Sono un dilettante

ARTICOLO AGGIORNATO: Megachip di cui parliamo poco sotto riprendeva un post di Scalea da Facebook, ma con un titolo e una premessa aggiunti da loro. Diamo a Cesare quel che è di Cesare.

No, non è una cosa che per voi che mi leggete risulta nuova che io sia un dilettante, lo sapete tutti che non sono un professionista dell’informazione, mi leggete da sufficiente tempo per sapere che lavoro faccio nella vita, e quanto usi consulenze esterne ogni qualvolta si tratti di argomenti che necessitano pareri più specialistici della “semplice” corretta informazione.

È però curioso, molto curioso, che un sito di analisi politica rinomato e importante come Megachip si accorga del mio essere un dilettante solo in occasione di un articolo che nulla ha a che vedere con quelle analisi.

Credo in tanti sappiate chi ha fondato quel sito ormai 11 anni fa, il nostro amico Giulietto Chiesa, fan sfegatato di Putin, amico fraterno della Russia, sostenitore delle tesi di complotto sul 9/11. Giulietto Chiesa è la stessa persona dietro PandoraTV, sito che diffonde (in maniera decisamente più amatoriale) le stesse cose che vengono passate da Megachip, con un filo di complottismo in più. Quindi via libera agli antivaccinisti, alle cospirazioni, al negazionismo. Un sito che su BUTAC abbiamo trattato più e più volte.

Sia chiaro, Chiesa aveva già lamentato del fastidio nei confronti di BUTAC:

È UFFICIALE: SIAMO, NOI DI PANDORATV, UN “SITO NON AFFIDABILE”.

Ce lo dice il sito BUTAC. Siamo nell’elenco dei “cattivi”. Chi dà i voti? Loro, quelli del mainstream che da decenni ci raccontano tutti i giorni le loro frottole, e da decenni “coprono” tutte le nefandezze dei padroni universali. Andate a dare un’occhiata a chi è il BUTAC. Cercate di sapere chi è che finanzia il BUTAC. Prendete nota, perché verrà il momento in cui verranno a bussare anche alla vostra porta, anche se non scriverete e non direte nulla. Sono i delatori, gli untori dei tempi moderni.

La citazione qui sopra risale ad aprile 2017, da allora evidentemente non hanno scoperto “chi finanzia BUTAC” anche perché credo che per gente come quella sia impossibile accettare che ci sono persone (tonte) come me che scelgono di tenere un blog per il piacere di farlo. In compenso hanno deciso l’attacco laterale, se non riescono a smontare BUTAC partendo dal “chi ci finanzia” vorrebbero provarci facendoci perdere credibilità. E così il “giovane” analista geopolitico Daniele Scalea, prima su Facebook ci ha dedicato un post e ripreso su Megachipo con relativo articolo e titolo altisonante:

La caccia alle Fake News, una censura in mano ai dilettanti

Vorrei vi soffermaste subito sul titolo: si parla di censura. Io sono un privato cittadino, che nella vita si guadagna da vivere facendo il commerciante, non ho alcun potere di censura da nessuna parte. Perché usare quel termine? La ragione è ovvia: dare a intendere al proprio lettore che qui si faccia censura, che BUTAC abbia in qualche modo la possibilità di decidere cosa ci sia da censurare nel web italiano. Voi che ci leggete abitualmente credo vi starete tenendo la pancia dal ridere, sapete bene che le cose non stanno così, e che BUTAC da sempre si batte CONTRO la censura. L’abbiamo detto chiaro e tondo di fronte alla Commissione Diritti e Doveri di Internet, l’abbiamo ripetuto ai tavoli della commissione sulle Fake News, e lo spieghiamo da quattro anni sul blog. La censura non porta niente di buono, ma per certi soggetti usarla fa comodo. Che si tratti di governanti che vogliono spaventare o di opposizioni che vogliono dare a intendere di essere stati messi a tacere. Fateci caso, buona parte dei post fuffa usa questo avviso:

Condividi prima che censurino

Scalea La redazione di Megachip evidentemente è conscia dei propri lettori, il pubblico di una testata come quella è esattamente identico all’utente che condivide prima che censurino l’ultimo avviso su Whatsapp a pagamento.

L’articolo del nostro esperto di geopolitica comincia così:

Il caso dei presunti caccia-bufale del sito Butac: persone non qualificate che ricevono un patrocinio istituzionale e un plauso censorio. Il dilettantismo che piace a Boldrini nella sorveglianza del web…

Cosa sarebbe un “patrocinio”? Forse Daniele non lo sa con precisione:

Patrocinio: Protezione accordata o goduta nell’ambito dei rapporti fra i diversi gradi di una gerarchia sociale; patronato.

