Reuters, Oxford e la Black List

Un link pubblicato nei commenti ha posto alla mia attenzione uno studio che non avevo ancora letto nella sua forma completa. Si tratta di uno studio fatto dal Reuters Institute For the study of Journalism e l’Università di Oxford.

Il titolo:

Measuring the reach of “fake news” and online disinformation in Europe

Misurare la portata di “fake news” e disinformazione online in Europa

L’anticipazione che ci viene data in prima pagina è molto chiara:

None of the false news websites we considered had an average monthly reach of over 3.5% in 2017, with most reaching less than 1% of the online population in both France and Italy. By comparison, the most popular news websites in France (Le Figaro) and Italy (La Repubblica) had an average monthly reach of 22.3% and 50.9%, respectively

Nessuno dei siti di fake news che abbiamo considerato ha avuto una copertura mensile media superiore al 3,5% nel 2017, la maggior parte ha raggiunto meno dell’1% della popolazione online sia in Francia che in Italia. In confronto, i siti di notizie più popolari in Francia (Le Figaro) e in Italia (La Repubblica) hanno rispettivamente avuto una copertura media mensile del 22,3% e del 50,9%

Incuriosito insieme a Noemi mi sono letto tutto lo studio, sono dieci pagine su due colonne, nulla di troppo impegnativo, potete farlo tutti.

Studio parziale

La conclusione dell’apertura ci spiega subito che lo studio è parziale e che si necessita di maggiori informazioni per capire il raggio d’influenza della disinformazione online, in questi ed altri Paesi. Peccato, perché bastava poco per fare meglio di così, e da parte di un’università prestigiosa come Oxford un po’ mi dispiace. Sembra che non vogliano davvero vedere.

Ma sto correndo troppo, torniamo allo studio.

La Black List

A pagina due c’è qualcosa che attira la nostra attenzione:

For both France and Italy, our starting point was lists of unreliable websites compiled by independent factcheckers and other observers. For France, we used the Décodex—a database of around 1000 websites compiled by Le Monde’s Décodeurs project in the course of their fact-checking. In Italy, we combined lists from three different sources. Two of these lists were retrieved from independent fact-checking websites—BUTAC and Bufale. The third list came from Bufalopedia, a website co-created by Paolo  Attivissimo, a prominent journalist who describes himself as a “hoax buster”. These are the best available, independently-compiled lists of websites that have repeatedly published demonstrably false information, whether for profit or motivated by other reasons.

Sia per la Francia che per l’Italia, il nostro punto di partenza erano elenchi di siti web inaffidabili compilati da fact-checkers indipendenti e altri osservatori. Per la Francia, abbiamo utilizzato il Décodex, un database di circa 1000 siti web compilato dal progetto Décodeurs di Le Monde nel corso del loro fact-checking. In Italia, abbiamo unito le liste di tre diverse fonti. Due di questi elenchi sono stati recuperati da siti Web indipendenti di controllo dei fatti: BUTAC e Bufale. La terza lista proveniva da Bufalopedia, un sito web co-creato da Paolo Attivissimo, un eminente giornalista che si descrive come un “acchiappabufale”. Questi sono i migliori elenchi disponibili e compilati in modo indipendente di siti web che hanno pubblicato ripetutamente informazioni false in modo dimostrabile, a scopo di lucro o motivate da altri motivi.

Le liste di siti che diffondono notizie false sono prese, per l’Italia, da Butac, Bufale.net e Paolo Attivissimo. Onorati, sia chiaro, ma…

Oxford, we have a problem

Oxford, senza contattarci in alcuna maniera, ha basato uno studio sulle fake news e la loro diffusione online basandosi su delle black list create anni fa, compilate principalmente partendo da blog e siti che diffondono tanta fuffa. Siti da parte dei quali, in rari casi, potevo avere paura di ripicche (e che a volte ci sono state): chi li gestisce cela la sua identità, sa bene che può incorrere in sanzioni. Ma non sono quelle le fake news di cui avere davvero paura. Quelle che spaventano sono le notizie false o manipolate diffuse dalla stampa e la tv mainstream, dai politici, dai supporter e dai BOT, le testate delle black list servono solo da monito. Ammetto che mi sono davvero cadute le braccia. Bastava una mail, ci voleva pochissimo per raggiungerci, per approfondire, per chiedere i criteri di compilazione, gli ultimi aggiornamenti, come funziona una lista di quel genere.

