No, il vaccino anti-COVID non si integra nel DNA
E no, il cancro al quarto stadio non è adesso una reazione avversa documentata al vaccino anti-COVID
Questa è una segnalazione di quelle che mi hanno fatto ridere, poi pensare e poi decidere di scriverci due righe.
Mi hanno mandato un link di un giornale italiano che parla di un articolo scientifico allora in preprint, oggi pubblicato su “International Journal of Innovative Research in Medical Science”. Si tratta di un case report che riguarda una paziente di 31 anni con un cancro alla vescica molto aggressivo nel cui genoma gli autori affermano di aver isolato una sequenza genica riconducibile a un vaccino anti COVID-19.
Partiamo dalla rivista su cui, nel frattempo, è stato pubblicato l’articolo.
Questo non significa che sicuramente la rivista sia predatoria, ma sono tutti elementi da tenere in considerazione.
Onestamente, nutro dei dubbi sulla validità della peer review nel momento in cui fra gli articoli più letti è presente uno studio intitolato “The CDC Denies Magnetic Elements in COVID Injectables While DARPA Promotes Mind-Control Research with Magnetic Nanoparticles Migrated to the Brain” (Il CDC nega [la presenza di] elementi magnetici negli iniettabili COVID mentre la DARPA promuove ricerche sul controllo della mente con nanoparticelle magnetiche migrate al cervello).
Facendo invece attenzione all’articolo di giornale leggiamo che lo studio è stato…
…pubblicato in pre-print lunedì su Zenodo, piattaforma di archiviazione scientifica gestita dal CERN.
Questo è un classico caso di appello autorità. Citando un’istituzione rinomata come il CERN si porta il lettore a dare maggiore credibilità all’articolo, usando una fallacia logica di cui abbiamo parlato abbondantemente.
Passando invece rapidamente agli autori troviamo facce nuove ma anche alcune vecchie conoscenze: il naturopata John A. Catanzaro, l’epidemiologo Nicolas Hulscher (di cui abbiamo parlato qui), il cardiologo Peter A. McCullough (anche lui citato più volte sul blog). Il primo è fondatore e CEO di Neo7Bioscience, mentre gli ultimi due lavorano entrambi per la McCullough Foundation.
Proseguiamo nella lettura dell’articolo.
L’analisi ha rilevato in un frammento tumorale una sequenza genetica identica al 100% a una porzione della proteina spike presente nel vaccino Pfizer-BioNTech. Sebbene la paziente abbia ricevuto solo il vaccino di Moderna…
Qui, lo ammetto, ho riso. Ho riso per lo stupore e l’incredulità nel pensare che qualcuno possa scrivere questa cosa senza dire “fermi tutti, qui qualcosa non quadra”.
Il tentativo di spiegazione dato è che…
…i due vaccini “condividono tratti identici di sequenza nucleotidica” nella regione della spike.
Ovviamente tutti i vaccini a mRNA contro il COVID-19 condividono parte della sequenza nucleotidica, perché è quella che è stata copiata dalla proteina spike del virus stesso.
Ma come viene specificato anche dall’ISS ogni versione ha una sequenza specifica, dovuta alle modifiche necessarie per aggiornare i vaccini alle nuove varianti emerse e diventate prevalenti nel corso del tempo.
Si riconduce tutto a un problema molto semplice: se hanno addirittura usato un vaccino diverso per dire che c’erano dei pezzi di sequenza in comune, quanto grandi possono essere questi tratti?
Cercando nello studio, la risposta si trova subito…
This sequence aligned with perfect 20/20 bp identity to a segment (bases 5905–5924)
Per chi non lo sapesse, bp sta per “base pair” ed è l’unità di misura della lunghezza degli acidi nucleici (DNA e RNA).
Per dare un’ordine di grandezza che aiuti la comprensione, il DNA umano ha una lunghezza di più 3 Gbp (3 miliardi di paia di basi).
La sequenza presente all’interno del vaccino Pfizer citata dallo studio è lunga più di 7800 bp.
