.

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Sì, perché bisogna tornare da dove siamo partiti: chi scappa dalla povertà, dalla miseria o dalla guerra. O anche chi solo scappa da un paese dove si vive male, o dove si è vittime di repressione per motivi religiosi o razziali. Come ho detto poco fa, nessuno è superiore per diritto divino, la nostra razza non ci rende migliori. Però non tutti la pensano così e tra gli stessi “stranieri” esistono episodi di razzismo e odio che in realtà noi non riusciamo neanche ad immaginare. La superiorità che l’Europa e l’Italia devono dimostrare è la superiorità come società: una società che ha imparato dalla propria storia millenaria e dagli errori compiuti in passato, come la persecuzione degli ebrei. Perché venire in Europa se non per questo? Credete che un siriano si senta inferiore in quanto nato in Siria e cerchi di elevarsi venendo qui?

Ovviamente no, cerca un modo per vivere meglio per lui/lei e i suoi figli. Anche solo la possibilità di vivere.

Questo vuol dire che bisogna fare passare tutti indistintamente? No. Bisogna affondare i barconi allora? Neanche. Ragionare per assoluti è l’altro limite dell’Italia di oggi, che sta consumando un po’ alla volta il paese. Chi festeggia la morte di quei bambini e/o che inneggia ai grossi veicoli da lavoro come soluzione a tutti i mali solitamente è anche chi difende a spada tratta i “valori italiani”. E quali sarebbero? Su questo argomento sono molto ferrato, e i “valori italiani” dovrebbero coincidere con quelli che un giudeo ha dichiarato un paio di millenni fa: l’accoglienza, la carità, la cura del malato e del prigioniero, il perdono e l’amore… o forse abbiamo letto libri diversi. Io sono sicuro di avere letto e capito quello giusto, non so se vale anche per gli altri. Gente che si barrica dietro a pregiudizi per difendere il proprio orticello, gente che trova pagliuzze in ogni dove ma che davvero non vede la trave che ha nel culo (semi cit.).

Chi è al potere da tanto tanto tempo si mette le fette di salame sugli occhi e spende parole vuote su questo problema. Tanto la gente dimentica alla svelta e si può sempre dare la colpa a chi governava prima, in questo caso ricordatevi che chi oggi si straccia le vesti è stato al governo e non ha fatto niente di concreto. A dire il vero in alcuni parti del nostro Paese non ha mai smesso di governare – tipo dove abito io, la Lombardia. Ce le vogliamo togliere anche noi queste fette di salame? La smettiamo di vedere eroi e demoni da ogni parte? Vi siete mai fermati a cercare quali siano le soluzioni che i politici offrono per rendere l’immigrazione più gestibile e umana? Abbiamo il vuoto pneumatico a destra, a molto destra, a sinistra e molto sinistra. Ma mica solo in Italia, eh. Vi siete fermati a pensare che le guerre che si combattono e che fanno muovere una bella fetta di questa gente sono guerre vere dove la gente MUORE?

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Abbiamo due possibilità: o li contiamo nella colonna VITTIME o li contiamo nella colonna PROFUGHI. O magari una terza via c’è, se cominciamo a fare quello che dovremmo fare da quando abbiamo fondato le Nazioni Unite: risolvere i conflitti cercando di portare al dialogo le nazioni e le fazioni che si scontrano. Con la pace scappano meno persone. Se c’è giustizia ci sono meno ragioni di andarsene. Se si vive e si mangia meglio posso costruire un futuro migliore per i miei figli.

Concludo salutando tutti quelli che penseranno “il solito buonista” – termine che non ha alcun significato IMHO – dicendo loro che io certo non sono nessuno per risolvere i problemi del mondo, ma ricordate che non lo siete neanche voi. Ripetere a pappagallo slogan senza capo né coda, intrisi di odio e supponenza, non migliora il mondo, anzi lo indirizza sempre di più verso quello che è oggi, cioè una gran merda, dove ognuno è per sé.

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Come ultimissima cosa non avrei mai pensato di dover guardare alla Germania come esempio in questo momento. Accoglienza dei profughi, poliziotti che fermano e segnalano estremisti e coglioni leoni da tastiera denunciati. Che debbano essere i cugini teutonici a mostrarci la via mi ha sorpreso non poco.

Ricordatevi di amare col cuore, ma per tutto il resto di usare la testa.

neilperri @ butac.it

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*I polacchi sono per tradizione considerati la più “sfigata” tra le etnie negli USA, per esempio sostituiscono i carabinieri delle nostre barzellette.


Neil mi aveva chiesto una prefazione al suo pezzo, non l’ho reputato necessario. L’unica cosa che mi resta da dire è:

grazie Neil per essere qui con noi!

La Redazione