Rigirare la frittata: Le Iene

No, davvero, non avrei voglia di scrivere un’altra volta sulle Iene (che onestamente negli ultimi mesi mi son sembrate in forma) ma tocca farlo. Nella puntata del 2 aprile 2019, hanno parlato di Blackout Challenge.

Blue Whale

Ma non è di quello che voglio parlare. Il servizio, però, comincia con Matteo Viviani che prende le difese della trasmissione in merito al Blue Whale, mettendo insieme una somma di fatti che darebbero ragione a loro riguardo all’ormai noto gioco del suicidio made in Russia.

Vorrei analizzare con voi quei 10 minuti di premessa.

Matteo Viviani parte dal loro servizio, del 14 maggio 2017, quando per la prima volta parlarono del Blue Whale. Ci fa un sunto del servizio ci mostra screenshot di youtube (perlopiù risalenti a marzo, tenetelo bene a mente, le date sono importanti).

Viviani passa poi a spiegare che qualche giorno dopo il loro servizio, che ha avuto una grandissima risonanza, qualcuno ha iniziato a dire che non ne avrebbero dovuto parlare. E qualche giorno dopo ancora qualcuno ha detto che si trattava di una bufala.

Mostrano schermate di testate note. Noi ovviamente non ci siamo. Viviani comincia con quelle che sostiene siano le accuse mosse da chi li ha definiti bufalari, tutte accuse, a suo dire, arrivate dopo il loro servizio.

Le accuse

Vediamole con ordine:

  1. Le donne mostrate nel video, parenti di una ragazza che si è uccisa in Russia, allegedly per colpa del Blue Whale sarebbero, secondo i denigratori del servizio, delle attrici. FALSO – Nessuno dei fact checker italiani ha mai sostenuto questo. E ne abbiamo parlato in tanti. Le signore mostrate nel video sono veramente le parenti di una ragazza che si è buttata da un palazzo. Quelle che si sosteneva fossero attrici erano le giovani ragazze che si vedevano piangere in spezzoni del video originale. Spezzoni che venivano da un video messo in rete tre anni prima, ora purtroppo svanito. Ma questo le iene non lo spiegano. No, loro riportano un estratto da Il Messaggero, del 7 giugno 2017.

Ma sono circa 2 settimane dopo il nostro terzo articolo sul Blue Whale, del 23 maggio. Articolo in cui mostravamo come i video di suicidi messi in onda dalle Iene, per dimostrare l’autenticità del fenomeno, rappresentavano altro (e alcuni fossero totalmente fasulli). Ma di questo nel servizio di ieri non c’è traccia. Come non c’è traccia di queste dichiarazioni di Viviani:

Lo stesso Viviani, in un’intervista al Fatto Quotidiano, aveva ammesso che le immagini del servizio – che mostravano ragazzini sul punto di togliersi la vita – non avevano a che fare con la Blue Whale: “Me li ha girati una tv russa – aveva detto -, ma erano esplicativi di quello di cui parlava il servizio. Cambiava qualcosa se mettevo un voice over di 4 secondi in cui dicevo che quei video non erano collegati a Blue Whale?”.

2. Viviani sostiene che qualcuno avrebbe detto che Budekin (il primo tutor del gioco) fosse anch’egli un attore. FALSO – Basta cercare sui tanti articoli di debunking in giro per la rete. nessuno dei verificatori di fatti italiani ha mai sostenuto questo, abbiamo spiegato che è possibile che sia uno dei tanti soggetti disturbati in cerca di visibilità online. Cosa che si evince dal suo passato in altri gruppi online dedicati al suicidio (anche aperti da lui stesso anni prima).

3. Viviani sostiene che la conferma che il fenomeno fosse reale viene dal fatto che già molte testate prima di loro ne avessero parlato nel mondo. FALSO – il fatto che molte testate ne abbiano parlato non significa che il fenomeno è reale, ma solo che la rete e le agenzie di stampa hanno contribuito alla sua viralità.


Il procedimento giudiziario

Quello che invece Viviani non racconta è che la procura di Milano aveva indagato lui e Davide Parenti per quei servizi sul Blue Whale. Riporta l’Unione Sarda (riprendendo il Corriere):

Per il pubblico ministero Le Iene avevano generato allarmismo nel nostro Paese, accostando il suicidio di un ragazzino livornese al “gioco”, ma le due cose non erano collegate: “Abbiamo premesso che il legame con Blue Whale era la versione del suo amico e che era solo il punto di partenza”, aveva detto ancora Viviani al Fatto.

In ogni caso il gip ha pronunciato una sentenza di proscioglimento. Secondo il giudice per le indagini preliminari, non si può “escludere con la dovuta certezza” che il gioco “effettivamente esista, non può escludersi che dalla Rete sia giunto anche in Italia”.

Quindi sono state prosciolte, ma la motivazione non è perché hanno dimostrato l’esistenza del Blue Whale ma solo perché il gip non è stato in grado di escludere con totale certezze che il gioco esista o sia esistito. Per capirci, non esiste una singola prova che esista (altrimenti sarebbe stata spiegata dal gip) ma al tempo stesso visto che è un fenomeno in rete si è deciso di dare il beneficio del dubbio. Sempre dalle conclusioni del gip:

Il ben noto stile satirico e provocatorio delle Iene rende altamente improbabile il generare un concreto stato di minaccia visto che oggi grazie ai mezzi di comunicazione di massa è enormemente potenziata la possibilità, ed è elevata l’abitudine, di venire a contatto con le più disparate informazioni e immagini

Quindi sono stati assolti non perché sia stato provato che il Blue Whale era (o è) un fenomeno esistente, ma solo perché non si è stati capaci di provare il contrario (e ci credo con tutte le campagne pseudogiornalistiche fatte prima del servizio delle Iene) e perché si è ritenuta la trasmissione satirica e provocatoria e pertanto improbabile che possa aver generato vero allarme.

