24 Agosto 1991 – Dichiarazione di Indipendenza dell’Ucraina

Un approfondimento storico su un evento tanto essenziale per la storia contemporanea quanto trattato con superficialità

In occasione dell’anniversario dell’indipendenza ucraina, celebrata ogni 24 agosto, pubblichiamo un articolo in cui ripercorriamo gli eventi succedutesi in URSS e in Ucraina in quel lontano 1991. Lo facciamo – è vero – con qualche giorno di ritardo, ma d’altronde lo scopo di questo articolo non è commemorativo, bensì quello di fare chiarezza su alcuni passaggi e aspetti fondamentali che hanno caratterizzato l’Unione Sovietica nei suoi ultimi anni e la neonata repubblica indipendente ai suoi albori. Capita spesso infatti di imbattersi in ricostruzioni approssimative e interpretazioni parziali e fuorvianti che, ovviamente, impattano direttamente sulla narrazione degli eventi che ancora, dopo più di tre anni, sconvolgono il Paese. Per questo ci auguriamo che un riepilogo dei principali eventi possa aiutare a far chiarezza in un panorama informativo alquanto caotico e, soprattutto, a stimolare i più curiosi e interessati ad approfondire tanto gli eventi di cui si era già a conoscenza quanto quelli finora ignorati. Buona lettura.

Dalla crisi del sistema sovietico alla dichiarazione di sovranità dell’Ucraina

L’origine dell’indipendenza ucraina, come di ciascuna ex Repubblica sovietica, va ricondotta al crollo dell’URSS. Su questo tanto è stato scritto e tanto si scriverà, per cui eviteremo di annoiarvi con lunghe descrizioni manualistiche e proveremo invece a farvi leggere qualcosa di nuovo e a stimolare la vostra curiosità riportando direttamente le parole di Mikhail Gorbaciov:

Durante una certa fase (e questo apparve particolarmente chiaro nella seconda metà degli anni Settanta) accadde qualcosa a prima vista inesplicabile. […] Gli insuccessi economici divennero più frequenti. Le difficoltà cominciarono ad accumularsi e a deteriorarsi, i problemi insoluti a moltiplicarsi. […] Si formò una specie di «meccanismo frenante» che influiva sullo sviluppo sociale ed economico. […]

Analizzammo la situazione […] Negli ultimi quindici anni i tassi di crescita del reddito nazionale erano declinati più della metà, e all’inizio degli anni Ottanta erano caduti a un livello molto prossimo a quello della stagnazione economica. […]

Molti nostri dirigenti economici presero l’abitudine di non pensare affatto a migliorare la produzione nazionale, bensì a convogliare più materiali, più manodopera e più tempo di lavoro in un prodotto da vendere a prezzo più elevato. […]

Nel tentativo di rimediare alla situazione si incominciò a pagare premi cospicui, ingiustificati e immeritati […] e in una fase successiva questo portò all’abitudine di «gonfiare» i rapporti e i rendiconti a fini di lucro. Si andava affermando una mentalità parassitaria […]

Anche sul piano ideologico, il meccanismo frenante causava una resistenza anche maggiore ai tentativi di esaminare costruttivamente i problemi che andavano emergendo e alle idee nuove. La propaganda del successo, autentico o immaginario, prendeva il sopravvento. Il servilismo e l’adulazione venivano incoraggiati, mentre si ignoravano le esigenze e le opinioni dei lavoratori e della gente in generale. […] Tendenze negative molto simili condizionavano anche la cultura, le arti e il giornalismo, nonché l’insegnamento e la medicina dove affioravano egualmente la mediocrità, il formalismo e l’adulazione. […]

Era naturale che questa situazione producesse un problema di credibilità […] La guida del partito si era allentata, e in alcuni processi sociali d’importanza vitale s’era perduto lo spirito d’iniziativa […] I lavoratori erano giustamente indignati del comportamento di tanti individui i quali, essendo investiti della fiducia e della responsabilità, abusavano del potere, insabbiavano le critiche, accumulavano patrimoni […]

