I suicidi dei padri separati

Sono davvero 200 l'anno? Abbiamo fatto qualche ricerca e scoperto che non vi sono statistiche al riguardo

Nell’ultima settimana in tanti hanno fatto circolare una vecchia intervista all’avvocato fondatore dell’associazione Nessuno Tocchi Papà, associazione che si occupa – od occupava, visto che il sito web risulta chiuso, anche se le pagine social sono ancora attive – di accendere un faro sulla situazione dei padri separati.

Purtroppo ho visto l’intervista messa in giro per ribattere ai numeri delle donne morte per femminicidio. Nell’intervista si cita un dato specifico, usato nel titolo dell’intervista del 2018:

Padri separati, 200 suicidi ogni anno – Padri separati tra crisi economica ed emotiva: ecco i dati relativi al disagio dei papà che dopo il divorzio non hanno l’affidamento

La prima cosa da sottolineare è che usare questo numero affiancato a quello dei femminicidi, come ho visto fare da alcuni commentatori, è davvero sciocco: si tratta di questioni completamente diverse. E ovviamente ciò non toglie che sia una tragedia anche quella di chi, per vari motivi, decide di togliersi la vita, ma appunto decidere di togliere la vita a se stessi o decidere di toglierla a qualcun altro sono due questioni che non si possono paragonare.

La prima cosa che ho fatto è stata di cercare fonti su questa cifra dei 200 padri separati che si suicidano ogni anno, fonti che purtroppo non sono mai riportate con evidenza. Anzi, cercando questi dati la prima cosa che ho trovato è un post facebook di Nadia Somma, blogger del Fatto Quotidiano, che definisce il numero del Giornale una bufala:

Sulla bufala dei 200 suicidi l’anno dei padri separati :’
‘Gli uomini ricorrono alla suicidio più spesso delle donne, l”Istat ha rilevato che le cause del suicidio sono legate soprattutto a malattie fisiche, mentali, stati morbosi ecc. ma non è stata fatta nessuna rilevazione sullo specifico suicidio dei padri separati anche perchè le caratteristiche del fenomeno rendono difficilissimo risalire alle motivazioni. Il suicidio è una tragedia ma è estremamente difficile (lo stesso Istat lo ha specificato) risalire in maniera netta alle sue cause. E allora, da dove viene il dato del 200 suicidi l’anno dei padri separati? Abbiamo cercato approfonditamente per mesi e il dato non ha alcuna conferma ufficiale da nessun organo istituzionale. Risulta essere buttato lì dal presidente di una associazione di padri separati senza che nessun istituto nazionale o internazionale lo avesse mai registrato, una bufala insomma’.

Al post è linkato un articolo che ripete le stesse cose in maniera più argomentata. Il problema, come evidenziato da Somma, è proprio che mancano le fonti: quel numero di 200 padri separati che si suicidano è frutto di una catalogazione che non trova fonti affidabili a sostegno, in compenso troviamo articoli su articoli che usano quel dato. Ad esempio l’oggi influencer avvocato Angelo Greco nel 2017 firmava un articolo su La legge per tutti che dava quel dato per assodato, citando così l’onorevole Turco che era intervenuto alla Camera dei deputati:

Quello dei suicidi dei padri separati è un dramma sottovalutato dai media si parla di 200 suicidi ogni anno solo in Italia e 2000 in Europa, nella stragrande maggioranza dei casi nell’indifferenza generale. Secondo le statistiche sono 4.000 i suicidi in Italia ogni anno e tra questi, appunto, 200 quelli conseguenti ad una separazione e al conseguente allontanamento dai figli. I dati sono stati riportati in alcuni articoli di giornali che a loro volta riportano in particolare gli studi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

Peccato che nessuno linki questi studi dell’OMS. In compenso esiste una ricerca americana, che risale al 2000, e che riporta tra i risultati:

…rischi di suicidio più elevati sono stati riscontrati nelle persone divorziate rispetto a quelle sposate. Le persone divorziate e separate avevano più del doppio delle probabilità di suicidarsi rispetto alle persone sposate (RR = 2,08, intervalli di confidenza al 95% (IC 95%) 1,58, 2,72). Essere single o vedovi non ha avuto effetti significativi sul rischio di suicidio. Quando i dati sono stati stratificati per sesso, è stato osservato che il rischio di suicidio tra gli uomini divorziati era più del doppio di quello degli uomini sposati (RR=2,38, CI 1,77, 3,20). Tra le donne, tuttavia, non sono state riscontrate differenze statisticamente significative nel rischio di suicidio per categoria di stato civile.