No, non abbiamo nessun patrocinio, abbiamo risposto a titolo gratuito a una chiamata della Presidenza della Camera nell’ambito del progetto #BastaBufale, ci è stato chiesto, sempre gratuitamente, di aiutare nell’estensione di consigli per difendersi dalle bufale. Null’altro, siamo tra i primi firmatari del #BastaBufale ma nulla di più, non abbiamo alcun genere di protezione/patrocinio e sfido chiunque a dimostrare il contrario, o che siamo stati pagati: ci siamo fatti il cosiddetto culo gratis per puro senso civico. Lo so, in un Paese come il nostro è sempre un po’ difficile credere che ci possa essere gente che le cose le fa senza volere nulla in cambio, ma esistono, e da quando gestisco BUTAC devo dire che ne ho trovate molte di più di quante pensavo.

Ma la cosa che mi fa più sorridere è quel “plauso censorio”. A parte che è facile che la maggioranza dei lettori di Daniele Megachip manco abbia capito cosa intenda con quella frasetta. Ma volendola mettere più chiara per tutti, con plauso censorio si intenderebbe che le istituzioni citate prima avrebbero applaudito il mio essere censore. Ma non è vero, è la seconda bufala in poche righe. Siamo sicuri che un articolo che vuole accusarmi (con piena ragione, sia chiaro, e sono sempre stato il primo a dirlo) di essere un dilettante possa cominciare raccontando due bufale? Ma andiamo avanti, da qui parla Scalea:

Michelangelo Coltelli, uno degli “esperti” con cui la Boldrini si vanta di combattere le “fake news”, firma col suo noto pseudonimo “maicolengel” una “perizia” il cui esito è: “E’ curioso notare come una mamma bigotta e xenofoba sia infastidita da come gli altri trattano suo figlio, senza che faccia autocritica su come lei tratta gli altri”.
A parte che da un “fact-checker” ci si aspetterebbe una risposta sulla veridicità o meno di una storia, e non una riflessione morale; ma ci si chiederà su quali fatti si basi l’accertatore di fatti, e su quali fonti si basi il cacciatore di bufale? Essenzialmente su fonti come “molti” e “qualcuno” che avrebbero trovato non meglio precisati contenuti di “xenofobia ed estremismo religioso”.

Questo si chiama menar il can per l’aia, Megachip non si rende conto di fare esattamente la stessa cosa nel loro articolo: titolone che attira il lettore e spiegazioni solo all’interno. Sì, è verissimo, la frase virgolettata è mia, e compare nell’immagine che accompagna l’articolo. Ma l’esito della mia “perizia” non c’è, perché non c’è alcuna perizia nel mio articolo, non può esserci perché io, come anche il bravissimo Daniele, non posso leggere una bacheca che è stata chiusa, come spiegavo molto chiaramente:

Molti hanno cominciato ad analizzare le bacheche (fino a quel momento pubbliche) di Kimberly, rendendosi conto che la mamma ha qualche scheletro nell’armadio. I commenti (ora svaniti) che facevano leva su sentimenti come xenofobia ed estremismo religioso erano numerosi. Qualcuno si è risentito, qualcuno ha cercato di fare più chiarezza, e la mamma (come anche il resto della famiglia) invece che uscire allo scoperto e rispondere magari alle domande di chi era indeciso sui fatti ha scelto di oscurare il proprio profilo social, lasciando a quel punto altri in grado di clonarlo e trollare “con simpatia”.

La storia è ancora molto controversa sui social, quello che faceva l’articolo di BUTAc non era altro che riportare le controversie che invece la stampa nazionale non stava spiegando ai propri lettori. Farlo, secondo me, è importante, perché come abbiamo visto anche in questo caso, sull’onda emozionale di un video ci sono persone pronte a donare dei soldi, farlo senza conoscere tutti i lati della vicenda è molto grave, specie quando si stanno donando denari a perfetti estranei dall’altra parte del mondo. Due erano le raccolte fondi lanciate per il bambino bullizzato, entrambe al momento chiuse, una gestita da un soggetto estraneo alla famiglia, l’altra ancora non è chiaro. Come mai sono state bloccate, GoFundMe si è forse preoccupato per colpa del mio articolo? No, GoFundMe ha bloccato le campagne perché sono stati in tanti a sollevare dubbi sulla questione, e questo ha portato al blocco delle raccolte fondi; ma questo Daniele evita di raccontarlo ai suoi lettori.

In compenso Daniele ci tiene a continuare con le accuse, e gli riesce benissimo:

A parte che da un “fact-checker” ci si aspetterebbe una risposta sulla veridicità o meno di una storia, e non una riflessione morale; ma ci si chiederà su quali fatti si basi l’accertatore di fatti, e su quali fonti si basi il cacciatore di bufale? Essenzialmente su fonti come “molti” e “qualcuno” che avrebbero trovato non meglio precisati contenuti di “xenofobia ed estremismo religioso”.