Una valutazione onesta e priva di preconcetti ci portò all’unica conclusione logica: il paese era sull’orlo di una crisi. Tale conclusione fu annunciata nel Plenum del Comitato Centrale dell’aprile 1985, che inaugurò la nuova strategia della perestrojka e ne formulò i principii basilari. Desidero sottolineare che questa analisi era incominciata molto tempo prima del Plenum di aprile e che perciò le sue conclusioni erano ben meditate. Non si trattava di una decisione improvvisata bensì di un giudizio equilibrato. Sarebbe un errore pensare che appena un mese dopo il Plenum del Comitato Centrale del marzo 1985, che mi elesse segretario generale, fosse apparso all’improvviso un gruppo di persone che capivano tutto e sapevano tutto e che costoro avessero le risposte pronte per tutti gli interrogativi. Questi miracoli non avvengono mai.

Mikhail Gorbaciov, Perestrojka. Il nuovo pensiero per il nostro paese e per il mondo, traduzione di Roberta Rambelli, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1987 (pp. 15-23)

Le difficoltà in cui versava l’Unione Sovietica in quegli anni vengono qui descritte da Gorbaciov con parole che, nella loro chiarezza e semplicità, ne trasmettono piuttosto bene la profonda complessità, soprattutto quella di intervento. La soluzione non avrebbe potuto che essere altrettanto complessa e articolata, ma per descriverla venne scelta una sola e immortale parola: perestrojka. Forse è per questo che alla domanda “Che cosa fu la perestrojka?” non si può rispondere facilmente, perché essa muoveva certo da necessità di natura prettamente economica, ma finiva inevitabilmente col coinvolgere il piano politico, quello sociale e persino quello culturale dell’intera Unione Sovietica.

Per dirla in breve, abbiamo bisogno di una vasta democratizzazione di tutti gli aspetti della società. [corsivo nel testo ndr] (p.33)

Spesso ci viene chiesto che cosa vogliamo dalla perestojka. Quali sono i nostri scopi finali? Non possiamo dare una risposta esatta e dettagliata. […] Tuttavia in linea di principio posso dire che ci è chiaro il risultato finale della perestrojka. E’ un rinnovamento totale di ogni aspetto della vita sovietica (p. 39)

Per riassumere, Gorbaciov identificò nell’accentramento del potere sovietico uno dei problemi strutturali dell’Unione, per cui iniziò un processo di decentralizzazione rapidamente sfociato, nel 1990, nella dichiarazione di sovranità da parte delle 15 Repubbliche socialiste sovietiche.

Il 16 luglio 1990 la Verkhovna Rada, a maggioranza comunista, con 355 voti a favore e 4 contrari adottò la Dichiarazione di Sovranità dell’Ucraina: essa prevedeva la superiorità delle leggi ucraine su quelle dell’Unione Sovietica, la creazione di un esercito nazionale e una banca statale col potere di stampare una moneta nazionale e la permanente neutralità del paese sul piano internazionale. Qui potete trovare il testo originale.

1991 – L’indipendenza ucraina e la fine dell’Unione sovietica

Il 20 gennaio 1991 si tenne il Referendum sullo status politico della Crimea, con cui il 94,3% dei votanti si espresse a favore della restaurazione della Repubblica Socialista Sovietica Autonoma di Crimea, abolita nel 1945. Il mese successivo la Verkhovna Rada si pronunciò per la sua creazione, ma entro i confini ucraini. Lo status della penisola era nei fatti minore di quello delle Repubbliche dell’Unione, ma superiore rispetto a quello degli oblast indipendenti. Per ulteriori approfondimenti sulle RSSA potete consultare la relativa pagina Wikipedia, mentre per un focus sulle vicende della Crimea sovietica e ucraina vi consigliamo un paper dell’International Committee for Crimea risalente al marzo 2000. Ha i suoi anni, ma ha i grandi pregi di essere ricco di fonti e di essere stato pubblicato in un periodo, per così dire, “non sospetto”, poiché di molto anteriore al 2022 e al 2014.

