Ransomware: Il nemico è invisibile, ma il danno è reale

Come difendersi dalle estorsioni digitali prima che sia troppo tardi? Trasformando la paura in strategia

Redazione Butac 19 Dic 2025
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Quando si parla di cybersecurity e, in particolare, di attacchi Ransomware, la mente corre subito alla perdita di dati o al riscatto milionario. Il denaro è inevitabilmente il primo pensiero, ma è l’unico rischio possibile? 

Purtroppo, la realtà è ben più grave. Come ci ricorda l’allarmante fenomeno degli attacchi agli ospedali (che l’ICT Security Magazine ha recentemente definito una questione letteralmente di “vita o di morte”) la posta in gioco può arrivare a essere addirittura la salute e l’incolumità delle persone. Un sistema bloccato infatti non significa solo un bilancio aziendale in crisi, ma terapie negate, operazioni chirurgiche rimandate e, in casi estremi, conseguenze fatali per i pazienti. 

Il Ransomware non fa distinzioni: può colpire una grande azienda, un ente pubblico o un professionista. La gravità dell’intrusione sta nella velocità con cui paralizza le operazioni vitali di un’organizzazione. E la paralisi genera un’interruzione importante dell’attività che può essere ben più grave della mera perdita dei propri dati. 

La crisi in corsia: lezioni da un attacco 

Per comprendere l’importanza di una risposta strutturata, prendiamo come scenario proprio l’ospedale attaccato nel momento in cui l’allarme Ransomware ha suonato. I monitor si spengono, le cartelle cliniche diventano inaccessibili e l’intero reparto IT è nel panico. Questo esempio estremo ci insegna i tre pericoli – oltre alla grave conseguenza dell’interruzione delle attività – che ogni azienda deve evitare.  

Pericolo 1: Il rischio di non vedere le tracce 

Di fronte all’emergenza, il primo istinto è eliminare velocemente il problema, spegnendo tutto o ripulendo i sistemi. Questo però è un errore fatale, perché intervenire senza un piano distrugge le prove necessarie per capire come gli attaccanti sono entrati, come i log e i file temporanei. 

La priorità assoluta in questi momenti è preservare lo stato attuale del sistema per l’analisi forense, non spegnerlo o pulirlo. Dobbiamo sempre sapere chi ha attaccato e in che modo, per evitare che accada di nuovo. 

Pericolo 2: L’Illusione dei salvataggi 

Avere i backup dà spesso un falso senso di sicurezza. Ma se le copie di riserva sono connesse alla rete quando l’attacco è in corso, è quasi certo che anch’esse verranno compromesse. 

Il primo gesto strategico, dopo l’identificazione, deve essere l’isolamento fisico e logico di ogni copia di riserva. Se il backup è il piano B, dobbiamo assicurarci che non sia sulla stessa nave che sta affondando. 

Pericolo 3: Il danno aggiuntivo della paura 

Sia per vergogna che per panico, la tendenza è spesso quella di rimandare l’annuncio dell’attacco; ma non definire una linea di comunicazione chiara (interna, esterna e verso le autorità) e non avvisare tempestivamente eventuali enti regolatori moltiplica il danno, sia dal punto di vista legale che etico, ed espone al rischio di sanzioni salate. La trasparenza controllata è l’unica via per gestire l’immagine aziendale durante la crisi. 

Mai pagare il riscatto 

Di fronte al blocco totale dei sistemi e alla minaccia di perdita o pubblicazione dei dati, pagare può sembrare la via più rapida per “uscirne”. Ma è un errore strategico, per diversi motivi. 

Innanzitutto, pagare non garantisce nulla: non c’è certezza che i dati vengano effettivamente restituiti o che il sistema venga ripristinato. Spesso, le chiavi fornite dagli attaccanti sono corrotte o inutilizzabili. 

In secondo luogo, si rischia il cosiddetto effetto boomerang: nel caso della cosiddetta double extortion, infatti, anche dopo il pagamento i dati vengono comunque pubblicati online o rivenduti, causando un danno reputazionale ed economico ancora maggiore. 

Infine, pagare alimenta il sistema criminale: dimostra che l’attacco ha funzionato e rende l’azienda un bersaglio privilegiato per futuri attacchi, magari dallo stesso gruppo o da altri soggetti che condividono le informazioni nel dark web. 

Per questo motivo, la raccomandazione unanime delle autorità di sicurezza, in Italia e a livello internazionale, è di non cedere mai al ricatto. L’unica strategia efficace è la preparazione: sapere cosa fare – e cosa evitare – prima che accada. 

Il segreto per uscirne 

Per trasformare il panico in strategia, qualsiasi piano di risposta deve basarsi su tre macro-fasi logiche e non negoziabili: 

Contenere l’emorragia 

Il primo obiettivo è interrompere la catena del contagio. Significa isolare rapidamente i sistemi infetti dal resto della rete e bloccare l’azione del malware prima che si diffonda ovunque. Questa è l’unica azione immediata, spesso violenta (disconnettere cavi, disabilitare porte), che deve essere eseguita per salvare i sistemi ancora sani. 

L’analisi specializzata 

È impossibile guarire senza una diagnosi accurata. Un intervento esterno specializzato deve analizzare le cause dell’intrusione (il punto zero dell’attacco) e mappare tutte le vulnerabilità sfruttate. Solo comprendendo l’origine dell’errore si può evitare che l’attacco si ripeta un mese dopo. 

Il ritorno controllato 

Il ripristino non è un interruttore da premere. Deve essere eseguito gradualmente, in un ambiente di test sicuro, e solo dopo aver chiuso tutte le falle scoperte durante l’analisi. Il ritorno alla normalità deve avvenire per priorità e deve includere un monitoraggio intensivo per assicurarsi che l’aggressore non abbia lasciato delle “porte di servizio” per un rientro futuro. 

In conclusione 

In una crisi cyber, la mentalità è tutto, serve a capire che un attacco è inevitabile e che la preparazione è la tua migliore difesa. Non si tratta solo di server e dati aziendali ma di continuità operativa e, in casi estremi come quelli delle strutture sanitarie, dell’incolumità delle persone. La prontezza psicologica non basta: è il dettaglio operativo che fa la differenza tra un incidente gestibile e un disastro. 

Per trasformare la paura in una strategia difensiva, hai bisogno di strumenti concreti, non solo di buone intenzioni. 

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 Redazione BUTAC

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