Ragioni del Sì e del No

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L’avete chiesto più volte, l’avete chiesto in tanti, ma un reality check delle ragioni per il Sì non c’è su Butac, non c’è e non ci sarà perché non ha senso. Se ne avete voglia potete seguirmi, altrimenti là fuori il mondo è pieno di siti pronti ad accogliervi e dirvi quello che volete sentirvi dire.

Butac non nasce per parlare di politica, nessuno in redazione è particolarmente interessato alla materia, ognuno avrà le proprie preferenze, politiche come religiose, ma onestamente fra di noi ce ne siamo sempre infischiati. La politica è entrata su Butac nel momento in cui i supporter di questo o quel partito hanno cominciato ad usare la rete come diffusore di bufale, d’ogni ordine e livello. Principalmente bufale a sfondo razzista, notizie pubblicate omettendo fatti, notizie pubblicate senza fonti.

La modifica della Costituzione non rientra tra queste. È una cosa reale, uno strumento politico che può portare grandi cambiamenti nel Paese, se siano positivi o meno non sta a me dirlo, non ne ho le competenze. Come sempre ho provato a rispondere a quelle che sono le domande che ci sono state poste più di frequente, su Butac abbiamo pubblicato qualche articolo che tratta alcune delle ragioni per opporsi, dando a voi gli strumenti per verificarne la fondatezza o meno.

Sono le uniche sensate da trattare per un sito che si occupa (o almeno ci prova) di corretta informazione.

Le ragioni del Sì sono le stesse del No, ma all’opposto: nel momento in cui mi viene detto perché devo votare No ovviamente si sta confutando uno dei punti per il Sì che non viene ritenuto corretto. Rifare la stessa trafila per il Sì è solo una perdita di tempo. Anche perché a Butac non interessa spingervi verso un voto, ma solo spingervi ad esser più incuriositi ad approfondire. Quello che voterete è affar vostro.

Qualcuno negli ultimi giorni mi ha linkato articoli e studi di Confindustria pubblicati quest’estate, chiedendomene la demistificazione. Ma si tratta di previsioni a lungo termine, basate a loro volta su altre previsioni, fatte prima che iniziasse la campagna referendaria; cosa può sbufalare un demistificatore? Noi ci basiamo su fatti, non previsioni, potremo forse sbufalarle tra due anni quando e se i fatti daranno torto a Confindustria. Qualcun altro mi ha segnalato di sbufalare il fatto che usciremmo dall’euro se vincesse il No, sostenendo che si trattava di una precisa affermazione del Financial Times, ed è vero, esiste un articolo del FT che prospetta una crisi italiana ed europea nel caso post referendum si arrivasse ad un’instabilità di governo, ma da nessuna parte si afferma che se vincesse il No usciremmo dalla moneta unica. Il Referendum non è un’ItExit, sebbene alcuni ne siano convinti.

Le modifiche alla costituzione sono fatte bene?

Non lo so, non sta a me dirlo, quando ho potuto sono andato a verificare i fatti di chi sosteneva che fosse malfatta, ma sempre sulla base di precedenti e fonti. Non sono nessuno per poter giudicare e prevedere come funzionerebbe la nuova Costituzione. Quelle proposte ritengo siano modifiche complesse, pochi tra i chiamati a votare hanno le competenze sufficienti per giudicare queste modifiche, affidandosi a quel punto al parere degli altri. Ma per modificare la costituzione è necessario che il popolo si esprima, quindi non ci si poteva esimere dal Referendum, non è uno di quei casi in cui era meglio che facessero da soli.

Reality Check?

Qualche settimana fa avevo scritto un articolo che cercava di fare un piccolo Reality Check su un volantino che circolava con alcune ragioni del No. Era un articolo in buona parte decisamente poco interessante perché era poco interessante il volantino stesso. L’articolo ha ricevuto critiche (giuste per chi le ha sollevate), perché non rappresentava quelle ritenute le vere ragioni del “Io Voto No”; avevo cercato di spiegare nell’introduzione che si trattava del volantino che più ci è stato segnalato e che abbiamo visto circolare di più tra gli aderenti al No. Ma siamo tutti d’accordo che si trattasse di un volantino populista, che di vere ragioni espresse ne aveva ben poche.

