Perché usiamo la sperimentazione animale?

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Ho voluto chiedere a BUTAC di pubblicare questa intervista dopo aver conosciuto questa ricercatrice che mi ha aiutato ad avere le idee più chiare sulla sperimentazione e a capire che è indispensabile per salvare vite.
Con internet continuano a girare bufale su ogni argomento rendendoci tutti professori tuttologi, il mio consiglio come sempre rimane quello di informarsi sentire più pareri e non essere mai prevenuti, ringrazio francesca perché nonostante i suoi numerosi impegni di lavoro, avendo a cuore l’informazione ha trovato il tempo da dedicarmi per questa intervista:
Elvi:  In che campo lavori?

Francesca: Io lavoro nel campo dei metodi alternativi alla sperimentazione animale. In particolare dei metodi cosiddetti in silico. In parole povere si tratta di valutare le proprietà di una sostanza (es. la sua tossicità) tramite dei modelli fatti al computer. In particolare lavoro nel campo del QSAR (Quantitative Structure Activity Relationship [1]), che mira a capire quale parte di una molecola è responsabile delle sue proprietà, in modo da predire la stessa proprietà per nuove molecole non ancora testate su animali andando, ove possibile, a evitare/ridurre la sperimentazione. A questi metodi si affiancano quelli in vitro, che si occupano di studiare gli effetti delle sostanze su piccole porzioni di cellule o di tessuti o organi, senza andare a testare direttamente su un animale [2].

Elvi:   Quali sono i costi della sperimentazione animale?

Francesca: I costi variano molto a seconda della proprietà da studiare. Ti posso dire, però, che per avere dei risultati consistenti, seguendo dei protocolli sperimentali standard, i costi che si raggiungono possono essere estremamente elevati. Si può arrivare anche a decine di migliaia di dollari per testare un solo composto [3]. Inoltre, spesso questi test richiedono molto tempo per essere portati a conclusione.

In questa ottica, è quindi chiaro che, a prescindere dalle questioni etiche, l’interesse verso le alternative alla sperimentazione animale ha anche delle basi economiche. Di conseguenza, ove i metodi alternativi stanno avendo successo e funzionano, nessuno avrebbe interesse a spendere moltissimi soldi, nonché una grande quantità di tempo (da non trascurare nel campo industriale/cosmetico/farmaceutico) per testare su animali.

Elvi:    Qual è il ruolo dei metodi alternativi alla sperimentazione animale? Si tratta veramente di valide alternative?

Francesca: Sebbene negli ultimi decenni si stiano facendo notevoli progressi nel campo dei metodi alternativi, ancora non esistono delle tecniche che possano completamente sostituire la sperimentazione animale. Infatti, più che di vere e proprie alternative, si tratta di metodi complementari, che possono affiancarsi alla sperimentazione animale, andandone a razionalizzare l’uso. Nel caso dei metodi QSAR, infatti, per costruire i modelli sono fondamentali dei dati sperimentali di partenza (derivanti necessariamente da test su animali). Allo stesso modo, anche i metodi in vitro presentano svariati limiti, tra i quali il fatto di non rispecchiare la complessità di tutti i processi che possono avvenire in un essere vivente e portare ad effetti negativi, quali la tossicità o addirittura la morte. Quindi, questi metodi possono dare un’idea del problema e dei potenziali effetti della sostanza in questione sull’organismo.
Purtroppo però, per studiare  proprietà particolarmente complesse, quali ad esempio, la tossicità di una sostanza sul sistema riproduttivo, ad oggi è ancora di fondamentale importanza l’uso di test sugli animali. Infatti ad oggi, né modelli computerizzati, né test in vitro sono in grado di rappresentare questa complessità. Purtroppo, l’unico modello tanto complesso quanto un organismo, è un organismo stesso. Tuttavia, non si è insensibili davanti alla questione della sperimentazione animale, che resta un tema molto importante e dibattuto anche tra coloro lavorano in quel campo. La comunità scientifica sta infatti facendo grandi sforzi per ridurre al minimo la necessità di sperimentazione animale e migliorare la conoscenza nel campo dei metodi alternativi. Ad esempio, questa settimana a Milano si sta tenendo una conferenza internazionale molto importante sui metodi in silico come alternativa alla sperimentazione animale in diversi campi, quali ad esempio cosmesi, ambiente, alimenti, pesticidi e farmaci [4].
In particolare, gli sforzi mirano alle cosiddette 3R [5]:
i) Replacement (Rimpiazzamento), sostituzione con metodi alternativi, ove possibile
ii) Reduction, riduzione e razionalizzazione del numero di animali utilizzati,
iii) Refinement, ovvero il miglioramento delle condizioni di vita degli animali e dei tipi di test effettuati
La stessa comunità Europea individua queste necessità [6]. Come ti dicevo, in alcuni casi i metodi alternativi sono riusciti a soddisfare in pieno la prima R. Quando ciò non capita, per le problematiche complesse o particolarmente delicate, in ogni caso i metodi alternativi contribuiscono sempre alla riduzione e alla razionalizzazione dei test. Si tratta, quindi, sempre di tecniche valide e da tenere in considerazione.

