Normativa italiana sul CBD: è legale o no?

Negli ultimi giorni si è tanto discusso sulla legalità della cannabis, visti gli ultimi sviluppi in merito alle sorti del referendum per la sua depenalizzazione, bocciato dalla Corte Costituzionale a febbraio di quest’anno. 

Se a oggi sappiamo che è possibile acquistare marijuana legale online su Justbob (uno tra gli e-commerce più influenti e importanti nel mercato odierno), la questione risulta ancora poco chiara e bisognosa di trasparenza. 

Questo articolo ha l’obiettivo di sbrogliare la situazione e comprendere la posizione del governo italiano in merito alla legalità del cannabidiolo (CBD). 

È possibile acquistare Cannabidiolo legale? Cosa dice la legge italiana in merito

CBD come farmaco? Per l’OMS è una sostanza sicura

Il primo ottobre del 2020, il Ministero della Salute aveva emanato un decreto in cui il cannabidiolo (CBD) veniva riconosciuto come farmaco per la somministrazione orale. 

In sostanza, è stato inserito all’interno della Tabella dei Medicinali del Decreto del Presidente della Repubblica 309 del 1990, nella sezione dedicata a quelli capaci di scaturire uno stato di dipendenza fisica e/o psichica.

Quali sono le conseguenze?

Va da sé che, in questo modo, il CBD non potrebbe più essere liberamente commerciato, mandando in crisi un intero settore emergente. 

Ma fortunatamente, nemmeno un mese dopo, il Ministero pubblica un ulteriore decreto dove fa un passo indietro, facendo tirare un sospiro di sollievo a venditori e canapicoltori. 

Infatti, il CBD è stato più volte riconosciuto come sostanza sicura e incapace di dare dipendenza. Ad affermarlo sono l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e, successivamente la World Anti-Doping Agency (WADA): quest’ultima lo aveva rimosso dall’elenco delle sostanze dopanti. 

Così facendo, gli sportivi hanno avuto il lasciapassare per un suo eventuale consumo, a patto che dimostrassero di non fare uso di sostanze che contenessero lo psicotropo THC. 

Il CBD è legale in Italia?

In effetti, (per il momento) non esiste una normativa che ne vieti espressamente il consumo.

Se con il decreto del 28 ottobre 2020 il CBD non viene più considerato uno stupefacente dalla legge, a oggi esiste una grossa lacuna riguardo la sua regolamentazione: poiché si parla esclusivamente di coltivazione e commercio, risulta ancora poco chiaro come possa essere adoperato e consumato nell’atto pratico.

Per questo, facciamo un passo indietro e vediamo come si è espressa l’Unione Europea in merito.  

Il 19 novembre 2020, la Corte Europea emana una sentenza dove due imprenditori vengono assolti dalle accuse di aver venduto delle sigarette elettroniche con del liquido a base, appunto, di CBD. 

A questo proposito, è stato deciso che “Uno Stato membro non può vietare la commercializzazione del cannabidiolo (CBD) legalmente prodotto in un altro Stato membro, qualora sia estratto dalla pianta di Cannabis sativa nella sua interezza e non soltanto dalle sue fibre e dai suoi semi”.

Cosa significa questo?

Stando così le cose, l’Unione Europea non considera il CBD una sostanza pericolosa, e quindi l’Italia deve, in qualche modo, farvi riferimento. 

Ciononostante però, il nostro Paese deve percorrere ancora tanta strada prima di raggiungere l’obiettivo della cannabis legale, e ciò lo conferma la bocciatura del referendum da parte della Corte Costituzionale

Referendum Cannabis legale: cosa è andato storto

Nonostante siano state raccolte più di 630 mila firme che fanno capire quanto la quesitone fosse impellente per il popolo italiano, il 15 febbraio 2022 la Corte Costituzionale dice no a vari referendum, tra i quali quello sull’eutanasia e sulla cannabis.

In risposta alle varie polemiche che si sono sollevate, il presidente della Consulta Giuliano Amato si giustifica sostenendo che “il quesito referendario non era sulla cannabis ma sulle droghe pesanti, insistendo sui quei commi dell’articolo 73 del Testo Unico degli Stupefacenti che non contenevano la cannabis, ma facevano riferimento a sostanze che includono papavero e coca, da qui la violazione di obblighi internazionali”. 

Il fraintendimento tra le due parti nasce dalla richiesta di eliminare il verbo ‘coltiva’ come attività legalmente punibile e sanzionabile dall’articolo 73 del Testo Unico degli Stupefacenti.

Ora, l’articolo, lo ricordiamo, recita così:

“Chiunque, senza l’autorizzazione di cui all’articolo 17, coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall’articolo 14, è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000”.

Se la parola ‘coltiva’ fa esclusivamente riferimento alla cannabis (perché è l’unica pianta da cui si possono ricavare sostanze stupefacenti), il presidente Amato risponde che l’articolo include anche ad altre sostanze stupefacenti, e dunque non può essere preso in considerazione.  

Per queste ragioni, la questione del CBD risulta ancora poco chiara, per cui occorrerà attendere ulteriori sviluppi nella speranza di trovare maggiore trasparenza dal punto di vista legislativo.

Conclusioni

In questo articolo si è cercato di fare più chiarezza in merito alla legalità del CBD, sostanza ritenuta sicura e priva di stupefacenti dalla stessa OMS. 

Come abbiamo detto in precedenza, l’Unione Europea sembra tutelare la sua commercializzazione da uno Stato membro a un altro, per cui anche in Italia non può esserne vietata la diffusione. 

Ma tutt’oggi, si richiedono maggiore trasparenza e una regolamentazione esplicita che dia precise disposizioni sull’uso personale e ricreativo.