Registro italiano in Internet – Attenzione

Come alcuni di voi sanno il mio lavoro vero è fare il commerciante/artigiano, ho una piccola bottega a Bologna, che è aperta da quasi 200 anni. Io ci lavoro da circa 25 anni, e di tentativi di raggiro fatti ai negozianti ne ho visti tanti. Dai falsi abbonamenti alla rivista del carabinieri/finanzieri ai bollettini precompilati che pensiamo siano tasse/multe/bollette e che magari paghiamo senza approfondire. Purtroppo sono tutte cose in cui chiunque, senza esperienza, può cascare.

Registro italiano in Internet

Oggi il mio avvocato mi chiama per segnalarmi un caso che avevo già visto nel 2008. O meglio anche io, nel 2008, avevo ricevuto il contratto per iscrivermi al Registro Italiano In Internet, La prima pagina del contratto è come quella che vedete qui sotto:

L’offerta che arriva alle attività è semplice: si parla di verificare i dati che vengono riportati al fine di essere inseriti nella maniera corretta nel “Registro Italiano in Internet – per le imprese”, viene usata la parola inserzione (che ovviamente sta a intendere pubblicitaria, quindi a pagamento, ma non tutti comprendono così ). La clausola più in piccolo, sotto al modulo d’inserimento dati, è quella con la richiesta di abbonamento da cui non ci si può staccare prima di tre anni, al costo di 958 euro all’anno. Se non si rescinde prima di tre mesi dalla scadenza si è automaticamente costretti a pagare per un altro anno, 958 euro all’anno, a una casa editrice tedesca. Bisogna leggere tutto per bene per accorgersi del capestro. Se compilo il modulo e m’iscrivo mi arriveranno bollette belle care.

Il parere del mio avvocato

Come spiega l’Avvocato Annamaria Cesari del Foro di Bologna:

La condotta attuata dalla società tedesca e dalla società di recupero crediti ceca sono state oggetto di vari provvedimenti sanzionatori dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

Di fatto la società tedesca invia un modulo alle microimprese (anche a società di medie e grandi dimensioni) apparentemente finalizzato alla sola “verifica dei dati”, che invero nasconde un contratto per un servizio a titolo oneroso (pubblicitario?). Dopo avere perfezionato il presunto contratto la società tedesca prima e la società di recupero crediti dopo domandano con modalità molto pressanti la somma di €958,00 annui. Sull’esistenza effettiva del presunto servizio e del presunto contratto si potrebbe dire molto, ma in questa comunicazione ciò che rileva è solo il come hanno ottenuto una firma ed il conseguente pagamento.

I solleciti sono particolarmente aggressivi; infatti il malcapitato – spaventato dai costi di un imminente contenzioso in Germania (perché è questo ciò che preannunciano la società tedesca e quella di recupero crediti, allegando anche il testo di un presunto decreto ingiuntivo europeo a riprova della loro concreta volontà di azione), nonchè dalla continua ricezione di solleciti di pagamento (via fax, email e pec) – tende a pagare la somma proposta a saldo e stralcio dalla società di recupero credito, pur di eliminare definitivamente il problema.

Modello europeo per le controversie di modesta entità

Imprese in tutta Europa

Lo stesso tipo di giochino non avviene solo con aziende italiane. Ad esempio in UK il portale a cui invitano all’iscrizione si chiama Uk Corporate Portal, le cifre richieste per l’iscrizione sono simili (e nascoste alla stessa maniera), dietro a tutto c’è la stessa ditta. Ho trovato siti tedeschi, croati, olandesi, inglesi parlare di questo raggiro. Purtroppo però solo in Croazia sembra che sia intervenuta direttamente l’autorità statale per bloccare la faccenda. Quasi tutti i danneggiati sono stati costretti a rivolgersi ad avvocati per fare pratiche che li esonerassero dai pagamenti verso la società di recupero crediti che li esige. Società che scaduti i tre anni acquisisce da DAD Deutscher Adressdienst GMBH il mandato per andare a recuperarli. Nella mia breve indagine ho notato che DAD resta sempre la stessa fin dal 2008, cambia invece la società che esige il credito, mantenendo però la sede nella Repubblica Ceca. Non sta a me fare delle accuse, non è compito del debunker, il mio è quello di verificare i fatti.