Una sequenza lunga solo 20 bp verrebbe tradotta in massimo 6 amminoacidi.
Quindi la questione diventa: quanto è probabile trovare una specifica sequenza di 20 bp nel DNA umano?
L’articolo sostiene che…
Le probabilità che si verifichi una corrispondenza del 100% con un frammento tumorale sono state stimate in “1 su un trilione”.
A prima vista mi sembrava una probabilità molto bassa, data la differenza fra la lunghezza della sequenza identificata (20 bp) e del genoma umano (3 Gbp).
Purtroppo questo tipo di problema matematico richiede strumenti di calcolo combinatorio che io non possiedo. Fortunatamente però sapevo a chi chiedere (tre diverse persone mi hanno aiutato a sbrogliare questa matassa).
Una volta fatti i calcoli (che potete leggere con un po’ di spiegazione qui) la probabilità è risultata dello 0,27%.
Sembra bassa, ma significa che una sequenza casuale di 20 basi può essere trovata in un caso su 367, non uno su un trilione.
Anche ipotizzando un’eccessiva mia generosità nei calcoli, l’ordine di grandezza è completamente diverso.
Perché dei ricercatori che in teoria dovrebbero occuparsi di queste cose per lavoro hanno fatto un errore così grossolano? Perché questa informazione non è stata corretta o notata durante la peer review?
Non vengono mostrati i calcoli nel case report, ma viene ripetuto in un più di un’occasione il numero “uno su un trilione”. Onestamente, la cosa inspira davvero poca fiducia.
Andiamo avanti.
L’analisi è stata condotta da Neo7Bioscience con una “scansione molecolare a quattro livelli”, comprendente esami su DNA, RNA, proteine ed escrezioni.
Ricordate come si chiamava l’azienda fondata da Catanzaro, naturopata e CEO? Esatto, l’analisi è stata condotta proprio nei suoi laboratori. Questo non è necessariamente un’indicazione di qualcosa di scorretto, ma implica che non ci sia stata nessuna verifica esterna sui metodi e l’accuratezza.
Ma come c’è arrivata la sequenza nel genoma del tumore?
Lo studio ipotizza diversi meccanismi per spiegare questa integrazione: trasferimento di frammenti di DNA plasmidico durante la produzione, trascrizione inversa dell’mRNA da parte di enzimi cellulari, o instabilità genomica indotta dalla proteina spike.
Questo tipo di affermazione è stato smentito più volte, come potete leggere qui e qui. In sintesi, queste ipotesi mancano di plausibilità biologica perché i prodotti del vaccino non entrano nel nucleo delle nostre cellule, i quali hanno dei meccanismi di difesa piuttosto solidi.
Nelle conclusioni viene poi citato uno studio italiano di cui abbiamo parlato in questo articolo, portandolo a supporto delle loro affermazioni sul fatto che i vaccini anti-COVID causino il cancro. Peccato che, come spiegavamo appunto poco tempo fa, quello studio non abbia assolutamente delle conclusioni simili.
Il fatto che queste persone non siano in grado di leggere in maniera critica uno studio scientifico non depone esattamente a favore della qualità della loro ricerca.
Infine, lo studio conclude: “Il cancro allo stadio 4 è ora una reazione avversa documentata spiegabile solo con la vaccinazione, ed è necessario includere l’oncogenesi nell’ottenimento del consenso informato”.
Non ho quasi parole per commentare questa conclusione.
I tumori giovanili sono spesso aggressivi, indice di una malattia che esordisce precocemente proprio perché c’è una base diversa da quella solita.
A riprova del fatto che il vaccino non è l’unica spiegazione si trovano diversi studi (questo è un esempio) che analizzano il tumore alla vescica giovanile ben prima della pandemia.
Facendo un sunto, abbiamo un articolo scritto da autori già noti per la loro disinformazione, che pubblicano un articolo dalla peer review dubbia con calcoli decisamente fantasiosi.
Non credo di dover aggiungere altro.
NP
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