I siti di cui si è tenuto conto

Difatti basta andare avanti a leggere per rendersi conto che l’errore di base della ricerca è la materia di studio:

Not all of the outlets included on the initial lists were relevant for our purposes. Here, we are concerned with outlets that consistently and deliberately publish “false news”, which we have defined elsewhere as “for-profit fabrication, politically-motivated fabrication [and]
malicious hoaxes” designed to masquerade as news (Nielsen and Graves 2017)

Non tutti i siti inclusi negli elenchi iniziali erano pertinenti ai nostri scopi. Qui, ci occupiamo di siti che pubblicano in modo coerente e deliberato “notizie false”, che abbiamo definito altrove come “creazione di notizie false a fini di lucro, politicamente motivata [e] notizie fasulle “progettate per mascherarsi come notizie  vere” (Nielsen e Graves 2017)

Nel 2017 persino i sassi avevano capito che per diffondere disinformazione occorre nasconderla in mezzo a notizie buone o perlomeno molto plausibili. I siti che diffondevano solo notizie inventate, oggetto dello studio, sono decisamente rari oggi. Si sono rifatti una verginità, sono passati a pubblicare ricette vegetariane, hanno cambiato nome, e sfruttano la popolarità acquisita per fare soldi e proseliti in altra maniera. Si dice inoltre che sono stati esclusi i siti di satira anche se certe volte la gente prende per buoni i loro articoli, ma allora anche quelli che noi definiamo siti di pseudosatira sono stati esclusi? Sarebbe importante capirlo perché come sapete quella della satira è solo una facciata, mantenuta per evitare denunce, ma che non c’entra niente con la satira vera: li abbiamo definiti pseudosatira perché sfruttano quella facciata per diffondere bufale virali belle e buone, dedicate a quel pubblico che non sa cosa sia un disclaimer.

No Youtube, Altervista o Blogspot

La scelta dei siti da studiare quindi non comprende tutti quelli presenti nella Black List, è stata fatta una cernita che taglia fuori tutti quelli privi di dominio proprio, tutti i canali Youtube, gli account singoli di Facebook e Twitter. Niente Altervista o Blogspot, da cui proviene larga parte dei siti usa e getta che generano singoli post virali, diffusi da reti di account personali spesso gestiti in modalità BOT. Come non vengono prese in considerazione le bufale diffuse tramite semplici immagini, senza link ad articoli, o tutte quelle diffuse tramite canali diversi, quali Whatsapp e Telegram.

Un campione non rappresentativo

Lo capite che quello analizzato – in tutto 21 siti per quanto riguarda l’Italia – non è un campione valido su cui basare uno studio di questo tipo? Mentre invece la sua pubblicazione permette agli stessi che sulle fake news fanno proseliti di titolare:

Campagne elettorali minacciate da fake news? E’ una Fake news

Rassicurando i propri lettori, non che ce ne fosse bisogno. È una fake news inception, la sagra di chi la racconta peggio. Ma ovviamente per chi sulle fake news sta fondando le campagne elettorali questa è manna dal cielo.

Le testate nazionali come paragone

Per mostrare l’impatto dei siti delle Black List si usano come paragone le testate nazionali coi dati di lettura dei media mainstream. Ma il problema è che su quelle stesse testate nazionali si diffondono notizie manipolate, e quelle sono le fake news che bucano di più tra la popolazione, quelle sono le notizie che preoccupano di più, e che possono davvero cambiare la percezione del lettore. Quando Ansa e ADNKronos ritengono fonti affidabili siti come Daily Mail e RT, quando la Polizia di Stato emette allarmi sul Blue Whale o quando il presidente dell’Ordine dei biologi organizza convegni con noti antivaccinisti. Le fake news sono in Parlamento, solo che sono diverse da quelle che state cercando di analizzare voi. Non è “il cugino della Boldrini” a indignare le masse, ma la “pensione agli immigrati” o i “soldi per i terremotati svaniti“. L’omissione e la manipolazione sono le cose che influiscono di più sulla percezione dei lettori, che sono già una piccola parte del popolo del web.

