Effetti da studiare: Werther e Papageno

Perché non ci si può improvvisare esperti parlando di suicidio

Sul canale Telegram di Matteo Gracis nei giorni scorsi è apparso un video dove Gracis se la prende con i giornali che non hanno dato sufficiente visibilità a un fatto di cronaca tragica dei giorni scorsi.

Gracis fa un classico video emozionale (se non avete ancora visto il video di AnDREAM sul linguaggio emotivo potete recuperarlo qui), di quelli che sappiamo piacciono al pubblico che lo segue. Si scaglia contro tutti i media, eccetto lui – che essendo il fondatore di una testata giornalistica è a sua volta parte dei media – buono e puro, che è lì a ricordarci perché dovremmo dargli ascolto su tutto.

Matteo parla di un suicidio, e spiega ai suoi fan che solo lui continua a parlarne e a tener vivo l’interesse per quel fatto di cronaca, contro tutti gli altri che, a detta sua, se ne fregano.

Guarda caso il titolo del video è proprio:

Della studentessa suicida non frega niente a nessuno!

Ed è quello che ripete nel minuto e dieci di durata del suo video. Noi di BUTAC riteniamo che dietro il silenzio di tanti media ci siano motivi ben più profondi del menefreghismo, motivi che forse Matteo non ha ben chiari anche se un giornalista dovrebbe conoscerli bene. Per aiutare Matteo a ricordare le basi necessarie a fare bene il suo lavoro, come già fatto altre volte, ecco di seguito un ripassino.

L’effetto Werther

Vedete, già nel 2017 cercammo di spiegare su queste pagine cosa fosse l’effetto Werther e perché di una materia così delicata come il suicidio e la depressione (specie nei giovani) è meglio che si lascino parlare gli esperti, io non lo sono e nemmeno Gracis lo è. E proprio perché qui su BUTAC non siamo tuttologi nel 2017, prima di affrontare l’argomento, ci siamo documentati con attenzione, scoprendo che esistevano linee guida per chi, sui media, volesse parlare di fatti di cronaca riguardanti suicidi, linee guida che spiegavano cosa fosse il Werther effect, l’effetto Werther, e perché, se si decide di riportare eventi di questo genere, vada fatto con grande attenzione. Spiega infatti l’OMS:

La prima prova dell’impatto dei media sul comportamento suicidario è stata fornita alla fine XVIII secolo quando Goethe pubblicò I dolori del giovane Werther, in cui Werther si spara perché si innamora di una donna che è fuori dalla sua portata. Il romanzo fu considerato il motivo di un’ondata di suicidi che attreversò tutta Europa. Molti di coloro che si uccidevano erano vestiti in modo simile a Werther e adottarono il suo metodo o furono trovati con una copia del libro di Goethe. Di conseguenza il libro, all’epoca, fu vietato in diversi paesi europei.

Da qui appunto il nome “effetto Werther”. Spiega ancora l’OMS:

L’evidenza di comportamenti suicidari imitativi verificatisi in risposta alla segnalazione o la rappresentazione del suicidio rimase aneddotica fino agli anni ’70, quando Phillips pubblicò uno studio che ha confrontato retrospettivamente il numero di suicidi avvenuti nei mesi in cui un articolo in prima pagina sul suicidio è apparso sulla stampa degli Stati Uniti con il numero che avvenuta nei mesi in cui non è apparso tale articolo. Durante il periodo di studio di 20 anni, ci sono stati 33 mesi durante i quali è stato pubblicato un articolo suicida in prima pagina, e così è stato un aumento significativo del numero di suicidi in 26 di quei 33 mesi. Effetti di imitazione sono stati trovati anche da Schmidtke & Häfner dopo la messa in onda di una serie televisiva.

Per questo motivo sui media si dovrebbe evitare di parlare di suicidio se non si hanno esperti che possano spiegare i fatti nella maniera corretta e dare tutte le informazioni necessarie a chi magari si trova in un periodo delicato della sua vita. Sì, perché oltre all’effetto Werther esiste un altro effetto…

L’effetto Papageno

Sempre l’OMS spiega:

…la segnalazione responsabile del suicidio può aiutare a educare il pubblico sul suicidio e la sua prevenzione, può incoraggiare le persone a rischio di suicidio a compiere azioni alternative e in generale può ispirare un dialogo più aperto e pieno di speranza. Storie che mostrano come la ricerca di aiuto (coping positivo) in circostanze avverse può rafforzare i fattori protettivi o fare da barriera al suicidio e quindi contribuire alla sua prevenzione. I racconti di suicidio sui media dovrebbero sempre includere informazioni su dove cercare aiuto, preferibilmente da servizi riconosciuti di prevenzione del suicidio disponibili 24 ore su 24, 7 giorni su 7.
Gli effetti protettivi dei resoconti responsabili dei media sul suicidio sono stati citati in la letteratura scientifica come “effetto Papageno”, dal nome del personaggio Papageno nell’opera di Mozart Il flauto magico, che diventa suicida quando teme di aver perso il suo amore, ma all’ultimo momento gli vengono in mente le alternative al suicidio e successivamente sceglie una via d’azione alternativa.

Gracis non segue queste indicazioni nel suo video, nemmeno da lontano, e questo non viene fatto neppure nell’articolo pubblicato sull’Indipendente, dove si punta il dito verso l’ambiente tossico dell’università, ma senza mai dare riferimenti a servizi per la prevenzione dei suicidi o a esperti che ne parlino nei giusti toni.

Sia chiaro, noi siamo d’accordo che della materia bisognerebbe parlarne di più, come della depressione, ma bisogna che i giornalisti, per farlo, siano disposti a dare spazio a chi può dare le informazioni corrette nella maniera corretta, senza rischiare che altri emulino il gesto, e magari cercando il più possibile di dare gli strumenti per cercare aiuto.

redazione at butac punto it

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