Quindi qualche fondamento nel richiedere più attenzione alla situazione dei padri separati potrebbe esserci. Il problema però è un altro, come riporta l’Istituto Superiore di Sanità:

Secondo i dati ISTAT della “Indagine sulle cause di morte”, nel 2016 (ultimo anno per il quale i dati sono attualmente disponibili) nel nostro Paese si sono tolte la vita 3780 persone. Il 78,8% dei morti per suicidio sono uomini. Il tasso (grezzo) di mortalità per suicidio per gli uomini è stato pari a 11,8 per 100.000 abitanti mentre per le donne e 3,0 per 100.000. I tassi di mortalità per suicidio sono più elevati nel Nord Italia e, in particolare per gli uomini, nel nelle Regioni del Nord-Est.

Quindi, in media, senza pensare a separazioni e divorzi, i maschi hanno una tendenza al suicidio quasi quadrupla rispetto alle donne. Se è corretto il dato che in Italia ci sono circa 4 milioni di padri separati, come riportato negli stessi articoli che parlano di 200 suicidi, siamo di fronte a un problema statistico: su 4 milioni, mantenendo quell’11,8 di tasso di mortalità ogni 100mila maschi, dovremmo avere 472 suicidi l’anno, non 200. Che sono tanti, ma dobbiamo tenere presente che potrebbero non essere obbligatoriamente legati alla separazione, visto che come vi abbiamo appena spiegato grazie alle parole dell’ISS si tratta di un tasso di mortalità nazionale, legato solo alla popolazione maschile. In Italia comunque, sempre secondo i dati ISTAT, ogni anno avvengono 4000 suicidi, le cui cause, come spiega l’ISS, sono varie:

Il filo che lega tutti i fattori di rischio per il suicidio è l’incertezza e la perdita di speranza per il futuro; ma il suicidio si può prevenire se si riesce a intervenire sulla sofferenza psicologica e a ridare speranza ai soggetti in crisi.

Il suicidio si conferma come la risultante di molti fattori (genetici, biologici, individuali e ambientali) e, come indicato anche dall’OMS, la malattia psichiatrica non è l’unico fattore di rischio, pertanto le politiche di prevenzione del suicidio non possono essere confinate al solo ambito sanitario ma devono tener conto anche dei potenziali fattori di rischio a livello di contesto sociale, economico e relazionale del soggetto. Inoltre, devono essere considerati anche gli effetti destabilizzanti sulle persone con le quali il suicida era in relazione; i survivor, cioè coloro che sono stati colpiti da un lutto in seguito ad un suicidio, presentano più frequentemente senso di colpa, e sentimenti di rifiuto e abbandono rispetto a chi ha perso qualcuno per cause naturali.

Usare quel numero di 200 suicidi di padri separati senza avere dati che lo confermino in maniera inequivocabile è sbagliato. È probabile in realtà, come dimostra la statistica, che siano ben di più: il problema è arrivare a stabilire in maniera inequivocabile chi si è suicidato per colpa della separazione dai figli, e in quest’ambito non abbiamo trovato tracce di statistiche affidabili che ne parlino. Ciò non toglie che, come spiegato dall’ISS, la cosa più importante sia impostare delle politiche di prevenzione dei suicidi:

Nonostante la prevenzione del suicidio sia stata individuata come obiettivo prioritario dai maggiori organismi internazionali, solo pochi Paesi nel mondo hanno sviluppato una strategia nazionale per la prevenzione del suicidio e l’Italia non è ancora tra questi. Politiche di prevenzione efficaci devono prevedere un approccio di tipo multisettoriale che tenga conto dei potenziali fattori di rischio a livello di contesto sociale, economico e relazionale del soggetto. Inoltre, una strategia nazionale di prevenzione risulterà essere più efficace se implementata sulla base dell’individuazione dei principali fattori di rischio a livello locale con interventi mirati anche a livello di comunità.

Come mai l’Italia non è tra i Paesi ad aver sviluppato delle strategie nazionali di prevenzione? Probabilmente uno dei motivi è che l’Italia è uno dei Paesi europei (ma la statistica è valida anche a livello globale) dove ci si suicida di meno. Con una media di circa 6 suicidi (tra uomini e donne) ogni 100mila abitanti, siamo al 67esimo posto su 112 Paesi in classifica. Davanti a noi troviamo il Regno Unito con 7,23 ogni 100mila abitanti, la Spagna con 7,41, il Portogallo con 8,95, l’Irlanda con 9,34, la Germania con 11,29, la Svizzera con 12,19, gli Stati Uniti con 12,5, la Francia con 13,22, la Russia con 18,2, per poi arrivare in cima alla classifica, dove nella top 3 abbiamo Lituania e Corea del Sud con 28,27 e 28,5 ogni centomila abitanti, e la Groenlandia con lo spropositato numero di 83 suicidi ogni 100mila abitanti.

Speriamo di avervi dato materiale su cui riflettere.

Di suicidi in Italia avevamo già parlato in passato.

maicolengel at butac punto it

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