Tornando alla Dichiarazione di Sovranità, essa non è da interpretarsi come decisione unilaterale dell’Ucraina di staccarsi dall’Unione Sovietica, ma come volontà di cambiare l’allora stato di cose. Così sembrano suggerire i risultati dell’unico referendum nazionale di tutta la storia dell’Unione Sovietica, tenutosi il 17 marzo 1991: il Referendum di tutta l’Unione sulla conservazione dell’URSS. Il quesito recitava:

Considerate necessario preservare l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche come una rinnovata federazione di repubbliche uguali e sovrane in cui saranno pienamente garantiti i diritti e la libertà dell’individuo di ogni nazionalità?

L’affluenza fu dell’80% e i voti a favore il 78% in tutta l’Unione, mentre in Ucraina votò sì il 71%.

1991_Union_of_Soviet_Socialist_Republic_referendum_results_by_SSR_and_ASSR_Wikipedia

I risultati arrivano a differire anche profondamente da un oblast all’altro (scorrete la tabella alla pagina Wikipedia), ma su questo punto torneremo tra poco, perché agli elettori ucraini venne sottoposto un altro quesito:

Ritieni che l’Ucraina debba far parte di un’Unione di Stati Sovietici Sovrani sulla base di quanto stabilito dalla Dichiarazione di sovranità dell’Ucraina? [traduzione nostra ndr]

L’81,7% degli elettori ucraini rispose sì.

Referendum sulla Sovranità dell'Ucraina - 1991

L’immagine dell’Ucraina che esce da questi due quesiti sembra essere quella di un Paese in cui la maggioranza degli elettori desiderano una più marcata autonomia da Mosca, ma che si esprimono comunque favorevolmente verso la definizione di nuovi rapporti su base egualitaria con tutte le Repubbliche sovietiche.

Significativamente, però, in alcune aree il sì al mantenimento dell’URSS (primo quesito) non raggiunse la maggioranza dei voti. Esse furono l’area metropolitana di Kyiv (44,6%, mentre nell’oblast raggiunse il 66,9%) e gli oblast di Ternopil (19,3%), Ivano-Frankivsk (18,2%) e Lviv (16,4%). Queste tre regioni furono le uniche che, altrettanto significativamente, proposero un terzo quesito:

Vuoi che l’Ucraina diventi uno Stato indipendente in grado di pronunciarsi da sé sulle questioni di politica interna ed estera e di assicurare uguali diritti ai propri cittadini senza distinzione etnica o discriminazione religiosa? [traduzione nostra ndr]

I sì raggiunsero l’88,3% dei voti nei tre oblast.

Essi si andavano quindi a connotare come i più convintamente, per così dire, “antiunionisti” e indipendentisti, mentre l’area di Kyiv mostrava qualche incertezza. In ogni caso, in tutto il Paese una solida maggioranza aveva espresso chiaramente la sua volontà.

Il 23 aprile si arrivò all’“Accordo 9+1”, un accordo negoziato da 9 delle 15 Repubbliche sovietiche, più Gorbaciov in qualità di presidente dell’Unione. Ne uscì il Nuovo Trattato dell’Unione, che 8 repubbliche si impegnarono a firmare il 20 agosto. Fu l’Ucraina ad astenersi, poiché il trattato era in alcune parti in conflitto con la Dichiarazione di Sovranità, che al referendum aveva ottenuto tre milioni di sì in più rispetto al primo quesito.

Notiamo qui una forte peculiarità del Paese. Esso, infatti, si differenzia da una parte da quelle 6 Repubbliche che avevano deciso di percorrere la via dell’indipendenza senza alcun compromesso, ma dall’altra anche da quelle 8 che, come l’Ucraina stessa, si erano mostrate favorevoli alla permanenza in una Unione Sovietica rinnovata, poiché nessuna di loro aveva espresso con la stessa forza la volontà di distaccarsi da un potere centrale non nazionale.

Il dibattito coinvolse tutto il Paese e si andò a intrecciare con le questioni irrisolte che continuavano ad animare discussioni e manifestazioni. In tal senso risulta illuminante la lettura di un’intervista realizzata in quell’anno e pubblicata nel 1992 sul The Oral history Review, “We’ll Remain in This Cesspool for a Long Time”: The Miners of Donetsk Speak out (“Rimarremo in questo letamaio ancora per molto”: parola dei minatori del Donbas). Non solo illuminante, ma di ulteriore interesse in quanto condotta nella città di Donets’k, uno dei luoghi chiave del 2014.