Elvi:      Quindi sei favorevole alla sperimentazione animale?

Francesca: Se ci fosse una vera (e totale) alternativa alla sperimentazione animale ti direi che sono contraria al 100%. Tuttavia al momento di alternative vere e proprie non ce ne sono e spesso non ci si rende nemmeno conto di quanto dobbiamo essere grati alla sperimentazione animale. Tutti noi ad esempio utilizziamo dei farmaci e non li negheremmo mai ad un figlio o ad una persona cara che sta male, dimenticandoci che se questi farmaci esistono e spesso ci salvano la vita è anche grazie agli animali che sono stati sacrificati per la sperimentazione. Allo stesso tempo, moltissimi prodotti che usiamo quotidianamente, dai prodotti per la cura personale, ai coloranti dei nostri indumenti, sono “sicuri” grazie a dei test effettuati su altri esseri viventi.
Poi è chiaro che ciò non mi piaccia, che a pensarci mi si stringa il cuore, come penso alla maggior parte degli essere umani. Però purtroppo l’alternativa sarebbe quella di non avere più informazione sulla tossicità e la pericolosità di nuovi prodotti che immettiamo sul mercato o non avere più la possibilità di produrre e utilizzare nuovi farmaci. Quello che noi come esseri umani possiamo fare è fare in modo che le alternative siano sempre più valide, che richiedano sempre meno test su animali e che, quando effettuati, questi test siano fatti nel rispetto dell’essere vivente, il tutto al meglio delle nostre capacità.
Personalmente, poi, mi sento di aggiungere che troppo spesso la sperimentazione animale viene vista come volta a tutelare unicamente gli esseri umani. Ti posso dire però che molti test di laboratorio hanno lo scopo di salvaguardare anche altri esservi viventi e gli interi ecosistemi, poiché tentano di capire cosa succede ad una sostanza quando viene immessa in ambiente e quali effetti può avere. Ad esempio, alcuni di questi test in Europa devono obbligatoriamente essere effettuati prima che una sostanza venga messa sul mercato, in modo da essere sicuri che oltre a non avere effetti avversi sull’uomo, nemmeno gli ecosistemi e l’ambiente ne risentano[6]. Quindi diciamo che c’è una certa attenzione anche verso ciò che ci circonda e non solo verso noi stessi.

Elvi:   Perché fai il tuo lavoro?

Francesca: Nonostante tutte le problematiche di cui ti ho parlato sopra, credo fortemente nelle potenzialità dei metodi alternativi, nonostante la questione resti ad oggi molto complessa. In fondo però spesso il progresso è fatto di piccoli passi e negli ultimi decenni sono stati già fatti passi da giganti nel campo e la sperimentazione animale si è già notevolmente ridotta. Ognuno di noi nel suo piccolo sta tentando di dare il suo meglio e il suo piccolo contributo. Mi auguro di cuore che in un futuro non troppo lontano si trovino delle alternative in grado di sostituire i test sugli animali completamente e liberare noi (e gli animali) dalla necessità di un certo tipo di sperimentazione.

Riferimenti Bibliografici
[1]       C. Hansch, “Quantitative approach to biochemical structure-activity relationships,” Acc.Chem.Res., vol. 2, no. 8, pp. 232–239, Aug. 1969.
[2]       S. Adler, D. Basketter, S. Creton, O. Pelkonen, J. Benthem, V. Zuang, K. E. Andersen, A. Angers-Loustau, A. Aptula, A. Bal-Price, E. Benfenati, U. Bernauer, J. Bessems, F. Y. Bois, A. Boobis, E. Brandon, S. Bremer, T. Broschard, S. Casati, S. Coecke, R. Corvi, M. Cronin, G. Daston, W. Dekant, S. Felter, E. Grignard, U. Gundert-Remy, T. Heinonen, I. Kimber, J. Kleinjans, H. Komulainen, R. Kreiling, J. Kreysa, S. B. Leite, G. Loizou, G. Maxwell, P. Mazzatorta, S. Munn, S. Pfuhler, P. Phrakonkham, A. Piersma, A. Poth, P. Prieto, G. Repetto, V. Rogiers, G. Schoeters, M. Schwarz, R. Serafimova, H. Tähti, E. Testai, J. Delft, H. Loveren, M. Vinken, A. Worth, and J.-M. Zaldivar, “Alternative (non-animal) methods for cosmetics testing: current status and future prospects—2010,” Archives of Toxicology, vol. 85, no. 5, pp. 367–485, May 2011.
[3]       “HESI, I., 2006. JRC/SETAC-EU. pp. 5–6.” .
[4]       “QSAR 2014, Milano. http://qsar2014.insilico.eu/"
[5]       “SPERIMENTAZIONE ANIMALE E PRINCIPIO DELLE 3R,” Treccani, l’Enciclopedia italiana. [Online]. Available: http://www.treccani.it/enciclopedia/sperimentazione-animale-e-principio-delle-3r_(XXI_Secolo)/
[6]       “REGOLAMENTO (CE) N. 1907/2006 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO. http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2007:136:0003:0280:IT:PDF"