E i fatti ci dicono che la condotta sfruttata è considerata, anche per la legislazione italiana, scorretta, non bisogna pagare quelle ingiunzioni, non bisogna farsi intimidire. Lo dimostrano le tante delibere che sono state fatte contro la DAD anche in territorio italiano, il mio avvocato me ne ha girate ben sei, tutte fatte negli ultimi 5 anni.

10 anni che va avanti

Quello che mi lascia un filo attonito è vedere che in 10 anni (diciamo 7, visto che il gioco inizia allo scadere del contratto triennale) non si sia intervenuti in maniera più decisiva contro una sistema che continuerà a fare vittime. Questi soggetti hanno probabilmente guadagnato centinaia di migliaia di euro, forse milioni, a fronte di un investimento relativamente piccolo.

Che in tutto questo tempo non si sia riusciti a fermarli lascia sorpresi.

I moduli che inviano hanno quell’aria ufficiale che difficilmente insospettisce qualcuno che non conosca già i fatti. Purtroppo pare che le richieste di pagamento non arrivino solo a chi ha firmato, ma anche a chi non l’ha fatto. Tanto sono passati tre anni, magari non ti ricordi d’aver firmato quel contratto, o magari chi l’ha fatto oggi non lavora più nella tua azienda. Tutto è possibile. Ma davanti alla minaccia di una denuncia da una società di recupero crediti – per una somma sicuramente non piccola, ma sopportabile per un’azienda di medie dimensioni – è facile che siano tanti quelli che scelgano di pagare, convinti che l’avvocato potrebbe costar loro di più. Perché è questo che spesso accade, si paga per togliersi il disagio, spaventati, anche quando convinti di essere vittima di un raggiro.

L’Unione dei consumatori

In Italia sulla questione è intervenuta l’Unione dei Consumatori, che nel 2017 ci spiegava:

Dopo le opportune verifiche da parte dell’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato, ci si è resi conto della truffa sul registro italiano in internet per le imprese.

DAD è stata quindi segnalata, per il suo “Registro italiano in Internet per le imprese“, e l’Antitrust ha quindi avviato un procedimento istruttorio per pubblicità ingannevole e comparativapratiche commerciali scorrette e clausole vessatorie.

L’Antitrust sottolinea, inoltre, che DAD ostacola di fatto l’esercizio del diritto di recesso dal servizio in abbonamento chiarendo la natura onerosa del servizio, solo ad avvenuta scadenza del termine contrattuale previsto.

Purtroppo però le parole di Antitrust e Autorità Garante non sono sufficienti a far cessare la cosa. Costringendo di fatto tutti quelli minacciati a rivolgersi ad uno studio legale o comunque a un’associazione che li tuteli legalmente dalle richieste di recupero crediti. Non credo sia giusto. Specie visto che non è così difficile risalire ad alcuni dei soggetti dietro alle società in questione. Se è così semplice per comuni blogger e debunker credo che le autorità internazionali dovrebbero essere in grado di fare di più. Non trovate anche voi?

Il sito è pressoché inutile

La cosa che mi fa sorridere è andare a vedere il sito a cui si è invitati a iscriversi, il “Registro italiano per le imprese in internet” dominio registrato in Germania, valutazione per Alexa di scarsissimo livello, indicizzazione sui motori di ricerca inesistente. Per “Worth of web” il sito vale poco più di 100 dollari. BUTAC che in 6 anni non ha mai fatto pubblicità sui motori di ricerca vale circa 45mila dollari (e prima dei quattro giorni di sequestro per la querela del medico barese eravamo a oltre 60mila dollari, l’indicizzazione è calata a causa dei 4 giorni di black out totale). Sia chiaro, quella di Worth of Web è una valutazione inutile per i siti europei non in lingua inglese. Ma pur sempre un metro di paragone per capire di cosa stiamo parlando.