A essere intervistati sono un direttore di miniera, il presidente e il vicepresidente del Consiglio dei Collettivi di Lavoro da una parte e il capo e due membri del comitato di sciopero dall’altra. I primi non avevano aderito allo sciopero indetto dai secondi, per cui l’intervista è a suo modo in grado di restituirci un minimo di complessità sociale. Non da ultimo va notato come le sei voci rappresentino, per i ruoli ricoperti, una fetta non trascurabile della società.

Se i sostenitori dello sciopero si dicevano a favore dell’indipendenza del Paese perché solo «in questo modo il popolo ucraino e delle altre repubbliche se otterranno la sovranità riusciranno più facilmente a intervenire sui problemi economici e sociali» (p. 80), gli altri sostenevano che «se l’Ucraina fosse divenuta una repubblica sovrana avremmo minato la sua economia. Chiedere sovranità per l’Ucraina mentre si mina la sua economia non ha senso» (p. 75). Entrambe le parti, però, lamentavano gli stessi problemi, in particolare l’inestinguibile problema abitativo, i salari bassi e l’altissima mortalità:

Mikhail Krylov [membro del comitato di sciopero ndr]: Gli ingegneri guadagnano di più [in Occidente ndr] perché implementano tecnologie e creano condizioni migliori per i minatori affinché lavorino con pulsanti, non con una pala. […] Al momento, a Donetsk e in tutto il Donbas l’aspettativa di vita media per le principali professioni, scavatori di gallerie, macchinisti, tagliatori di carbone e altri minatori, è di circa trentotto anni. Le persone vivono fino a soli trentotto anni. La mortalità è enorme, quattro o cinque persone per milione di tonnellate. Penso che questo spieghi tutto, perché i minatori richiedono così grandi aumenti salariali. Qui non c’è input ingegneristico; è solo lavoro fisico. [p. 85, traduzione nostra ndr]

Paradossalmente – o forse no – entrambi miravano ad ottenere le stesse cose: una riforma delle istituzioni sovietiche, definite dittatoriali, il pieno ingresso nell’economia di mercato e, più in generale, un futuro migliore per se stessi e per i loro figli. A questo riguardo il direttore Alizaev, contrario allo sciopero, facendo riferimento all’omonimo docufilm oggi disponibile su YouTube, parla del loro tentativo di realizzare una «perestrojka dal basso». Senza dilungarci oltre su questa intervista vi consigliamo di leggerla per intero, non ve ne pentirete.

Quanto stava accadendo internamente, ovviamente, era oggetto delle attenzioni dei maggiori protagonisti mondiali.

Il 1° agosto l’allora presidente degli Stati Uniti George H. W. Bush (“Bush padre”) tenne un discorso alla Rada:

In questi giorni esplorate le frontiere e i limiti della libertà […] Qualcuno ha suggerito agli Stati Uniti di scegliere tra il supporto a Gorbaciov e ai leader indipendentisti. Io considero questa una falsa dicotomia. […] Ma la libertà non può sopravvivere se lasciamo emergere i despoti […] Libertà non è lo stesso che indipendenza. Gli americani […] non supporteranno coloro che promuovono un nazionalismo suicida basato sull’odio etnico. […] L’accordo nove più uno rinnova la speranza che le repubbliche [sovietiche ndr] possano conciliare una maggiore autonomia con una maggiore volontà di interazione – politica, sociale, culturale, economica – piuttosto che gettarsi in un isolamento senza speranza. […] E ora, mentre i cittadini sovietici tentano di forgiare un nuovo patto sociale, voi avete l’obbligo di restituire il potere ai cittadini demoralizzati da decenni di regime autoritario.

Il discorso passerà alla storia come il “Chicken Kiev Speech, cioè il discorso del pollo alla Kiev: il giornalista del New York Times William Safire adottò questa espressione combinando il nome di una ricetta tipica ucraina al fatto che il presidente americano sembrò mostrare un certo timore all’idea di uno stato Ucraino indipendente, comportandosi “da pollo”. Quelle parole sembravano infatti invitare gli ucraini a rimanere saldamente nell’Unione, ammonendoli dei pericoli e delle difficoltà che li avrebbero aspettati al di fuori di essa.

