La censura, le fake news e la proposta di Renzi

Le fake news vanno di moda, e come BUTAC negli ultimi tre giorni sono stato ospite di Gianluca Nicoletti a Melog su Radio24 e di Luca Bottura a Tuttorial su Radio Deejay, e ho rilasciato qualche piccola intervista, alcune già pubblicate, altre di prossima pubblicazione.

Il motivo di tutta questa attenzione è probabilmente dovuto in parte all’inchiesta di BuzzFeed della settimana scorsa, in cui BUTAC veniva più volte citato e linkato con nostra grande gioia. Peccato che la maggioranza delle testate italiane delle menzioni a noi e al blog dell’amico e collega David Puente non facciano cenno, forse perché si vergognano ad ammettere che esistevano realtà gestite da non professionisti dell’informazione che avevano già messo in luce alcuni dei siti analizzati da BuzzFeed senza che loro se ne fossero mai accorti. Ma poco importa, quello che importa è che in tanti stanno parlando di fake news, in ogni campo e settore, tutti dando a intendere al proprio lettore di avere la ragione e la razionalità dalla propria. Ma è davvero così?

Fonti e attacchi

La prima cosa che ho notato negli articoli delle ultime ore sulle testate nazionali è la totale mancanza di fonti, si fanno affermazioni senza però dare al lettore la possibilità veloce di verificare quanto si sta affermando. L’altra cosa (grave) che ho notato è che tutti stanno cavalcando la questione non per fare seria informazione sul fenomeno o riflessioni di carattere etico. No, le testate stanno usando il termine fake news a sproposito, spesso solo e unicamente per attaccare la fazione opposta, che sia una testata nemica o un partito non gradito.

Sia chiaro, non cambia nulla rispetto a prima, l’unico elemento in più è che nel dibattito è entrata in gioco la parola fake news. Che usata continuamente perderà totalmente la sua importanza, tanto da divenire il classico richiamo inascoltato in breve tempo. Quello che però è grave è il genere di manipolazione che viene fatta sul lettore già schierato, che per merito di articoli di un certo genere continuerà a convincersi al 100% di essere dalla parte della ragione.

Aprite gli occhi sulle fake news! Sono solo un pretesto per imporre la censura.

Questo è il titolo con cui apriva il suo editoriale Marcello Foa il 28 novembre sul blog de Il Giornale. La parola censura per me è fastidiosissima. Vuol dire tutto e niente, ma ha un potere immenso, se gridi che ti stanno censurando il pubblico tiferà per te. Succede quasi sempre così. Ma questo è sbagliato, noi dovremmo tifare per quello che è corretta informazione, non per chi sostiene, senza sufficienti prove, che lo stanno mettendo a tacere. Io sono contrario alla censura, specie per come m’immagino potrebbe essere in un Paese come il nostro. Ma sono anche contrario alla manipolazione dei fatti. Vediamo cosa ci racconta Foa:

… il problema delle fake news esiste; soprattutto quando a diffonderle sono società o singoli a fini di lucro. Gli esempi, anche recenti, abbondano. O quando vengono usate dagli haters, gli odiatori, ovviamente senza mai esporsi in prima persona. Ma le soluzioni vanno trovate nel rispetto della libertà d’opinione e nell’ambito del sistema giudiziario del singolo Paese. La diffusione sistematica di notizie false al solo fine di generare visualizzazioni è semplicemente una truffa e in quanto tale va trattata. Il problema degli haters è più complesso. Io da sempre sostengo che bisogna avere il coraggio di mettere la faccia e che l’anonimato assoluto per chi si esprime pubblicamente non sia salutare in una vera democrazia. Anche in questo ambito si possono trovare soluzioni intelligenti ad hoc.

Società o singoli a fini di lucro?

Mi dispiace ma non sono d’accordo, non ritengo che sia corretto sostenere che il problema si pone soprattutto in quelle due categorie, a meno che non vogliamo pensare che la manipolazione dell’opinione pubblica, a fini politici e lobbistici, non sia altro che una mera questione economica. Allora siamo tutti d’accordo. Sì, perché la frase di Foa fa sembrare le bufale un qualcosa di strettamente legato a prodotti o pubblicità, quando voi che leggete BUTAC da tempo sapete bene che non è così. Sono tantissime le bufale, o meglio le notizie di pseudogiornalismo, che circolano on e offline. Da quelle politiche a quelle legate a trattamenti medici, ai comunicati stampa di lobby varie spacciati per informazione, e nessuno nelle redazioni che faccia lo sforzo di fare la benché minima verifica prima di pubblicare. Ridurre il tutto solo alla categoria del clickbaiting a scopo di lucro è manipolare i fatti.

