Peter Pan e la cancel culture
L'università di Aberdeen cancella Peter Pan, all'albo degli scrittori scozzesi viene imposto un codice di condotta... andiamo a verificare (spoiler: non è così)
Ci avete segnalato un articolo apparso sull’Huffington Post, un’intervista a Pierluigi Battista a proposito di cancel culture.
Leggiamo nel sottotitolo all’intervista, nella sua versione integrale dietro paywall:
Intervista al giornalista e scrittore dopo che Peter Pan è stato inserito nella lista dei libri sconsigliati dall’Università di Aberdeen agli studenti per gli “stereotipi di genere” e dopo il “codice di condotta” inviato dallo Scottish Book Trust a 600 scrittori: “Chi pensava che fosse un fenomeno passeggero, sbagliava. È una slavina che fa sempre più danni”
E su Instagram:
L’Isola che non c’è, da oggi, non c’è più per davvero. Il romanzo Peter Pan, di J.M. Barrie, è finito sotto la scure dell’Università scozzese di Aberdeen, che lo ha inserito nella lista dei titoli “problematici”, sconsigliati agli studenti perché conterrebbero “stereotipi di genere”. E mentre il bambino che non cresce mai viene silenziato, gli scrittori scozzesi non vivono sorte migliore: lo Scottish Book Trust, l’albo nazionale degli scrittori, ha da poco fatto pervenire ai suoi 600 membri un “codice di condotta” che limita la possibilità di esprimersi su una vasta gamma di questioni, incluse quelle legate al genere e al sesso. Si tratta della prima volta che nel Vecchio Continente un ente governativo decide di imporre paletti di questo genere ai suoi intellettuali. La cancel culture e il politicamente corretto, dunque, stanno stringendo ulteriormente le loro maglie? Ne abbiamo parlato con Pierluigi Battista, giornalista e scrittore, nostra firma per la rubrica Uscita di Sicurezza.
Ma è veramente come ci viene raccontato? L’uso del termine cancel culture ha senso per parlare della notizia? Vediamo le cose insieme, perché non sempre stanno come certi giornalisti italiani ci raccontano.
La lista di Aberdeen
La parte vera della notizia è che l’università di Aberdeen è stata in parte presa in giro da svariate testate e politici britannici per aver inserito un avviso su alcuni libri e film che si trovano nella biblioteca dell’ateneo. L’elenco di titoli include appunto Peter Pan, ma anche Il leone la strega e l’armadio di CS Lewis, o Syriana, il film del 2005 di George Clooney. Ma appunto stiamo parlando di un avviso per gli studenti, avviso che specifica che quel determinato libro o film può includere contenuti che possono non essere compresi appieno dai ragazzi perché scritti in altra epoca con diversa sensibilità. Questa non è cancel culture, ma solo un sistema di protezione – probabilmente esagerato, visto appunto che nell’elenco hanno inserito anche Peter Pan (ma bisognerebbe rileggerlo e capire quali sono i punti critici a cui si fa riferimento) – verso ragazzi che sono cresciuti in un periodo storico più attento all’inclusività e alle rappresentazioni di generi e minoranze nella cultura popolare, simile a quello che abbiamo già visto trattare in maniera simile dai giornalisti nostrani in passato.
La visione della donna ad esempio cambia moltissimo in libri di qualche decennio fa rispetto a quelli di oggi, come anche quella delle minoranze etniche. Usare la definizione cancel culture però dimostra chiaramente che né Battista né la giornalista che l’ha intervistato hanno ben chiaro cosa si intenda.
Scottish Book Trust
E non solo sul discorso cancel culture hanno le idee poco chiare, ma anche su altro. Lo Scottish Book Trust non è l’albo nazionale degli scrittori, bensì un ente benefico che ha come scopo la promozione della lettura e la scrittura in Scozia, concentrandosi in particolare su bambini e adolescenti. Le linee guida che hanno pubblicato non sono in alcuna maniera delle linee guida per gli intellettuali scozzesi, bensì un codice di condotta per chi collabora con loro, cosa che non deve sorprenderci visto che si tratta di un ente di beneficenza e che si aspetterà dai collaboratori valori in linea con i propri. E poiché non si tratta di un ente governativo, la considerazione che “si tratta della prima volta che nel Vecchio Continente un ente governativo decide di imporre paletti di questo genere ai suoi intellettuali” perde ogni senso.
Che in Italia l’inglese venga studiato male è evidente, perché solo chi non sa l’inglese può fare degli scivoloni di questo genere. La cosa triste è che intervistatrice e intervistato sono entrambi pagati per fare quello che fanno, qui invece siamo volontari che analizzano le cose su base gratuitamente nel loro tempo libero.
maicolengel at butac punto it
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