Io vorrei che il gip venisse a leggere le segnalazioni che i tanti siti di fact checking hanno ricevuto a cavallo di marzo/ottobre 2017, se non era allarme quello.

10 minuti di premesse per difendersi, 10 minuti in cui si rigira la frittata raccontando mezze verità e omettendo invece il resto. Non è così che si deve fare giornalismo (se quello delle iene è definibile giornalismo). Su temi come questi bisogna spiegare con attenzione che, ad oggi, non esiste un singolo caso di suicidio in Italia che sia stato provato come generato dal Blue Whale? Perché non dirlo? Perché non ammettere che la stessa magistratura ha spiegato che non esistono prove che ne dimostrino l’esistenza?

Trovo molto significativa la chiusura di un articolo di NextQuotidiano in merito all’assoluzione delle Iene:

Insomma, viene in mente quella mitica volta che Aldone Biscardi si salvò da una querela dell’Associazione Italiana Arbitri perché, si leggeva nella sentenza, argomentò “in termini convincenti e rispondenti al vero che trattasi di un programma televisivo il cui oggetto principale è proprio quello di suscitare con linguaggio diretto ed espressioni volutamente forti discussioni, spesso pretestuose, tipiche da bar sport”. In tale prospettiva – proseguiva all’epoca il giudice, a quanto pare continuando a citare o quantomeno a parafrasare la tesi di Biscardi- “la credibilità oggettiva delle notizie riportate e fatte oggetto di dibattito è riconosciuta come assai bassa, secondo l’ opinione comune, trattandosi non infrequentemente di notizie create o gonfiate per suscitare la polemica”. Conclusione del giudice: “I toni, la sede e la natura degli interventi depongono per essersi trattata di una tipica discussione ‘ ‘ da bar’ ‘ finalizzata all’ incremento dell’ audience attraverso l’ uso di toni e contenuti platealmente esagerati….”.


L’importanza della verifica

Ad inizio articolo vi dicevo che le date erano importanti. Perché lo sono? Ma perché la cronologia riporta al 9 marzo 2017 il nostro primo articolo sulla Blue Whale, dove concludevo con queste parole:

 le scelte sensate per una redazione sono due:

  1. non parlarne, o se proprio bisogna farlo:
  2. parlarne con beneficio del dubbio, non titolando come se la cosa fosse appurata e verificata.

Purtroppo come da tempo cerchiamo di spiegarvi la verifica dei fatti nelle redazioni italiane non viene fatta, se la notizia arriva da una velina d’agenzia la si prende per buona, si seguono le fonti base e si confeziona un articolo. Questo è quello che il lettore desidera, questo è quello che la redazione prepara.

So bene che non siamo una testata rinomata, ma nel 2017 eravamo già stati coinvolti nel #BastaBufale con la Camera dei deputati, ci voleva molto tra marzo e maggio cercare se i fact checker italiani avessero già parlato di Blue Whale? Era così complesso contattare noi o altri colleghi che della materia avevano parlato? Non credo. Come non credo fosse difficile ammettere pubblicamente la falsità di alcuni dei video diffusi a sostegno della tesi. C era toccato ritornare sull’argomento anche a ottobre dopo l’ennesimo servizio delle Iene, dicendo quelle che ritengo cose di buon senso. I nostri articoli li potete trovare tutti qui. Ma se girate in rete di risorse sul tema, ben più autorevoli di noi, ne potete trovare tante, a partire dalla BBC.

Ma il Blackout?

Quanto sopra discusso le Iene l’hanno usato per fare da cappello a un servizio in cui si parla di un’altra “sfida” potenzialmente mortale la Blackout challenge. Onestamente ho molte riserve su questa storia, anche questa, da fact checker, mi sembra un’invenzione mediatica. A distanza di mesi dalla morte di un giovane ancora non si hanno prove  che dimostrino questa “nuova moda fra i giovani”. Selvaggia Lucarelli, attaccata pesantemente durante il programma, già a settembre 2018 avanzò i suoi dubbi. Io non ne parlerò, non oggi, vorrei che i primi a farlo fossero gli inquirenti, che per una volta fossero loro a fare chiarezza sull’allarmismo mediatico lanciato dalle iene.

Ma come abbiamo visto, per gli inquirenti:

Il ben noto stile satirico e provocatorio delle Iene rende altamente improbabile il generare un concreto stato di minaccia

Curioso che nessuno fino al 2 aprile avesse mai segnalato nulla sul blackout challenge (se si eccettuano due segnalazioni a settembre quando avvenne la morte di quel povero ragazzo) e le richieste di approfondimenti a siti come il nostro siano partite dopo il servizio televisivo.

Non credo si debba aggiungere altro, se non che io, da quel servizio delle Iene di ieri sera mi sono sentito in quanto telespettatore preso per i fondelli.

maicolengel at butac punto it
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