Il DDL Zan, tra bufale e realtà [Vol. 3]
Ancora qualche chiarimento sul DDL Zan...
Ancora una volta analizziamo il molto discusso DDL Zan, stavolta rispondendo ad alcuni dei più popolari e importanti dubbi riguardo gli effetti sull’uguaglianza, le iniziative nelle scuole, il femminismo, il sesso e il genere.
Le altre parti del nostro speciale sul DDL Zan:
Il DDL Zan discrimina gli uomini o gli eterosessuali?
No. Il DDL Zan parla di sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere, senza riferirsi in modo specifico a un sesso, a un orientamento e così via. Del resto, è quello che è stato fatto nel 1975 con quello che ora è l’art. 604-bis: si puniscono infatti i crimini motivati dall’appartenenza a un gruppo nazionale, etnico o razziale. Anche se lo scopo primario della legge è proteggere le minoranze, questa formulazione copre tutti, così da rispettare l’uguaglianza formale stabilita dall’art. 3 della Costituzione. Allo stesso modo, non si parla di omosessualità o transessualità, ma si usano termini generici proprio per coprire tutti, perfino i maschi etero cis. In questo modo si proteggono le donne e le minoranze LGBT dalle continue discriminazioni e violenze, ma senza metterle in una posizione di vantaggio (anche se solo teorico) rispetto agli altri, anzi: sono messi tutti sullo stesso piano.
Il DDL Zan considera le donne deboli o una minoranza?
No. Il DDL Zan è nato effettivamente con l’obiettivo primario di combattere le violenze contro le minoranze LGBT, ma poi è stato esteso anche a tutela delle donne e delle persone disabili. Per quale motivo? Perché tutte queste categorie di persone (spesso sovrapposte) subiscono gravi violazioni dei propri diritti, delle proprie libertà e della propria dignità, anche se in modo diverso. Estendere le tutele del 604-bis alle donne rafforza gli strumenti di contrasto ai reati contro di loro: è vero che ci sarebbero tante altre cose ben più incisive da fare, ma rinunciare a questa sfaccettatura della legge significherebbe sprecare un’occasione per fare anche solo un piccolo passo avanti.
Ritengo inoltre interessante quest’intervista a un’attivista favorevole al DDL Zan, che fa notare come le discriminazioni contro le donne e contro le minoranze LGBT abbiano in realtà una matrice comune: quella patriarcale.
Il DDL Zan introduce il gender nelle scuole?
Partiamo da un presupposto fondamentale: come spiega questo articolo, l’ideologia o teoria gender NON esiste. I vostri figli non verranno esposti a teorie assurde che negano l’esistenza del sesso biologico o delle differenze tra uomo e donna, non gli insegneranno a essere gay o trans, a fare sesso o a masturbarsi.
Tutto questo semplicemente non esiste, e chi vi vuole convincere del contrario vi sta prendendo in giro e ammette di non sapere di cosa parla. È pura propaganda, anche perché progetti e attività vengono scelti dalle scuole, ascoltando insegnanti e genitori. Qui su Butac potete trovare decine di articoli che fanno chiarezza, andando oltre i titoli indignati. Questo scalpore serve a certe persone per imporre il loro stile di vita e la propria morale religiosa agli altri, instillando la paura che l’educazione sessuale corrompa la morale dei bambini.
Ma il DDL Zan non parla di educazione sessuale, bensì di una Giornata – che esiste già a livello internazionale – contro l’Omobitransfobia. Le attività organizzate dalle scuole dovranno avere lo scopo “di promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere, in attuazione dei princìpi di eguaglianza e di pari dignità sociale sanciti dalla Costituzione”.
A me sembra tutto normale: la scuola è sempre stata fondamentale per educare al rispetto e all’uguaglianza, per combattere i pregiudizi, l’odio e la violenza fin da piccoli. Si fa giustamente da anni con i progetti contro il bullismo e il razzismo, perché non si dovrebbe fare contro l’omofobia? Tanti ragazzi e ragazze gay o trans subiscono queste violenze tutti i giorni a scuola, spesso con effetti devastanti (alcuni arrivano a togliersi la vita per l’esasperazione): perché non dovremmo proteggerli? Sapere cosa vuol dire essere gay o trans non vuol dire diventarlo (non è contagioso), ma ci libera dalla paura, dai pregiudizi e anche dai legittimi dubbi, e ci aiuta a stare con gli altri pacificamente. A chi dà fastidio ostacolare i progetti che promuovono il rispetto?
Il femminismo radicale è davvero maggioritario?
Le rad-fem (spesso definite negativamente TERF: cosa significa e perché viene usato è spiegato qui) sostengono di parlare a nome della maggioranza del femminismo italiano. Come in tutte le cose, ci sono diverse correnti di pensiero all’interno del femminismo, e molte pensano che quella radicale non sia quella prevalente, nonostante la forte presenza mediatica. Ci sono infatti altrettante voci di posizioni opposte, a partire da quello che è il femminismo inclusivo o transfemminismo, che si definisce intersezionale: si occupa dei diritti delle donne non solo nelle dinamiche uomo/donna, ma anche in quelle LGBT, razziali e di classe. È la corrente cui aderisce Non Una Di Meno, movimento molto recente ma altrettanto partecipato, massicciamente presente nelle tante manifestazioni e mobilitazioni femministe degli ultimi anni. Il movimento ha espresso una posizione molto netta in questo post.