Una grossa fetta di pubblico, infatti, non legge gli articoli linkati sui social, al massimo i post, ma per lo più guarda e condivide video e immagini, gli articoli li condivide sulla fiducia.

Un esempio deprimente

Butac è su Twitter, da quando abbiamo cambiato tema non sono riuscito a risolvere un errore che fa si che l’immagine condivisa sui social non sia più quella con l’indicazione chiara di BUFALA (o cos’altro sia). Sabato 3 febbraio Noemi ha pubblicato un articolo, che su Twitter è uscito così:


Il primo commento è stato:

è autentico??

e ancora

Ditemi che è un fake vi prego…..

Su 4 commentatori 2 non avevano aperto l’articolo, e parliamo dei follower di un sito che cerca di spiegare come le fonti siano la cosa più importante di ogni notizia…

Il tempo di permanenza sul sito?

…the difference between the top news brands and false news sites is larger in terms of time spent than in terms of reach. In almost all cases, the average time spent per visit was higher for La Repubblica and Il Corriere della Sera than for false news sites. In this sense, reach figures may overstate the level of actual engagement with the content if visits to false news sites are very brief…

…la differenza tra i migliori nomi del giornalismo e i siti di notizie false è maggiore in termini di tempo trascorso che in termini di copertura. In quasi tutti i casi, il tempo medio trascorso per visita era più alto per La Repubblica e Il Corriere della Sera che per i siti di notizie false. In questo senso, raggiungere certe cifre può esagerare il livello di impegno effettivo con il contenuto, se le visite a siti di notizie false sono molto brevi…

Chi casca con entrambi i piedi nelle bufale non ha un “tempo di lettura” sul sito che l’ha generata, condivide (o copia e incolla, rendendo più arduo il tracciamento) senza neppure aver aperto l’articolo, si fida del titolo e della fonte. Le percentuali di analfabetismo funzionale studiate dall’OCSE mettono l’Italia in penultima posizione, non tenerne conto è un errore. Le percentuali qualche anno fa parlavano di un 47% di italiani tra i 18 e i 65 anni analfabeta funzionale di primo livello. Circa la metà degli elettori, e non cascate nella facile battuta, non c’è una fazione che si salva, la problematica è diffusa in tutto l’elettorato. Oggi il metodo di classificazione è variato, esistono classifiche interattive, e anche voi potete partecipare alla raccolta dati. Al momento siamo terz’ultimi in classifica, dietro di noi Turchia e Cile, davanti Spagna e Grecia. Il primo in classifica è il Giappone con al seguito Finlandia e Paesi Bassi.

Io sono un dilettante

Io non sono un ricercatore o uno scienziato, solo un piccolo blogger dilettante, ma mi appare lampante che questa ricerca escluda tutte le galassie più pericolose della disinformazione. Sarebbe stato uno studio valido forse nel 2013, quando il fenomeno stava iniziando, così è davvero poco sensato. Conto che sia in lavorazione una seconda parte, quella approfondita, quella dove magari si cerca di capire quale sia la disinformazione che fa più paura.

Concludendo

Io sono solo un blogger appassionato di corretta informazione, questo è un editoriale, non uno studio finanziato da importanti agenzie di stampa, si tratta delle mie opinioni, supportate da qualche fonte, ma come tutti soffro di bias cognitivo…

Oddio, forse dovevo evidenziarlo in apertura?

Dell’argomento è da tempo che ne parliamo, comprendere quali siano le fake news da combattere e come agire è il primo passo, continuare a non guardare più in là del proprio naso non aiuta.

Per chi avesse voglia di approfondire un piccolo elenco di articoli pubblicati su BUTAC:

Non credo ci sia altro da aggiungere.
maicolengel at butac punto it

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