Alcol a piccole dosi? Fuffa!

L'ennesima difesa del settore enologico e il parere sui temi di salute di associazioni che vogliono difendere il "bere mediterraneo" (in barba alle evidenze scientifiche, a quanto pare)

Oggi non tratto una segnalazione, ma vorrei parlare di due articoli che mi sono apparsi nella timeline di Google News a breve distanza l’uno dall’altro. Due articoli che dicono le stesse cose ma che sono pubblicati da due testate completamente diverse.

Titola Quotidiano Sanità il 31 luglio 2023:

Benefici dall’alcol a basse dosi anche per chi soffre di malattia coronarica

Nell’articolo leggiamo:

Tra le raccomandazioni, l’AHA non esclude, per chi già beve abitualmente, la compatibilità di un consumo giornaliero moderato di alcol stimato intorno a poco meno di due unità alcoliche per gli uomini e poco sotto una unità per le donne. Pur non ritenendo opportuno per chi non beve, di iniziare, solo per motivi di salute, un consumo a basse dosi, le Linee guida riconoscono l’effetto benefico per la salute cardiaca del consumo limitato e regolare, ribadendo al contempo il rischio aumentato per i consumatori che eccedono le dosi raccomandate o bevono in modo eccessivo in singole occasioni (“binge drinkers”).

“La chiara indicazione del documento dell’AHA e del ACC” dichiara Michele Contel Segretario generale OPGA, “recepisce una consolidata sequenza di studi che evidenziano effetti protettivi per il cuore tra chi beve poco e regolarmente, effetti che si perdono tra gli astemi e i forti bevitori”.

Su La Verità, con la firma di Patrizia Floder Reitter, leggiamo un titolo molto simile:

L’alcol fa bene (a piccole dosi). I cardiologi americani stroncano i deliri della Viola

Nel testo di Quotidiano Sanità le linee guida a cui fanno riferimento sono linkate, e siamo andati a leggerle in originale. Le trovate qui. Il capitolo 4.2.4 parla appunto dell’uso di sostanze, vi riportiamo la parte di sinossi in cui si parla dell’alcol:

Varie sostanze possono avere effetti negativi sul sistema cardiovascolare, tra cui cocaina, anfetamine, oppioidi, alcool e marijuana (Tabella 9). Queste sostanze hanno anche il potenziale per l’abuso e le interazioni farmacologiche con le terapie cardiovascolari. Poiché alcune di queste sostanze sono illecite (p. es., cocaina, eroina), gli studi che esaminano il legame tra sostanze e pazienti con CCD sono limitati, basati sull’osservazione e con misure imprecise del rischio di esposizione. Sebbene i dati osservazionali mostrino una relazione a forma di J tra consumo di alcol e rischio cardiovascolare, nessun RCT (studio randomizzato controllato) supporta un consumo moderato di alcol per ridurre il rischio cardiovascolare. In effetti, studi recenti suggeriscono che nessun livello sicuro di consumo di alcol è accettabile e che gli effetti cardioprotettivi precedentemente osservati del consumo di alcol da leggero a moderato sono probabilmente confusi da altri stili di vita e fattori sociodemografici. Con la recente legalizzazione della marijuana e dei suoi derivati ​​in alcuni stati, si prevede che il suo uso nei pazienti con CCD cresca. Una dichiarazione scientifica dell’AHA evidenzia gli effetti cardiaci specifici della cannabis…

E la tabella con le linee guida a inizio capitolo riporta chiaramente:

Ai pazienti con CCD (chronic coronaric disorder) non dovrebbe essere consigliato di consumare alcol ai fini della protezione cardiovascolare

Che Floder Reitter scriva un articolo che difende il fatturato del settore enologico non ci sorprende, che invece la stessa cosa la faccia una testata che parla appunto di sanità è a nostro avviso molto più grave, e non siamo gli unici ad essersene accorti. Guarda caso il 1 agosto è stata pubblicata proprio su Quotidiano Sanità la lettera di un amico di BUTAC, Grerardo D’Amico, dal titolo:

Non esiste dose minima di assunzione alcolica sicura, men che meno che dia benefici di salute

Lettera da cui riportiamo:

Non so se abbiamo consultato lo stesso documento, ma nella sezione riferita al consumo di alcol quello che ho visionato io, le linee guida 2023, afferma che gli studi che collegano benefici cardiaci col consumo anche di moderate quantità di alcol sono osservazionali, e nessuno studio controllato randomizzato supporta una diminuzione del rischio di malattie cardiache con una assunzione moderata di alcolici.

Anzi, sottolinea l’Associazione dei cardiologi americani, studi recenti attestano che non esiste un livello sicuro ed accettabile di assunzione di alcol, e gli effetti registrati nel passato come cardio protettivi con un uso minimo o moderato di alcol sono confondenti, perché gravati da stili di vita e fattori sociodemografici.

In chiusura vorremmo evidenziare che il vicepresidente dell’OPGA, l’Osservatorio sui giovani e l’alcol, non è medico, bensì filosofo, e che l’Osservatorio non è un’associazione dedicata a preservare la salute dei giovani, come leggiamo dal loro manifesto:

L’OPGA nasce all’inizio degli anni novanta per il bisogno di acquisire e consolidare con strumenti scientifici affidabili le conoscenze sul fenomeno alcol nella loro complessità e multidimensionalità.

La ricerca sul campo accompagnata da una puntuale ricognizione delle metodologie disponibili, la focalizzazione sui diversi modelli di consumo, la scelta di privilegiare l’osservazione dell’universo giovanile attraverso una lettura multidisciplinare integrata, l’esplorazione antropologico-culturale del rapporto alcol/società, sono stati fin dall’inizio gli obiettivi che hanno caratterizzato la missione dell’Osservatorio.

E ancora:

L’approccio medico e le conseguenti proposte avanzate in termini normativi, non tengono conto che dietro la relazione degli individui con le bevande alcoliche c’è una “storia” ultramillenaria.

Una storia che ci narra di un legame profondissimo tra l’alcol, nei suoi vari usi e valori, e la vita umana. Una storia che ci mostra soprattutto che questo legame ha resistito e continua a resistere di là di qualunque tipo di intervento che le società hanno saputo fare. Il fallimento dei vari proibizionismi ne è la miglior riprova.

E ancora:

L’Osservatorio crede che il “bere mediterraneo” sia un modello da difendere in quanto portatore di valori “protettivi” di fronte al consumo eccedentario.

Perché un giornale che si occupa di salute deve dare risalto al parere di un’associazione che non si occupa di medicina ma di difendere il “bere mediterraneo” è qualcosa che mi sfugge, e forse è sfuggita anche a Gerardo.

Non credo sia necessario aggiungere altro.

maicolengel at butac punto it

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