E a partire dai nostri corpi sappiamo che non ci sono verità nel sesso biologico, ma condizioni materiali di oppressione che su quel sesso si costruiscono. Per questo lottiamo anche per dare spazio a identità di genere impreviste e imprevedibili. E di questa lotta le persone trans e non binarie sono parte integrante.
Anche altre attiviste hanno firmato appelli e articoli come questo e questo.
Insomma, soprattutto tra le più giovani, l’approccio inclusivo e intersezionale è probabilmente il più popolare.
Il sesso viene sostituito dal genere?
Partiamo dai concetti generali: il sesso, volendo semplificare, è quello biologico, anatomico, con cui si nasce. Di base, i sessi sono due: uomo e donna, ma a volte la distinzione non è così netta, come per le persone intersessuali. Per modificare il proprio sesso (sarebbe più corretto parlare di caratteristiche sessuali, che sono molteplici) si possono trasformare gli organi sessuali, si possono assumere ormoni, ma il DNA chiaramente non cambia. A livello anagrafico, però, è possibile far coincidere il sesso con il genere in cui ci si identifica, secondo le procedure stabilite per legge.
Viene quindi spontaneo chiedersi: cos’è il genere?
Una buona definizione di genere è quella fornita dall’art. 3 della Convenzione di Istanbul (ratificata dall’Italia la scorsa legislatura), che al comma c) dice:
Con il termine “genere” ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini;
Il genere (come il femminismo sostiene da decenni) è un costrutto sociale: consiste nel ruolo e nelle caratteristiche che la società e la cultura attribuiscono ai due sessi. In fondo sono stereotipi, e cambiano secondo la storia, la religione e le tradizioni locali. Anche se meno di un tempo, in Italia esistono ancora distinti ruoli di genere, sia negli aspetti più innocui – modi di fare o apparire – che in quelli più lesivi: non di rado la donna viene percepita in subordinazione all’uomo, se non proprio una sua proprietà. Le notizie di cronaca nera a riguardo ormai non si contano più. Da questo nasce il concetto di violenza di genere (da cui deriva la distinzione del femminicidio dal comune omicidio). Un utilissimo documento informativo riguardo alla Convenzione, redatto dal Consiglio d’Europa, spiega infatti che:
Lo scopo di questo termine [violenza di genere NdA] non è di sostituire la definizione biologica di “sesso”, né i termini “donne” e “uomini” ma sottolineare che le disuguaglianze, gli stereotipi e di conseguenza la violenza non derivano da differenze biologiche quanto piuttosto da una costruzione sociale, in particolare da atteggiamenti e percezioni dei ruoli che le donne e gli uomini hanno e dovrebbero avere nella società.
Nella maggior parte dei casi, quindi, le discriminazioni per genere e quelle per sesso coincidono, in quanto il genere si basa proprio sul sesso. Perché, allora, il DDL parla separatamente di discriminazioni di genere?
La definizione che il DDL Zan fornisce in realtà corrisponde alle “espressioni di genere”, cioè il modo in cui una persona esprime l’appartenenza al proprio genere, in modo conforme o meno agli stereotipi (parliamo di modo di fare, parlare, truccarsi, vestire e così via). Qui il senso è che le discriminazioni in base al genere (in quanto ruolo sociale) sono di solito quelle in cui qualcuno viene trattato in modo diverso per il solo fatto di comportarsi o apparire diversamente da come ci si aspetterebbe (cioè dal genere, che infatti si definisce come “il complesso dei caratteri essenziali e distintivi di una categoria”) da un appartenente a quel sesso. Va detto, il ragionamento non è linearissimo, ma ha una sua coerenza interna, e la fattispecie mi sembra comunque chiara.
Tutto questo andrebbe a sostituire di nascosto il sesso con il genere? No, in quanto tutto il nostro ordinamento, nel distinguere tra uomini e donne, parla sempre di sesso, a partire proprio dalla Costituzione, negli articoli 3 e 51, così come nel Codice delle Pari Opportunità o nel TUEL. Il genere compare quasi solo nell’espressione “violenza di genere”. Ci sono però rari casi in cui il genere viene usato come sinonimo di sesso (la sovrapposizione quindi è in vecchie leggi, non in questa!). Gli unici che ho trovato sono la legge sulle quote rosa nelle società quotate e l’attuale legge elettorale (qui Senato, qui Camera) – limitatamente alle liste elettorali. È evidente che ci si riferisce comunque al sesso, in quanto il genere non è presente in alcun documento e quindi non è legalmente dimostrabile (ma si presume corrisponda al sesso). In ogni caso, negli anni passati dalla promulgazione di queste leggi non mi sembra che i CdA o le aule parlamentari siano stati invasi da uomini che, desiderosi di arraffare i posti riservati alle donne, si dichiarano tali. Proprio per il motivo sopracitato: per legge è il sesso (anagrafico) a fare fede.
Insomma, scardinare il sesso come elemento di identificazione mi sembra nei fatti molto difficile (praticamente incostituzionale). E il DDL Zan non ci prova nemmeno.
Nella prossima parte, rispondiamo alle domande:
- Cos’è l’identità di genere?
- Il DDL Zan danneggia i diritti delle donne?
- Perché non si vuole modificare il DDL Zan?
- Perché la proposta della Lega non va bene?
Le altre parti del nostro speciale sul DDL Zan:
Patrick Jachini
con la revisione di Thomas
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