Sono stato pertanto indirizzato su un sito con altre dieci motivazioni per votare No al referendum, dieci motivazioni che perlomeno appaiono meno generiche e più indirizzate alle modifiche alla Costituzione, meno di panza insomma.

Io non sono un esperto di legge, ho solo letto tanto sulle modifiche proposte alla Costituzione; trovo che gli articoli migliori che rappresentano al meglio le modifiche alla costituzione li si trovi su Il Post e L’internazionale, e lascio che ve le studiate da soli se volete votare con la testa.

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Quanto segue sono le mie umili opinioni sulle dieci ragioni portate avanti dalla campagna per il No, dieci ragioni che si basano a loro volta su previsioni e opinioni di altri ancora.

Proviamo, per quanto possibile, a vederle una a una.

1. Il Senato non viene abolito: viene eliminato il voto dei cittadini. A eleggere i senatori saranno i consiglieri regionali, nonostante la Costituzione sancisca all’art. 1 che «la sovranità appartiene al popolo».

Corretto, il Senato non viene abolito. Ma non viene “eliminato il voto dei cittadini”: cambiando la rappresentanza in Senato i cittadini sono invitati a eleggere consiglieri regionali tra cui verranno scelti i senatori. Ma non c’è nulla che vada  contro l’articolo 1 della Costituzione, visto che i consiglieri regionali sono eletti dai cittadini. Noi non eleggiamo nemmeno il Presidente della Repubblica, o il Presidente del Consiglio, ci appoggiamo alle scelte fatte da quelli che abbiamo votato perché ci rappresentino. Qui accade la stessa cosa: tra i consiglieri regionali, che abbiamo votato noi, saranno scelti i senatori.

2. Il nuovo Senato sarà composto da 74 consiglieri regionali, 21 sindaci, 5 senatori nominati dal Presidente della Repubblica per 7 anni. Così diventa, in sostanza, un “dopolavoro” per sindaci e consiglieri regionali, gli stessi degli scandali degli anni passati, che godranno di immunità parlamentare.

Innanzitutto sarebbe importante avere presente che al momento in Italia ci sono circa un migliaio di consiglieri regionali, con almeno quattro Regioni che hanno un consiglio sovradimensionato rispetto al numero d’abitanti. Togliendo i 74 senatori il numero resta altissimo. Chiamarlo “dopolavoro” lo trovo errato, sarà un lavoro diverso per gli eletti, un lavoro a termine da svolgere in concerto con gli impegni regionali. Il Senato si riunisce una media di nove volte al mese, non serve essere a Roma tutta la settimana. È un lavoro conciliabile con la posizione in Consiglio regionale, specie se vissuta come incarico d’interlocuzione tra Regione e Parlamento. costituente_aulaL’immunità di cui godranno quei 74 eletti è la stessa dei parlamentari, visto che diventano parlamentari a tutti gli effetti, ma non è che i consiglieri regionali siano tutti farabutti mentre i nostri parlamentari siano tutti galantuomini. Trattandosi oltretutto di consiglieri regionali votati dai cittadini il problema ritengo sia alla base: perché li abbiamo votati se erano farabutti?

3. Il numero di deputati rimarrà di 630, lasciando così una Camera pletorica con le stesse altissime indennità.

Vero, anche secondo me il numero dei deputati potrebbe essere ridotto. Ma se ne facciamo un discorso basato sul risparmio, ridicolo sul totale della spesa pubblica italiana, forse dovremmo ritenere un passo avanti aver ridotto di due terzi il Senato.

4. Le competenze del Senato resteranno numerose, su diverse materie e molto gravose: come faranno sindaci e consiglieri regionali a coniugare mandato territoriale e mandato senatoriale?