L’11 agosto The Ukrainian Weekly pubblicava l’articolo Ukraine and the Union Treaty, in cui si scriveva alla seconda pagina che il parlamento ucraino aveva rinviato il suo pronunciamento sul Nuovo Trattato dell’Unione a settembre, mentre appena fuori dall’edificio l’Unione degli Studenti Ucraini, contraria alla firma senza condizioni, predisponeva delle tende nelle quali accamparsi per fare pressioni sul governo. La pratica, evidentemente, sembra risalire a ben prima del 2013.

In ogni caso, prima della data fissata per la firma ci fu una svolta, un punto di non ritorno per l’URSS. Il 18 agosto, infatti, alcuni vertici del governo sovietico appoggiati dal capo e alti ufficiali del KGB tentarono il colpo di stato: quell’evento sarebbe stato ricordato come il Putsch di agosto.

Gorbaciov venne trattenuto in Crimea, dove si trovava in vacanza, mentre a Mosca i golpisti si preparavano all’azione. Il 19 agosto alle 3 del mattino la TASS – che, lasciatemelo dire, non si smentisce mai – iniziava a trasmettere il messaggio del leader golpista Gennady Yanayev, vicepresidente dell’URSS, il quale annunciò che per motivi di salute Gorbaciov non avrebbe più potuto esercitare i suoi poteri. Alle 6 del mattino la televisione centrale sovietica trasmetteva il comunicato ufficiale del Comitato Statale per lo Stato di Emergenza per poi dare spazio, per tre giorni consecutivi e ininterrottamente, a una rappresentazione de Il lago dei cigni di Ciajkovskij.

Sul numero del 20 agosto de L’Unità, storico quotidiano comunista, a pagina due si faceva notare che:

Non viene mai fatto riferimento al socialismo mentre di parla del «mortale pericolo che incombe sulla nostra grande patria». […] La retorica patriottica arriva ad affermare che una volta «il cittadino sovietico all’estero era orgoglioso del proprio potente paese, mentre ora è solo il cittadino di un paese di serie b». Nel messaggio di Anatolyj Lukjanov c’è l’unica chiave politica per capire perché questo golpe annunciato e rinviato sia avvenuto proprio nella mattina del 19 agosto: il trattato dell’Unione non si deve firmare.

I golpisti non indossavano più nemmeno la maschera ideologica del socialismo, si trattava di puro e semplice mantenimento del potere ad ogni costo. Inoltre, fa impressione notare una certa corrispondenza tra la retorica di quel comunicato e quella utilizzata in Russia in tempi anche molto recenti.

A organizzare la risposta al putsch fu Boris El’cin, che in una Mosca assediata dalle truppe e dai carri armati sovietici riuscì a coinvolgere la popolazione e una parte sempre crescente dell’esercito, determinando così il fallimento dei golpisti il 21 agosto. Una cronologia degli eventi è stata pubblicata dalla BBC russa, divisa in parte 1 e parte 2.

Il processo di disgregazione dell’URSS, però, era iniziato. Il 20 agosto l’Estonia aveva dichiarato il pieno ripristino dell’indipendenza del Paese, la Lettonia seguiva il giorno dopo e la Georgia aveva chiesto ai governi occidentali di riconoscere tutte le Repubbliche sovietiche come stati indipendenti. Della situazione in Ucraina invece, scriveva The Ukrainian Weekly:

Il voto per l’indipendenza del Parlamento Ucraino, dominato dal partito comunista, è stato accolto lo scorso sabato con grande sorpresa da parte della maggioranza dei 52 milioni di cittadini di questa nazione. Durante la tesa sessione straordinaria del 24 agosto durata 11 ore, un acceso dibattito si è concentrato sul comportamento del parlamento, del governo e dei leader del partito comunista durante il fallito colpo di stato a Mosca del 19-21 agosto.

