L’argomento di tendenza di questi giorni è il famoso DDL Zan, nome popolare dell’Atto Senato 2005 (potete leggere il testo in discussione qui), recante “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”.
Arriviamo tardi, lo so, ma abbiamo cercato di fare un’analisi super completa, dettagliata e verificabile. Potete fidarvi o controllare da voi le fonti linkate (L’Espresso ad esempio ha fatto un articolo molto più breve, ma qui ci piace essere puntigliosi – e prolissi).
Le altre parti del nostro speciale sul DDL Zan:
Mi ero già interessato alla questione quando la 2° Commissione Permanente (Giustizia) della Camera aveva approvato il testo base, nato dall’unificazione di diverse proposte di legge. Il testo iniziale, seguendo i pareri del Comitato per la Legislazione e quello delle altre Commissioni interessate, è stato quindi modificato nel suo passaggio in assemblea, migliorando notevolmente. La ratio rimane la stessa, ma:
I netti miglioramenti non hanno però unito tutto il Paese in sostegno di questa legge, che viene chiesta da decenni. Continua l’opposizione della destra (che da anni ripete le solite balle imprecisioni), ma emerge anche quella di alcune (poche) esponenti del centrosinistra o del femminismo radicale. Queste ultime hanno fatto molto scalpore, anche a causa di questo tweet del nostro caro, sempre un po’ avventato, Carlo Calenda.
La richiesta principale? Togliere dai motivi di discriminazione sanzionati l’identità di genere, e sostituirla con la transessualità. Il motivo? In parole povere, questa modifica continuerebbe a condannare le violenze contro le persone trans proteggendo però le donne da una sorta di “invasione” dei loro spazi protetti e dei loro diritti. Questa richiesta era già stata avanzata durante il passaggio alla Camera, ma, rimasta inascoltata, è stata riproposta al Senato.
A supporto di questa richiesta compaiono diversi articoli e appelli, come questo e questo. Molte di queste osservazioni, e anche altre, vengono espresse nella diretta trasmessa il 27 aprile 2021 sul canale YouTube di RadFem Italia dalle partecipanti, che includono la stessa Marina Terragni, Francesca Izzo e altre attiviste.
Per le loro posizioni sono state duramente attaccate (come d’altronde succede da anni in tutto il mondo). Ovviamente condanniamo ogni minaccia o espressione che travalica il diritto di critica e scade nella gretta violenza, ma invito a non pensare che la forma – entro certi limiti – sia più importante dei contenuti. Analizziamoli.
Sì. L’ordinamento giuridico italiano in materia di diritti delle minoranze LGBT è rimasto molto indietro, e quello che abbiamo (le unioni civili) è frutto di una battaglia combattuta per decenni contro chi si è sempre ferocemente opposto a qualsiasi parità di diritti. Che poi sono gli stessi che oggi dicono che siamo tutti uguali e che quindi il DDL non serve, così come il Pride. Buffo, no?
Il fenomeno dell’omofobia e della transfobia nel nostro Paese è drammaticamente diffuso: non sono singoli episodi, ma una questione culturale. Solo pochi casi giungono sulle pagine dei giornali: il sommerso è inquantificabile. Le persone LGBT sono a rischio ogni singolo giorno; ogni atto di violenza non colpisce solo le vittime, ma ha effetti sull’intera comunità, con lo scopo di infondere paura e insicurezza. Se n’è occupato, tra gli altri, Simone Alliva, che ha scritto un libro proprio a questo riguardo.
Attualmente i reati commessi per omofobia e transfobia (così come per misoginia, e per abilismo, cioè contro le persone disabili, ancora molto discriminate) non sono puniti in modo specifico dalla legge. Spesso si ricorre all’uso delle aggravanti generiche ex art. 61 c.p (motivi futili o abietti), ma è solo uno stratagemma per ovviare alle mancanze della legge. In ogni caso, quelle sono aggravanti a reati che esistono già: attualmente le discriminazioni non sono reato. Riconoscere in modo specifico questi delitti è cosa buona e giusta non solo per facilitare i processi, ma anche per capire effettivamente, e in modo efficace, la loro diffusione a livello statistico. A chi dà fastidio chiamare le cose con il loro nome?
Questo permette quindi di punire le condotte discriminatorie e violente e la loro istigazione, e di aggravare le pene dei reati commessi per i suddetti moventi, escludendo però la propaganda e diffusione di idee, che continua a costituire reato solo quando si basano sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico.
Il DDL Zan non ha però un impianto esclusivamente punitivo (che avrebbe utilità limitata). Prevede infatti:
Non è la rivoluzione (mi aspettavo di più dalle lobby gay), ma è già qualcosa.
Nella prossima parte, rispondiamo alle domande:
Le altre parti del nostro speciale sul DDL Zan:
Patrick Jachini
con la revisione di Thomas
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