È passata la giornata contro l’omobitransfobia, ma i diritti restano sempre attuali. Concludiamo quindi la nostra approfondita analisi del DDL Zan, stavolta rispondendo ad alcuni dei più popolari e importanti dubbi riguardo all’identità di genere, i diritti delle donne e i motivi per cui non si vuole modificare il DDL né accettare la proposta della Lega.
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Secondo le femministe radicali, per punire la transfobia basterebbe usare nel DDL Zan il termine “transessualità”, così da tutelare le persone trans senza attaccare l’identità delle donne e i loro diritti. Ma è davvero così?
Ripartiamo dai concetti: l’identità di genere consiste nel genere in cui la persona si identifica. Per quasi tutti, questo corrisponde al sesso di nascita (si parla di persona cisgenere: al di qua del genere). Per le persone transgenere (al di là del genere) invece no: loro infatti sentono intimamente di non appartenere, in tutto o in parte, al genere relativo al proprio sesso.
Si parla quindi di “identità di genere” per poter definire questa relazione dissonante tra sesso biologico e genere percepito. Una persona di un certo sesso potrebbe identificarsi nel genere opposto (si parla di MtF – Male to Female – chi da uomo si percepisce donna, o, viceversa di FtM – Female to Male) ma potrebbe anche non identificarsi in alcuno dei due generi (maschile, femminile) o farlo in entrambi, magari però non allo stesso tempo. È un po’ complicato, esistono tante sfumature, ognuna con un suo nome (avrete certo sentito parlare di persone agender, non-binarie o gender-fluid). Per facilità e completezza, tutte queste sfumature sono raccolte nella definizione “ombrello” di transgenerismo, cioè il fatto di essere transgenere (se masticate l’inglese, qui un articolo davvero completo).
È evidente che, quindi, l’identità transessuale o la transessualità (termini che non esistono in nessuna legge) non sono per nulla equivalenti all’identità di genere, soprattutto in Italia. Ignorare questo fatto è a tutti gli effetti un comportamento trans-escludente, considerato anche che le persone trans e intersessuali sono mediamente le più esposte ad atti di violenza e discriminazione, incluso l’omicidio.
Come faceva notare il Servizio Studi della Camera l’identità di genere compare anche nell’ordinamento europeo. Inoltre è uno dei motivi di discriminazione individuati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, come evidenzia il praticissimo (e lunghissimo) Manuale di diritto europeo della non discriminazione realizzato dalla FRA e che raccoglie il quadro legale dell’UE così come la giurisprudenza della CEDU.
Anche nell’ordinamento italiano compare già l’identità di genere, dalla Convenzione di Istanbul – che deve essere applicata senza disparità dovute, tra le altre cose, all’identità di genere – alla riforma del 2018 dell’ordinamento penitenziario (legge 354/1975, che ha introdotto il divieto di discriminazioni anche per l’identità di genere del detenuto, così come la possibilità, per i detenuti che per essere gay o trans rischiano aggressioni o sopraffazioni, di essere assegnati ad apposite sezioni omogenee).
In coerenza con quanto affermato nella sentenza richiamata [quella del 2015 NdA], va ancora una volta rilevato come l’aspirazione del singolo alla corrispondenza del sesso attribuitogli nei registri anagrafici, al momento della nascita, con quello soggettivamente percepito e vissuto costituisca senz’altro espressione del diritto al riconoscimento dell’identità di genere. Nel sistema della legge n. 164 del 1982, ciò si realizza attraverso un procedimento giudiziale che garantisce, al contempo, sia il diritto del singolo individuo, sia quelle esigenze di certezza delle relazioni giuridiche, sulle quali si fonda il rilievo dei registri anagrafici.
La sentenza, in pratica, ribadisce la realtà: l’identità di genere corrisponde al genere intimamente percepito e vissuto. La legge 164 permette quindi di far sì che questa identità venga riconosciuta dallo Stato tramite la rettifica del sesso anagrafico. Insomma, il DDL Zan non inventa nulla, anzi ribadisce ciò che la Consulta dice da anni, inserendolo in un testo di legge.
Per quanto riguarda le Olimpiadi: su Butac ne abbiamo già parlato qui e qui. In ogni caso, chi oggi partecipa alle gare femminili o maschili continuerà a farlo, con o senza DDL Zan. Le due cose sono slegate, e per le Olimpiadi decidono i Tribunali Sportivi, a livello internazionale.