Migliaia di persone si sono riunite di fronte alla sede del Soviet Supremo gridando “Vergogna a Kravchuk”, [futuro primo presidente dell’Ucraina indipendente ndr] mentre lui prendeva la parola nella sessione difendendo il suo cauto atteggiamento durante la crisi. Il suo discorso è stato seguito dagli interventi del leader della maggioranza comunista Mr. Moroz e dal leader del Consiglio Nazionale Mr. Yukhriovsky.

Mr. Yukhriovsky ha presentato le proposte di legge del Consiglio Nazionale in risposta al golpe: immediata dichiarazione di indipendenza; depoliticizzazione della Procura Ucraina, del KGB, del Ministero degli Interni e della milizia, degli organi statali, delle istituzioni e dei luoghi di lavoro, della televisione centrale, radio e stampa; […] il licenziamento del Capo Procuratore della SSR Ucraina Mykhailo Potebenko e del Capo della TV Ucraina Mykola Okhmakevych per complicità col regime golpista; e la creazione di una commissione speciale per le indagini sulle azioni delle autorità durante la fallita presa del potere.

Mentre migliaia di ucraini all’esterno sventolavano la bandiera nazionale cantando “indipendenza”, all’interno il dibattito è proseguito per ore […] Dopo che Volodymyr Yavorivsky ha proposto il voto per l’indipendenza, leggendo il testo della risoluzione e l’atto della dichiarazione di indipendenza, Kravchuk ha chiesto un’ora di pausa durante la quale la maggioranza comunista si è riunita per dibattere sulla decisione di portata storica.

Durante il dibattito è apparso chiaro che molti comunisti reputarono non ci fosse altra scelta che la secessione e, come dissero chiaramente, distanziarsi dagli eventi di Mosca, in particolare dal forte movimento anti-comunista del parlamento russo. “Se non votiamo per l’indipendenza sarà un disastro”, disse il capo del partito comunista ucraino Stanislav Hurenko durante il dibattito. Verso la fine del dibattito, due rappresentanti del Consiglio Nazionale, Yavorivsky e Pavluchko, si presentarono nella riunione per proporre un compromesso: una clausola nella risoluzione per richiedere un referendum nazionale sull’indipendenza da tenersi il 1° dicembre.

Dopo la pausa, alle 17:55, il Soviet Supremo dell’Ucraina ha votato 321 voti contro 2 e 6 astenuti, su un totale di 360, l’Atto di Dichiarazione di Indipendenza dell’Ucraina e la creazione di uno stato ucraino indipendente – l’Ucraina.

Alle 18:00 il parlamento ucraino ha votato 346 voti contro 1 e 3 astenuti, su un totale di 362, per la risoluzione, dichiarando l’Ucraina uno stato indipendente e democratico e fissando un referendum in data 1° dicembre.

Così, lo stesso giorno in cui Gorbaciov rassegnava le dimissioni da segretario generale del PCUS, il 24 agosto 1991 l’Ucraina proclamava l’indipendenza.

Il 1° dicembre, come stabilito, si tenne il referendum sull’indipendenza. L’affluenza fu dell’84% e i sì furono il 90%. La percentuale più bassa fu quella registrata in Crimea, 54%, mentre nel resto del Paese nessun oblast scese sotto il 75%. In considerazione dei futuri eventi del 2014 risultano altresì rilevanti le percentuali raggiunte nel Donets’k e nel Luhans’k: rispettivamente 77% e 84%.

L’8 dicembre i leader di Russia, Ucraina e Bielorussia firmavano l’Accordo di Belavezha, o Accordo di Minsk, con cui l’Unione Sovietica perdeva il suo status di soggetto di diritto internazionale e veniva creata la Comunità degli Stati Indipendenti. L’Ucraina ne sarebbe uscita solamente nel 2018.

RC

Se ti è piaciuto l’articolo, sostienici su Patreon o su PayPal! Può bastare anche il costo di un caffè!

Un altro modo per sostenerci è acquistare uno dei libri consigliati sulla nostra pagina Amazon, la trovi qui.

BUTAC vi aspetta anche su Telegram con il canale con tutti gli aggiornamenti e il gruppo di discussione, segnalazione e quattro chiacchiere con la nostra community.