Predatory publishing

predatory publishing

Come aggirare la peer review e vivere felici

Pubblicare le proprie ricerche e i propri risultati su un giornale scientifico è il principale mezzo con cui i gruppi di ricercatori svelano al mondo le scoperte che hanno effettuato. La pubblicazione richiede diversi passaggi, in cui riveste grande importanza la peer review, cioè la revisione tra pari. Questo processo consiste nel sottoporre tutti i passaggi della propria ricerca, dalla raccolta dati, all’analisi degli stessi, fino alle conclusioni, a ricercatori con simili competenze. Questo permette di ottenere una validazione da parte di persone non coinvolte nel lavoro dell’articolo che si vuole pubblicare ed è un sistema di auto-regolazione onnipresente nel campo scientifico.

Per fare un piccolo esempio, se io ho effettuato una ricerca su un nuovo metodo per determinare la presenza di una certa malattia, dopo aver scritto l’articolo completo lo invierò a un giornale scientifico, che a sua volta girerà il pezzo a un ricercatore qualificato in quel campo. Sarà suo compito valutare se la ricerca sia stata condotta in maniera consona e avanzare eventuali critiche per colmare lacune o risolvere problematiche. Quando queste saranno risolte l’articolo allora sarà accettato per la pubblicazione.

Attenzione, il processo può generare frustrazione e caduta di capelli

Liberi da errori

Il sistema non è perfetto, ma funziona e garantisce che gli articoli che vengono poi pubblicati siano liberi da errori metodologici, statistici o anche semplicemente che i dati non siano stati manipolati per ottenere un certo risultato. Per questo motivo risulta molto lungo e complesso riuscire a pubblicare articoli scientifici, perché quanto viene divulgato va ad arricchire il sapere umano ed è necessario che sia il più oggettivo possibile.

Tutto questo processo viene gestito generalmente da editori specializzati nel settore, ognuno con un proprio modello di business. Alcuni editori fanno pagare un abbonamento per la lettura degli articoli, mentre altri utilizzano un sistema open-access per gli stessi.

Predatory publishing

Senza addentrarci troppo in queste distinzioni, voglio portare alla vostra attenzione un problema chiamato predatory publishing (fonte Wiki). Questo modello consiste nel far pagare i costi di pubblicazione a chi intende pubblicare (come avviene per tutti gli editori), ma è caratterizzato da una flebile peer-review, se non addirittura assente, e dall’accettare qualsiasi tipo di lavoro, senza tener conto dei suoi limiti o di possibili manipolazioni. Il problema è ben conosciuto nell’ambiente scientifico ed è considerato molto grave, perché genera letteratura su cui non si può fare affidamento. Praticamente un ossimoro.

Per chi volesse approfondire consiglio di leggere questo interessante articolo qui: Predatory Publishing: An Emerging Threat to the Medical Literature. Harvey HB, Weinstein DF. Acad Med. 2017;92(2):150-151.

Lui non si è fatto fregare dal predatory publishing

Nel tentativo di comprendere appieno la portata del fenomeno è stato creata una lista di giornali che seguono questo tipo di modello, la Beall’s List, pubblicata da Jeffrey Beall, un professore associato dell’Università del Colorado a Denver, attento studioso del mondo delle pubblicazioni scientifiche e coniatore del termine predatory publishing. Al momento in cui scrivo il sito risulta sospeso, ma al link sopra riportato è disponibile una copia cache dello stesso. Non sono ancora chiari i motivi per cui la pagina sia stata rimossa, ma nella comunità scientifica questo evento è stato vissuto come la perdita di un importante strumento. Per capire il perché, bisogna sapere che la mole di lavoro prodotta dalla scienza è estremamente elevata ed esistono migliaia di diversi giornali di pubblicazioni scientifiche. Sapere se il giornale su cui si vuole o si è invitati a pubblicare utilizzi questo genere di sistema può risultare fondamentale perché bisogna avere la certezza che il proprio lavoro sia attentamente analizzato per poter essere realmente accettato dalla comunità scientifica

Se siete arrivati fino a qui, complimenti.