Scorrete l’articolo e vi sfido a trovare fatti e fonti più precisi e dettagliati di questi – come invece sarebbe stato richiesto, dal momento che la grande stampa si limita a citare le foto confederate ma non questi altri presunti contenuti e commenti. Forse per corroborare questo ben misero approfondimento, vengono citati un paio di brani da un articolo di un sito connotato politicamente (attivismo afro-americano di estrema sinistra), che non dà nessun fatto nuovo.

Scalea bolla The Grapevine come sito di estrema sinistra, e la cosa mi fa sorridere. Sia chiaro, è vero che siamo di fronte a un sito che difende la cultura afro-americana. Ma fa parte di un gruppo editoriale ben preciso che di estremismo di sinistra non ha esattamente la nomea. The Slate Group, infatti, è una sussidiaria della Graham Holding Company, fino al 2013 nota come The Washington Post company, in quanto editori appunto del Washington Post (oggi venduto a Jeff Bezos, founder di Amazon), dite che è un noto sito di estrema sinistra?

Comunque Scalea non ha torto, non ho fonti nel mio articolo, non ne ho perché mancavano a me come a tutti gli altri, io a differenza delle testate italiane che hanno subito preso a cuore la storia del povero ragazzino ho scelto di raccontare anche le accuse che venivano mosse alla madre. Altri l’hanno evitato. Scelte personali, ognuno sul proprio sito può fare come gli pare. Io ad esempio nel caso in questione ho deciso di non rincarare la dose usando le immagini del papà del ragazzo in questione, papà che, come credo Scalea sappia, è un suprematista bianco, al momento in carcere. Ho evitato perché pur essendo certo della notizia non ho idea di che rapporti ci siano tra padre e figlio. Mentre quelli tra mamma e figlio sono abbastanza palesi.

L’affondo finale però Scalea me lo dà con questa frase:

In compenso la traduzione è rozza, e qualcuno nei commenti rileva gli errori e, soprattutto, l’involontaria ironia avendo “maicolengel” aperto l’articolo con un pistolotto su come lui in famiglia comunichi in inglese.
La risposta del diretto interessato è (proprio così):
“vedi scrivo circa 2/3 articoli al giorno, e spesso lascio che il lavoro di traduzione lo faccia Google Translate, correggendo se mi resta il tempo. I 2/3 articoli che scrivo sono caricati a notte fonda, e non sempre rileggo le traduzioni”
Peccato che ometta, in  pieno stile censorio, la seconda parte della mia risposta:
…non mi paga nessuno per stare qui, ma lasciando l’originale permetto a chiunque sappia la lingua di verificare, come hai fatto tu e come aveva fatto Fede64 poco prima. Come sempre quando mi si fa notare l’errore correggo. Poi ci sono quelli come Fede, educati, che hanno colto il senso dell’articolo anche con l’errore di traduzione, e poi ci sono quelli come te. Un abbraccio che evidentemente ti sei svegliato dalla parte sbagliata del letto.
Come mai l’ottimo Daniele decide di riportare soltanto una parte del mio commento, come mai non spiega e non contestualizza? Tra pubblicazione dell’articolo e correzione delle due parole errate sono passate meno di 24 ore. Scalea ha un blog sull’Huffington Post: quanto passa tra la segnalazione di una bufala pubblicata su quella testata, non certo da dilettanti, e la rimozione e/o correzione della stessa? Quanti professionisti dell’informazione ammettono i propri sbagli, rettificano, correggono?
No, non è finita qui, ho delle considerazioni da fare, considerazioni a mio avviso importanti.
Scalea ha ragione, io non sono un professionista, se lo fossi invece che dal banco di negozio tra un cliente e l’altro, o la notte invece di dormire, scriverei da un ufficio come penso faccia lui, con uno stipendio mensile per i miei servizi, orari di lavoro e orari per le pause. Forse, se avessi ufficio e stipendio, non pubblicherei articoli con errori di traduzione, errori che comunque non cambiavano il senso dell’articolo in alcuna maniera, ma forse avrei le mani legate da chi mi paga. Mentre invece quelle mani sono libere, libere dalla politica – sfido Scalea o chiunque altro a dimostrare il mio essere di sinistra – e libere dal potere. Sono proprio quelle mani libere che questa gente teme e vorrebbe fermare, perché sono mani che rompono le balle, come dimostrano gli attacchi che abbiamo subito nel corso del tempo da testate registrate e singoli giornalisti, per non parlare di blog anonimi o dei fedeli soldatini che dopo episodi come questo arrivano sempre in massa come truppe cammellate, a mettere nero su bianco quanto amano essere presi in giro. Gente che deve trovare un modo per poter sminuire quanto facciamo, gente che ha disperato bisogno di appigli per denigrare il nostro operato agli occhi dei propri lettori. Perché sì, è vero, non siamo professionisti, ma non c’è bisogno di professionisti per riconoscere chi spara una marea di cagate.
maicolengel at butac punto it