La risposta credo sia molto simile a quella del secondo punto. In Italia abbiamo un migliaio di consiglieri regionali, non credo che quei 74 eletti a senatori possano inficiare l’operatività dei Consigli regionali. Diversa è la questione per i sindaci, posso esser d’accordo che fare il sindaco possa esser un lavoro difficile, e sicuramente ci sono periodi dell’anno in cui è richiesta la presenza in città. Ma vorrei che aveste presente che già oggi  circa il 17% dei senatori attuali è assente al 30% e più delle riunioni del Senato. Quindi circa cinquanta senatori stanno a casa almeno per tre riunioni su dieci. Dite che potrebbe essere che anche i sindaci si comportino così? Può essere, ma come quei cinquanta assenteisti non causano il caos, lo stesso non credo possa accadere se alcuni dei sindaci saranno assenti. Qualcuno ha obbiettato, chiacchierando a voce, che non vede come un consigliere regionale possa avere le stesse competenze di un senatore, che evidentemente nella testa del mio interlocutore è qualcuno inteso come un vecchio saggio, mentre invece in Senato è già rappresentata tutta l’Italia, dal più anziano acculturato al “giovane” imprenditore. Sfogliando l’elenco dei senatori attuali si trova di tutto, dall’insegnante all’infermiere, dall’avvocato all’imprenditore, uno spaccato d’Italia esattamente come possiamo trovarli tra i consiglieri regionali. Non tutti sono di carriera politica, alcuni alla candidatura come senatori ci sono arrivati “vergini”, quindi non vedo perché dovremmo ritenerli più esperti di chi si candida in un Consiglio regionale. Questo non significa meglio regionali che parlamentari, affatto, ma solo che io non vedo la differenza.

5. La tanto ventilata semplificazione è in realtà un miraggio: aumenteranno le procedure legislative e la divisione per materie causerà conflitti di attribuzione.

Sui conflitti di attribuzione non sento di potermi pronunciare, e ritengo che il parere riportato da Il Post sia uno dei più semplici e illuminanti:

Sulla maggior parte delle leggi sarà soltanto la Camera a dover decidere, eliminando così la cosiddetta “navetta”, cioè il passaggio della stessa legge tra Camera e Senato che oggi capita avvenga anche più di una volta, visto che le due camere devono approvare leggi che abbiano esattamente lo stesso testo. La “navetta” è un prodotto del “bicameralismo perfetto”, un’istituzione che possiede solo l’Italia in tutta Europa. Secondo alcuni questo cambiamento – a lungo auspicato da costituzionalisti e politici di ogni schieramento – è reso dalla riforma in maniera confusa. Alcuni hanno notato come l’attuale articolo 70 della Costituzione, che stabilisce la competenza legislativa di Camera e Senato, è composto da nove parole: “la potestà legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere”. Quello nuovo previsto dalla riforma invece è lungo 363 parole. Questa complicazione rischia di produrre conflitti di competenze tra le camere e ritardi nell’approvazione delle leggi. Chi difende la riforma sostiene che anche gli eventuali conflitti che potrebbero sorgere, soprattutto nei primi anni, non possono essere paragonati alla lentezza legislativa che comporta per sua natura il bicameralismo perfetto.

costitutioPro e contro: chi può fare un debunking di questo, o affermare con certezza chi abbia ragione? Si tratta, ripeto, di previsioni, basate su opinioni, non studi fatti su modelli simili. Sia i proponenti della riforma sia i sostenitori del No non possono dirvi come andranno realmente le cose: non lo sanno neppure loro. Dovrete votare secondo la vostra opinione.

6. Si crea una sproporzione totale rispetto alla Camera, assolutamente priva di senso: avremo 100 senatori da una parte e 630 deputati dall’altra. I primi eleggeranno due giudici costituzionali, i secondi solo tre, per fare un esempio.

Il Senato avrà meno poteri legislativi, meno compiti, ma il mondo è pieno di sistemi unicamerali che funzionano senza problemi, e sono pochi i Paesi in cui esista il bicameralismo perfetto che abbiamo avuto in Italia fino ad oggi: in Europa siamo gli unici ad averlo così. Perché dovrebbe essere un problema la sproporzione tra Camera e Senato? L’esempio che viene portato non capisco che rilevanza possa avere nella realtà dei fatti, e dubito che un’altissima percentuale di coloro che leggono questa affermazione abbiano ben chiaro, senza informarsi ulteriormente, come viene formata la Corte costituzionale. Da Wikipedia:

La Corte costituzionale della Repubblica Italiana è composta di quindici giudici, nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria e amministrative (art. 135 primo comma Cost.).