Google, nelle review dedicate alla società (non che abbiano alcun valore, so bene quante recensioni false si possano fare 😉 ), mostra una singola stellina, su trenta recensioni, il leitmotiv è sempre lo stesso:

SCAM!!! (truffa!!!)

European Business Number

Il sistema funziona, come abbiamo visto, in tanti Paesi europei. Pare che al momento, in maniera ancora più subdola, circoli non più come iscrizione al Registro delle imprese, ma a un registro europeo, che necessita di verifica dei dati delle aziende iscritte. I moduli, come mostra 2-spyware.com, sono questi:

La lettera tutta in inglese porta l’indicazione EBN, European Business Number, e spiega che per l’iscrizione a questo registro occorre che verifichiamo i dati. L’intestazione con il colore blu dell’Unione, e solo in fondo leggiamo un Legally Binding che dovrebbe farci drizzare le antenne. Quanti ci cascheranno? Quanti allarmati da quel “LAST CALL” in prima pagina abboccheranno al contratto e si troveranno ingiunzioni di pagamento per un servizio inutile? Quanti prima che le autorità si decidano a bloccare questi soggetti?

Un membro britannico del Parlamento europeo ha anche diffuso un video, 4 anni fa, dove spiega perché non si debbano pagare queste esose richieste:

Ma c’è qualcosa che evidentemente non funziona, se dopo 4 anni DAD è ancora in circolazione e i bollettini che intimano pagamenti di qualche migliaia di euro vengono inviati a cadenza regolare.

Come mi spiegava l’Avvocato Cesari:

Tenuto conto della diffusione della vicenda, sarebbe auspicabile un intervento ad hoc coordinato degli stati coinvolti (Italia, Germania e Repubblica Ceca). Nel frattempo la diffusione della notizia può essere utile pe mettere in guardia i soggetti interessati affinchè prestino maggiore attenzione quando gli venga sottoposto per la firma qualsivoglia modulo da parte di soggetti di cui non hanno garanzie certe quanto alla loro affidabilità.

Nel 2013 arrivò anche una richiesta d’aiuto al Parlamento europeo, la petizione 1176/2013, che rispose con questo documento, dove si prometteva di rivedere la direttiva europea sulle pubblicità ingannevoli includendo anche casi come quelli che venivano denunciati nella petizione. A oggi non mi risulta sia stato cambiato nulla. E questo è un peccato, perché c’è evidentemente gente che su questo vuoto normativo ci marcia. E gente che ci casca…

Concludendo

Se si va a vedere la pagina del Registro italiano si nota come non ci siano tanti iscritti, ma ce ne sono.  Pensare che ognuno dei nomi presenti nella lista sia qualcuno che c’è cascato e che probabilmente, per non avere guai, ha pagato mi rattrista molto. Un’anima buona con un po’ di tempo da perdere potrebbe contattarli tutti e magari linkare loro questo articolo di BUTAC, o una delle tante fonti riportate: per aiutarli a capire che se ancora non hanno pagato sono probabilmente ancora in tempo per evitare l’esborso. Quando invece ho il terrore che la loro presenza su quelle pagine sia quasi una profilazione di possibili prede per i “cacciatori”…

Lo so, qualcuno di voi arriverà a commentare lamentandosi che chi ci casca se lo merita, ma non è così. Sono vittime, magari potevano starci più attente (anche se, come avrete capito, alla volte le ingiunzioni arrivano anche quando non è stato firmato alcunché), ma comunque vittime.

Non credo sia necessario aggiungere altro.
maicolengel at butac punto it
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