No Way – Immigrazione australian style

Stavolta tutto il lavoro l’ha fatto qualcun altro qualche anno fa, ma evidentemente i consiglieri dei nostri ministri non hanno tempo per fare ricerche ben fatte, e li mandano allo sbaraglio senza alcuna verifica dei fatti.

Si legge sui giornali che il nostro ministro dell’Interno, e non solo lui, vorrebbe attuare un piano contro l’immigrazione uguale a quello definito “No Way” e messo in campo dal governo australiano da svariati anni. Circolano video molto esplicativi che avvertono coloro che vogliono arrivare illegalmente in Australia che verranno rispediti regolarmente al mittente.

No Way

Il piano No Way risale al 2013, e da allora è riuscito a fermare praticamente tutte le imbarcazioni che hanno cercato di raggiungere l’Australia. Ma Il Post, nel 2015, ci aveva già spiegato tutto quanto c’è da sapere su come funziona e sul perché sia impraticabile per l’Italia.

Partiamo dai dati. La maggioranza degli immigrati irregolari che cercano di raggiungere l’Australia non viene da Paesi in guerra: Indonesia e Sri Lanka sono per lo più le due mete da cui partono. E sono le due mete a cui vengono rispediti, nella stragrande maggioranza dei casi per merito di accordi fatti coi governi attuali.

Questi accordi prevedono un pagamento ai due Paesi, pagamento che serve a occuparsi di chi viene rispedito indietro e contrastare chi aiuta i clandestini a partire. Oltre a questi accordi l’Australia ha anche un ulteriore accordo con due altri Paesi: Nauru e la Papua Nuova Guinea, che hanno creato strutture dove accogliere gli immigrati respinti che facciano richiesta d’asilo. Immigrati che nei due Stati vivono finché non sono state espletate le pratiche per l’asilo. Richiesta d’asilo che però se accolta non prevede di arrivare in Australia, ma di restare appunto nei due Paesi in cui vengono trattenuti.

I numeri

Il Post ci spiegava nel suo lungo articolo anche i numeri dell’operazione australiana, sia quelli legati al numero di arrivi (relativi al 2014):

Nel 2013, prima dell’inizio dell’operazione, l’Australia ha visto gli arrivi di immigrati irregolari via mare raggiungere il loro record storico: 20 mila persone in un solo anno (per fare un confronto: il nostro record è del 2014, 170 mila arrivi in un anno). Secondo i dati diffusi dal governo australiano, dopo l’operazione tra il settembre 2013 e l’ottobre 214, sono arrivate nelle acque australiane soltanto 23 imbarcazioni con 1.350 persone a bordo. Soltanto una è riuscita a raggiungere la costa australiana senza essere intercettata.

…sia quelli relativi ai costi:

…“Sovereign Borders” è un’operazione molto costosa: circa 300 milioni di euro l’anno secondo le cifre ufficiali del governo australiano (l’attuale missione, Triton costa quasi 36 milioni di euro l’anno). In alcuni documenti del parlamento, però, si ipotizza che il costo possa essere maggiore, visto che queste cifre includono soltanto le spese aggiuntive sostenute dall’agenzia delle dogane. Secondo una commissione del parlamento australiano, includendo anche tutte le spese sostenute dalla marina australiana, il costo dell’operazione potrebbe salire a più di 400 milioni di euro l’anno. Per fare un confronto, l’operazione Mare Nostrum è costata al governo italiano 108 milioni di euro in un anno.

A queste cifre vanno aggiunti i costi di gestione per i controlli di chi viene fatto sbarcare, sia in Australia (prima di venire rimandati a casa) sia a Nauru e in Papua Nuova Guinea, dove tutti i costi sono accollati al governo australiano. Per capirci, come riportava sempre il Post:

Questo programma è costato in totale, nell’anno fiscale 2013-2014, due miliardi di euro. Il flusso di migranti verso l’Italia è, negli ultimi anni, di circa dieci volte superiore a quello australiano.

Lo capite che una gestione simile al No Way, facendo le proporzioni con la gestione australiana, dovremmo spendere circa 20 miliardi di euro all’anno? E che anche essendo disposti a spenderli dovremmo trovare stati come Nauru e Papua, ma anche Indonesia e Sri Lanka, disposti in cambio di denaro a un accordo negli stessi termini…

Comprendo che sia difficile capire certi numeri, che non sia semplice fare paragoni, ma credo di avervi dato (per merito dell’ottimo articolo del Post a firma Davide Maria De Luca) molto materiale su cui riflettere. Certo, so bene che ci sarà chi continuerà a insistere che se non si può fare in altra maniera tanto vale lasciarli affogare, ma so che molti di voi che leggete BUTAC siete meglio di quella gentaglia.

maicolengel at butac punto it
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