Quindi fino ad oggi avevamo 15 giudici, di cui 5 nominati dal Presidente della Repubblica, 5 dalla Magistratura e 5 dal Parlamento in seduta comune. Dopo ne avremo 15: 5 nominati dal Presidente della Repubblica, 5 dalla Magistratura, 3 dal Parlamento e 2 dal Senato. La differenza è così abissale? Anche oggi se il Parlamento in seduta comune vota 5 giudici della Corte è facile che il voto dei senatori concorra ad eleggerne solo due, sono la metà dei deputati. In caso di vittoria del Sì quel due non cambierà, anche se invece che essere la metà della Camera i senatori saranno un sesto. Ogni senatore, in pratica, nell’eleggere la Corte Costituzionale rappresenterà più cittadini di prima.tumblr_n6j8zhnuyv1qkant6o2_400

7. Il Senato non costituirà un contropotere esterno rispetto alla Camera, non avendo particolari poteri di inchiesta e controllo. Non sono previsti neppure contropoteri interni alla Camera.

Vero, lo snellimento e la riforma nascono anche dalla necessità di voler evitare le situazioni di stallo che più volte abbiamo potuto vedere nel corso degli ultimi 25 anni. Il problema maggiore è la poca fiducia nei politici, la cosa migliore da fare probabilmente sarebbe cercare di cambiare i nostri rappresentanti così spesso da non consentire loro di affezionarsi alla posizione, e da dare il meglio per il Paese. Ma purtroppo questa è un’utopia. Gli stessi 56 costituzionalisti che invitano a votare No nel loro documento ufficiale specificano che:

Di fronte alla prospettiva che la legge costituzionale di riforma della Costituzione sia sottoposta a referendum nel prossimo autunno, i sottoscritti, docenti, studiosi e studiose di diritto costituzionale, ritengono doveroso esprimere alcune valutazioni critiche.

Non siamo fra coloro che indicano questa riforma come l’anticamera di uno stravolgimento totale dei principi della nostra Costituzione e di una sorta di nuovo autoritarismo.

Siamo però preoccupati che un processo di riforma, pur originato da condivisibili intenti di miglioramento della funzionalità delle nostre istituzioni, si sia tradotto infine, per i contenuti ad esso dati e per le modalità del suo esame e della sua approvazione parlamentare, nonché della sua presentazione al pubblico in vista del voto popolare, in una potenziale fonte di nuove disfunzioni del sistema istituzionale e nell’appannamento di alcuni dei criteri portanti dell’impianto e dello spirito della Costituzione.

Premettono chiaramente che non vedono la riforma come un’anticamera ad una nuova forma di autoritarismo, sono molto più preoccupati dal fatto che la stessa riforma possa causare nuove disfunzioni al sistema, e non accettano che sia passata principalmente per merito del voto della maggioranza di Governo e non tramite analisi e discussioni tra i vari rappresentanti politici in Parlamento. Il parere più negativo nei confronti della riforma viene proprio dai senatori.

8. Grazie all’Italicum, che garantisce 340 seggi alla Camera a prescindere dai voti ottenuti, si andrà verso un “premierato assoluto” dato che solamente la Camera darà la fiducia.

tumblr_n6j8zhnuyv1qkant6o4_1280È vero, esiste quella possibilità, l’Italicum è una cosa che va messa posto, e andava fatto prima delle votazioni per il referendum. Ne stanno discutendo giusto in questi giorni. Ma cos’è questo Italicum? Molti di quelli con cui ho discusso avevano le idee un po’ confuse in merito, e anche io avevo bisogno di un sano ripasso, quindi andiamo insieme a vedere cosa ci dice Wikipedia:

La legge elettorale italiana del 2015, denominata ufficialmente legge 6 maggio 2015, n. 52[1] e comunemente nota come Italicum dal soprannome che le diede nel 2014 l’allora segretario del Partito Democratico e futuro presidente del Consiglio Matteo Renzi, suo principale promotore (fino a fine gennaio 2015 con l’appoggio anche di Forza Italia di Silvio Berlusconi, con il quale aveva stretto il Patto del Nazareno), prevede un sistema proporzionale a doppio turno a correzione maggioritaria, con premio di maggioranza, soglia di sbarramento e 100 collegi plurinominali con capilista “bloccati”. Essa disciplina l’elezione della sola Camera dei Deputati a decorrere dal 1º luglio 2016 e sostituisce la precedente legge elettorale del 2005, modificata dalla Corte Costituzionale con un giudizio di illegittimità costituzionale nel dicembre 2013.