Ma procediamo oltre:

Le proposte che sono state formulate negli ultimi tempi – e guarda caso tutte su iniziativa del Pd – si caratterizzano, invece, per la tendenza da un lato a delegare il giudizio a organismi extragiudiziali – talvolta anche extraterritoriali – dall’altro per l’intenzione di colpire arbitrariamente le parole e dunque, facilmente, anche le idee…

…leggete la proposta di legge contro le Fake News annunciata da Renzi. Cito una fonte insospettabile, la Repubblica, che la definisce una legge sulle fake news che non parla di fake news. Scrive Andrea Iannuzzi:

Nel ddl elaborato dai senatori Zanda e Filippin si impone ai social network con oltre un milione di utenti la rimozione di contenuti che configurano reati che vanno dalla diffamazione alla pedopornografia, dallo stalking al terrorismo. La valutazione dei reati viene demandata ai gestori delle piattaforme, che di fatto sostituiscono il giudice: la libertà di espressione potrebbe essere a rischio. Previste sanzioni pesanti per chi non rispetta una serie di adempimenti burocratici.

La proposta di legge pubblicata dal Foglio è disponibile per tutti, potete leggerla e fermarvi un minuto a riflettere, viene spiegato abbastanza chiaramente che non ci si sta battendo contro le fake news nel senso che intende Foa, ma che si sta cercando di colpire chi viola determinati articoli del codice penale.

Se decido di equiparare Facebook a una testata giornalistica, è giusto che al tempo stesso chieda a Facebook che si comporti come le stesse, quindi rispetti la legge. Un editore, se gli viene proposto un articolo che è (faccio un esempio per eccesso) chiara apologia di fascismo, può scegliere di non pubblicarlo. Facebook dovrebbe fare lo stesso, ma siccome la condivisione per essere di successo deve essere istantanea, solo tramite segnalazioni degli utenti il social network/editore può venire a conoscenza dell’illecito. Esattamente come l’editore può scegliere se pubblicare o meno il pezzo che potrebbe causargli una sanzione lo stesso può fare il social network. Non c’è un “anteporsi” al magistrato, ma solo il dovere di un editore se riscontra che quanto è pubblicato contravviene alle leggi esistenti nel paese in cui sta pubblicando.

Ma servirà?

Sia chiaro, non trovo la cosa risolutiva, anzi, i rischi che la cosa si possa ritorcere contro chi fa corretta informazione sono tanti. È noto che la maggioranza dei razionali non è attiva sui social, molti preferiscono vivere offline piuttosto che perdere tanto tempo dietro a una tastiera. L’analfabeta digitale, il leone da tastiera invece è lì, pronto a farsi coinvolgere in qualsiasi flame gli venga proposto, pronto ad attivarsi segnalando pagine, post e profili. Allo stesso tempo gli algoritmi di controllo sono pressoché inutili, ad oggi incapaci di distinguere satira da bufala, battuta da diffamazione.

Che un giornalista che ha il proprio blog su un sito dove trovano posto la medicina alternativa e le tante pseudo notizie ricche di sensazionalismo che ci è capitato di trattare negli anni si scagli così contro la proposta di una lotta alle fake news (seppur inutile e probabilmente controproducente) a me dà solo l’idea che stia cercando di difendere anche il proprio lavoro, la propria possibilità di sparare a zero con notizie non sempre verificate fino in fondo.

Ma sono io che voglio vederci della malizia.

Il dibattito è aperto, date fiato ai commenti, ma prima di dire la vostra leggete quella che era la proposta di legge, siate bravi!

Il sempre ottimo Alessandro Masala si è pronunciato su Breaking Italy proprio sull’argomento:

Parlando anche di adpocalypse, sono d’accordo con tutto il servizio di Shy, ma una cosa che vorrei aggiungere è che l’adpocalypse non è solo prerogativa di Youtube, anche i blog stanno subendo via via la stessa fine, vedendo drasticamente ridotte le entrate pubblicitarie. BUTAC continua a cercare di limitare la pubblicità, e ad avere qualche controllo sul tipo di campagne presenti negli articoli (la sezione commenti è storia a parte) riuscendo a pagare server e tools (oltre che i legali, quando necessario) grazie alle vostre donazioni, non parliamo di entrate, nessuno guadagna da BUTAC, anche se a volte è bello sognare di poter essere una vera redazione con la possibilità di dedicarsi full time a questo progetto, giunto quasi al quinto anno di vita…

maicolengel at butac punto it
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