Utenti polarizzati e fact-checking
Il 6 marzo è uscito su AGI un bell’articolo a firma Walter Quattrociocchi:
Una ricerca su 376 milioni di utenti ci dice come leggiamo le notizie online
L’articolo per molti è una sportellata in faccia, perché il succo è molto simile a quello precedente: il fact-checking inteso come lo facciamo oggi è inutile. L’utente online è polarizzato, e in quanto tale non si troverà mai davanti notizie opposte a quelle che vuole leggere, e nei rari casi in cui gli succeda continuerà a credere alle sue echo chamber, denigrando tutte le altre.
Walter nel suo bell’articolo ci spiega:
Gli utenti su Facebook tendono a formare gruppi attorno a narrative condivise e insieme la fanno evolvere aggiungendo altri tasselli al puzzle. Altre informazioni alla cui veridicità non sono assolutamente interessati. L’importante è che piaccia e che sia ancillare alla causa condivisa. Ad esempio nel caso del dibattito sulle fake news si continua a credere che il fact-checking sia risolutivo. Da tempo si sa che non lo è. Eppure si continua ad argomentare. Espressione anche questa del confirmation bias e dell’effetto echo chamber.
Quello che per me è importante è quel “su Facebook”, che può essere sostituito con un Twitter/Snapchat/WhatsApp/Vkontakte e qualsiasi sistema di messaggistica chiuso o social network; tutti quelli che arrivano su queste piattaforme sono automaticamente polarizzati, se credi nelle scie chimiche ti circonderai di persone che non ti prenderanno per il culo se ne parli, se sei un antivaccinista non cercherai lo scontro costante e quindi avrai amici che la pensano come te e così via.
È normale, facciamo un po’ così anche nella vita vera, è difficile che un fanatico del ventennio fascista abbia come migliore amico un seguace delle politiche di Fidel Castro. Ci piace sentirci nella ragione, ci fa stare meglio, e l’unico sistema per esser sempre circondati da notizie che ci diano ragione è immergersi nelle stesse fino al collo.
Lo stesso succede coi razionali, giusto oggi mi sono imbattuto in una pagina di verifica dei fatti che dava come bufala una notizia che bufala non è. L’avevano trovata riportata su una pagina che è nota per pubblicare notizie inventate e così, senza fare alcuna verifica, l’hanno battezzata come falsa, quando invece era il copia e incolla di una notizia vera, sfruttata solo perché dava addosso alla categoria più odiata d’Italia, gli immigrati. Quindi anche tra i cosiddetti razionali ci sono quelli che una volta definivamo “uTonti”, che difendono quello in cui credono anche scivolando a loro volta su bufale. Polarizzati esattamente come chi crede alle scie chimiche.
Quattrociocchi non fa solo critiche, ma ipotizza anche una possibile soluzione al problema:
Probabilmente il miglior modo per combattere le fake news è cominciare a ragionare su cosa porta alla polarizzazione. Il nemico infatti sembra essere lei.
Dobbiamo promuovere la cultura dell’umiltà a scapito delle supercazzole e della retorica sterile ed eroica.
Alla luce di queste risultati l’idea di introdurre il fact-checking (o peggio ancora motori di ricerca dedicati al fact-checking) come contromisura sembra essere di un’ingenuità infantile, nonché forgiatrice di ulteriore polarizzazione e acredine.
La maniera in cui ce lo dice è appunto la sportellata in faccia di cui parlavo all’inizio, ma ci sta, perché come dimostra l’uTonto razionale di cui vi parlavo poche righe sopra questa “moda del fact-checking” non premia, anzi il rischio è che porti a risultati opposti. Polarizzando ancora di più le fazioni.
Ma cosa porta alla polarizzazione? Per saperlo con certezza ci vorranno altri studi.
Quattrociocchi ci dice che il fact-checking non serve, ma senza fact-checking io sarei solo l’imprenditore Michelangelo Coltelli, e se mi presentassi a un preside di scuola proponendogli di fare una lezione ai ragazzi su come si naviga in rete verrei guardato storto, se mi presentassi all’Ordine dei Medici sostenendo di avere le prove che certificano questo o quest’altro medico come cialtroni pericolosi su cui andrebbe fatta luce mi metterebbero alla porta in men che non si dica, se scrivessi alla Presidenza della Camera per spiegare la pericolosità di certe fake news non mi verrebbe mai risposto. Scrivere, pubblicare, gestire un sito come BUTAC mi ha aiutato invece, aiutato a entrare in ambienti come questi. Per merito di BUTAC, del suo seguito di follower e della stima che gli stessi ci dimostrano ogni giorno certe porte prima chiuse si sono aperte, ci è stato permesso un dialogo che prima era inesistente. Servirà? Non lo possiamo sapere, dipende in buona parte da noi, da come ci muoveremo, da cosa vogliamo veramente fare.
Una cosa che Quattrociocchi non dice è che tutti saremmo alla ricerca di fondi, per migliorarci, per fare studi, per costruire strumenti, tutti. Lui stesso lo è, perché per analizzare i big data servono finanziamenti, che non sempre vengono dati; noi lo siamo, perché per migliorare quello che stiamo portando avanti e studiare altre strade per aiutare, per aprire ancora più porte serve che BUTAC diventi piano piano completamente autosufficiente. E difatti, se ti è piaciuto l’articolo, sostienici su Patreon o su PayPal! Può bastare anche il costo di un caffè!
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