Queste le misure previste dall’Italicum:

  • premio di maggioranza di 340 seggi (54%) alla lista (non più alla coalizione) in grado di raggiungere il 40% dei voti (non più il 37) al primo turno;
  • ballottaggio tra le due liste più votate se nessuna dovesse raggiungere la soglia del 40%, senza possibilità di apparentamento tra liste. Il vincitore ottiene 340 seggi (non più 321);
  • soglia di sbarramento unica al 3% su base nazionale per tutti i partiti, non essendo più previste le coalizioni;
  • suddivisione del territorio nazionale in 100 collegi plurinominali, da designare con un decreto legislativo che il governo è delegato a varare entro due mesi dall’entrata in vigore della legge;
  • designazione di un capolista “bloccato” in ogni collegio da parte di ciascun partito, con possibilità per i capilista di candidarsi in massimo 10 collegi;
  • possibilità per gli elettori di esprimere sulla scheda elettorale due preferenze “di genere” (obbligatoriamente l’una di sesso diverso dall’altra, pena la nullità della seconda preferenza) da scegliere tra le liste di candidati presentate;
  • per favorire l’alternanza di genere, l’obbligo di designare capilista dello stesso sesso per non più del 60% dei collegi nella stessa circoscrizione (regione) e di compilare le liste seguendo l’alternanza uomo-donna.

Non sta a me dirvi se sia o meno una legge corretta, concordo che l’Italicum non avrebbe alcun senso di esistere se passasse la riforma, e che quindi vada modificato in quell’ottica. Senza riforma l’Italicum era il sistema scelto per poter evitare lo stesso ostruzionismo che invece andrà a cadere con il nuovo Senato. È vero che, lasciando l’Italicum così com’è, chi vincesse le prossime elezioni potrebbe trovarsi con un premio di maggioranza di 340 seggi, esattamente come sarebbe successo col Porcellum di Calderoli in vigore fino all’anno scorso. Quel premio di maggioranza, se passa il Sì, deve cambiare, credo siamo tutti d’accordo su questo. Quello che è importante tenere a mente è che prima che la riforma abbia effetto ci deve essere il tempo (e la volontà) per produrre un testo (che oltretutto si narra sia già stato mostrato ad alcuni) e votarlo.

9. La riforma restringe le possibilità di partecipazione diretta dei cittadini alle scelte politiche.

Qui l’argomento è davvero vasto, e tutto basato, a mio avviso, più sulle sensazioni che sulla vera possibilità di minore partecipazione diretta alle scelte politiche. Intanto andrebbe compreso a cosa ci riferiamo, perché con partecipazione politica s’intende una cosa (anzi due), con democrazia diretta s’intende altro ancora. La definizione di “partecipazione politica” è discussa, Wiki ci spiega che:

Una difficoltà che si riscontra nella definizione di partecipazione politica riguarda la doppia valenza semantica che assume il verbo “partecipare” tanto nell’uso politico che in quello comune:

  • da un lato significa “prendere parte” ad un determinato atto o processo,
  • dall’altro “essere parte” di un organismo, di un gruppo, di una comunità.

Ad un polo abbiamo dunque che la partecipazione consiste in azioni determinate, in un coinvolgimento di tipo decisionale, sia nel senso stretto di decisione su temi che di scelta di persone destinate ad occupare cariche politiche. Al polo opposto abbiamo invece che la partecipazione significa una incorporazione attiva nell’ambito di una solidarietà socio-politica a diversi e possibili livelli (solidarietà statale, di classe, di gruppo, di partito)

Non mi è chiaro quale delle interpretazioni dia il comitato #iovotoNO, ma con la riforma non ci viene tolto il diritto di voto, saremo sempre noi a eleggere e scegliere i nostri rappresentanti alla Camera dei deputati, come saremo sempre noi a scegliere la percentuale di rappresentanza regionale che avremo in Senato; purtroppo, e questo è qualcosa che andrebbe risolto, non è ancora stato chiarito come saranno scelti i senatori tra i consiglieri regionali, nella riforma si spiega solo che si userà il sistema proporzionale e che “i seggi verranno attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun consiglio”.

È vero che ci saranno meno senatori e che quindi ognuno di loro rappresenterà più cittadini, ma saranno comunque persone scelte tra gli eletti dal popolo, non scelti tra perfetti sconosciuti e imposti dal Governo.