Ma perché parlo di tutto questo?

Il motivo è la recente notizia della pubblicazione da parte di un ricercatore “indipendente” (non ho ancora capito cosa significhi, scusate la mia ignoranza, ma mi occupo di scienza solo da dieci anni) del suo famigerato articolo sulla presenza di nanoparticelle nei vaccini. Ora, se andiamo a cercare il giornale su cui è stato pubblicato questo articolo, lo possiamo sorprendentemente ritrovare nella Beall’s List.

Il Professor Beall mentre caccia Predator

Attenzione, questo non vuol dire che l’articolo non sia genuino, ma diciamo che deve suonarci un campanello di allarme, perché forse ci troviamo davanti ad un articolo non di prima qualità. E lo sappiamo, noi in cucina, come nella scienza, vogliamo solo il meglio. A questo punto risulta sacrosanto porsi delle domande. Per esempio, se questo articolo a lungo rimandato è stato infine pubblicato è perché gli altri editori non lo ritenevano corretto al punto da poterlo pubblicare? È stata effettuata una corretta peer-review?

A queste domande non possiamo avere risposta, ma possiamo chiederci se l’autore dell’articolo sia riuscito a risolvere e rispondere alle criticità emerse dal vaglio del suo lavoro da parte dell’Agence Nationale de sécurité du Médicament et des produits de santé (ANSM), l’ente francese preposto al controllo sui farmaci. A questo link (in francese) potete trovare il documento con cui gli esperti dell’ente hanno valutato il lavoro del ricercatore italiano. Nelle conclusioni è possibile leggere:

Les experts confirment l’absence d’éléments alarmants quant à la toxicité de Meningitec sur la base des analyses réalisées par le Pr Alvarez et l’ANSM. Par contre, les données présentées dans le rapport du Dr Montanari sont difficilement interprétables en raison de sérieux problèmes méthodologiques. Les métaux sont retrouvés à l’état de traces dans tous les médicaments injectables analysés, y compris le sérum physiologique. La présence de ces métaux à l’état de traces, qui ne peuvent être quantifiés par des méthodes pourtant sensibles, est le reflet de la réalité environnementale et ne doit pas être considérée comme un risque sanitaire.

Gli esperti confermano l’assenza di elementi allarmanti riguardo alla tossicità del Meningitec sulla base delle analisi effettuate dal professor Alvarez e l’ANSM. Di contro, i dati presentati nel rapporto del dott. Montanari sono difficilmente interpretabili a causa di seri problemi metodologici. I metalli sono ritrovati allo stato di tracce in tutti i medicinali iniettabili analizzati, compresa la soluzione fisiologica. La presenza di questi metalli allo stato di tracce, che non può essere quantificata nemmeno con strumenti estremamente sensibili, è conseguenza della realtà ambientale e non può essere considerata come un rischio sanitario.

(Per chi volesse approfondire, consiglio il posto al riguardo di RIV, Rete Informazione Vaccini.)

Andando a leggere l’articolo non sembra che questi problemi siano stati risolti e che le conclusioni siano sempre le solite, molto lontane da quelle dell’ambiente scientifico mondiale. Sembra piuttosto che ci troviamo davanti a un articolo che non ha accettato critica alcuna e che ha tirato dritto per la sua strada. E questo è quanto di più bizzarro si possa vedere nell’ambiente scientifico. Infatti non siamo più ai tempi di Galileo e i ricercatori moderni devono e sanno accettare le critiche al proprio lavoro perché è questo l’unico modo reale per ottenere nuova conoscenza che possa realmente giovare a tutti.

Per chi avesse ancora dubbi, il problema non è dove l’articolo sia stato pubblicato (anche se rimane un giornale discutibile), ma piuttosto l’incapacità di rispondere alle domande sollevate da altri scienziati esperti dell’argomento da parte del ricercatore “indipendente”. E questo non può dare altro che da riflettere sul suo lavoro.

PA
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