Sappiamo che il Parlamento italiano è costituito da Camera e Senato. In un regime di bicameralismo perfetto come il nostro, le leggi devono essere approvate con lo stesso identico testo da Camera e Senato. Se un’aula fa qualche modifica, il testo dev’essere approvato di nuovo dall’altra. Il DDL Zan, così com’è adesso, è già stato approvato alla Camera. Manca il Senato. A causa dell’ostruzionismo della destra, tra tonnellate di audizioni ed emendamenti inutili, i tempi che ci separano dalla discussione e votazione nella plenaria del Senato si prospettano davvero lunghi. E l’approvazione, nonostante i voti teoricamente ci siano, non è così scontata. Se il testo nel frattempo venisse modificato, questo dovrebbe tornare alla Camera per essere approvato di nuovo. C’è il rischio concreto che, per l’ennesima volta, questa legge rimanga nei cassetti del Senato: alla fine della legislatura mancano meno di due anni, sempre che il governo non cada e si vada a elezioni anticipate (le probabilità sono alte).
Il testo cui siamo arrivati è già il punto di arrivo di una lunga discussione fatta alla Camera. Quasi tutte le modifiche proposte ora sono o superflue (sarà ostruzionismo?) o proprio dannose, in quanto deliberatamente andrebbero a indebolire o snaturare una legge che già di suo non è Godzilla.
Vale davvero la pena rischiare così tanto (e per tanto intendo la vita della gente che viene picchiata o uccisa, giusto per capirci)? Secondo me no, e il fatto che il Servizio studi del Senato non abbia trovato nulla da specificare o correggere nel DDL Zan conferma la mia impressione.
La proposta presentata dalla Lega (il testo è qua) è radicalmente diversa dal DDL Zan. Prima di tutto, ha un impianto esclusivamente punitivo, senza occuparsi di difendere le vittime dopo il reato né di prevenire i crimini: come al solito, non si vuole capire (o ammettere) che le violenze non diminuiscono semplicemente minacciando le manette. Rifiutarsi di combattere l’omobitransfobia nella società, anche a partire dalla scuola, parandosi dietro lo scudo – che abbiamo dimostrato essere pretestuoso – della libertà delle opinioni, dimostra che non c’è la minima intenzione di fermare le violenze, ma solo di affossare la legge per accontentare e stimolare un elettorato che vede nei diritti degli altri una minaccia per i propri e per la moralità, e/o di mettere la propria bandierina sull’iniziativa.
Punto secondo, questa proposta modifica l’art. 61 c.p., ossia le circostanze aggravanti comuni, aggiungendovi “l’aver agito in ragione dell’origine etnica, credo religioso, nazionalità, sesso, orientamento sessuale, disabilità nonché nei confronti dei soggetti che versano nelle condizioni di cui all’articolo 90-quater del codice di procedura penale”, modificando poi altri articoli per limitare l’attenuazione della pena.
Qual è il problema? Che questa è una brutta copia dell’art 604-ter (che viene dalla legge Mancino), che esiste già ed è oggetto di modifica del DDL Zan! Per di più, per quanto riguarda i reati fondati sull’origine etnica ecc. questa legge fa proprio sovrapporre l’art. 61 con il 604-ter. Solo che il 61-bis prevede l’aumento della pena fino a un terzo, mentre il 604-ter (essendo un’aggravante speciale) fino alla metà: essendo la stessa identica aggravante, c’è pure il rischio che il giudice applichi quelle più lievi. Quindi si indebolisce anche la (sacrosanta) legge Mancino. Geniale.
Inoltre l’art. 61, nel Codice penale, è inserito semplicemente nella sezione che parla delle circostanze del reato, mentre il 604-ter è nel Titolo dei delitti contro la persona, nel Capo dei delitti contro la libertà individuale, nella Sezione dei delitti contro l’eguaglianza.
Infine, la nuova proposta esclude del tutto la tutela delle persone trans, che sono proprio le più esposte.
Capite la differenza sostanziale, non solo simbolica ma anche concreta?
Per ora la discussione avverrà congiuntamente, ma i due testi non sono stati fusi in uno solo (e il centrosinistra ha dichiarato di voler difendere il DDL Zan da questo tentativo).
Le altre parti di questo nostro speciale:
Patrick Jachini
con la revisione di Thomas
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