Cambiano in maniera importante le regole per la democrazia diretta. Come già spiegavo nel precedente articolo:

Il punto dedicato alla democrazia diretta è l’art.11, dove si parla sia delle Leggi d’iniziativa popolare che di nuovi strumenti di democrazia diretta (referendum popolari propositivi).

Per presentare un disegno di legge di iniziativa popolare serviranno 150.000 firme, ovvero tre volte quante ne servono oggi, ma in contemporanea la Camera dovrà indicare tempi di discussione e votazione sulla stessa, cosa che oggi invece non è prevista (e quindi nel nostro ordinamento le leggi d’iniziativa popolare non hanno mai avuto alcun peso). Con la nuova norma il cittadino dovrebbe fare uno sforzo maggiore per raccogliere consensi, ma una volta raggiunti avrebbe la certezza di vedere il proprio ddl discusso e votato. Al tempo stesso l’introduzione dei referendum propositivi e d’indirizzo dovrebbe dare un ulteriore spinta alla democrazia diretta.

L’obiezione, corretta, che fa qualcuno è che così è più facile per chi ha potere sulle “piazze” ottenere quelle firme, ma nulla vieta anche agli altri di far leva nella stessa maniera, anzi, a me pare che la ricerca del voto di “piazza” la stiano facendo tutti già da un po’ com’è normale che sia. Al tempo stesso il grande cambiamento è che quelle proposte popolari andranno veramente valutate una volta arrivate in Parlamento, e non solo messe a pigliar polvere.

10. La riduzione dei costi è minima, nemmeno paragonabile a quanto si otterrebbe dal dimezzamento di deputati e senatori, dato che i nuovi senatori godranno comunque di rimborsi e diarie.

Vero, la riduzione dei costi sarà minuscola se paragonata alla spesa pubblica italiana, sia che prendiamo in esame le cifre sostenute dall’opposizione che quelle per il Sì si tratta comunque di una goccia nel mare. La spesa pubblica italiana è stata nel 2014 oltre gli 835 miliardi di euro, 500 o 50 milioni in più o in meno, purtroppo, non fanno alcuna differenza.


Non credo sia necessario aggiungere altro, come sempre non è intenzione mia spingervi a parteggiare per il Sì o per il Nò, ma solo spingervi a leggere, studiare, analizzare, magari usando più enciclopedie e tomi legislativi piuttosto che giornalisti e opinionisti.

Se siete arrivati fin qui però una cosa la voglio aggiungere: le campagne pro e contro le modifiche alla Costituzione fanno entrambe schifo, si prende per i fondelli il cittadino raccontando mezze verità, manipolando quando possibile i fatti per portare acqua al proprio mulino, non cascateci, ragionate davvero con la vostra testa. I politici (tutti) vi stanno vendendo un prodotto e per farlo sono disposti a raccontare sempre la “loro verità” che non è fatta di fatti, ma di opinioni. È come chi deve vendervi un biscotto e oggi urla ai quattro venti che è senza olio di palma, evitando attentamente di dirvi che l’hanno sostituito con un altro grasso, magari ancor peggiore per la vostra salute.

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Qualsiasi cosa votiate fatelo con la vostra testa, non con quella di qualcun altro, me incluso.

Vogliamo lasciarvi con un’interessante riflessione del Post sulla campagna referendaria e com’è stata gestita da entrambe le fazioni.

Questa campagna elettorale ha peggiorato tutti, peggiorato le prospettive e mostrato una regressione – proprio mentre ci sarebbe un gran bisogno di segnali opposti – anche tra molti di coloro che si pensano “progressisti”. Da quali parti si sia visto il peggio, è abbastanza irrilevante da valutare, se non si vuole scadere al livello infantile di “ha cominciato lui” o “ma lui di più”: c’è una palese trasversalità del modello ultras. E a farne più le spese sono stati gli invisibili e silenziati italiani che avrebbero voluto accingersi al referendum con l’attenzione e l’investimento sul futuro che merita, e con la misura adeguata: parlando di una riforma della Costituzione di un paese solidamente democratico e delle sue conseguenze terrene, né più né meno. Molte persone perbene voteranno no e molte persone perbene voteranno sì, e non si saranno insultate nel frattempo: è il rumore che non si sente.

maicolengel at butac punto it
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