“Malattia incurabile”, perché bisognerebbe smettere?
È morta la figlia di Piersanti Mattarella, e la notizia ha fatto il giro delle redazioni, anche per esprimere cordoglio allo zio, nostro Presidente della Repubblica in carica.
I titoli che hanno circolato sulle varie testate riportavano tutti l’informazione che Maria Mattarella avesse una malattia incurabile, e io ho deciso che era giunto il momento di togliermi questo sassolino dalla scarpa.
Da quando sono nato, in casa mia sento a volte parlare di malattie innominabili, malattie che solo crescendo ho scoperto che, nel 99% dei casi, altro non erano che casi di tumori di diverso genere.
La ragione per cui in casa se ne parlava sottovoce, evitando di nominare il cancro, era per esorcizzarlo, quasi come se fosse una malattia che arriva solo se la nomini. Io capisco che l’ignoranza e la paura abbiano un peso in queste scelte, ma nel 2024, su quotidiani nazionali, perché non spiegare quale sia la malattia incurabile?
Forse perché i media hanno questa tendenza a voler sempre catturare l’attenzione del pubblico, e usare un termine come “malattia incurabile” serve a evocare paura, ovvero emozioni forti che spingono la curiosità morbosa a leggere il resto dell’articolo. Evitare di spiegare fin da subito che tal dei tali è morto per un tumore, preferire malore improvviso a ictus, infarto, e tante altre delle complicazioni inattese che possono colpire chiunque, appunto all’improvviso, serve a dare un’aura di mistero o di sensazionalismo che serve allo scopo, vendere copie, attirare click.
Il problema però è grave, perché quest’abitudine, questo tabù che non ci permette di chiamare le cose nella maniera corretta, fa sì che poi chi una malattia grave ce l’ha sente quasi doversene vergognare. Ed evita di dire agli altri di cosa soffre, per paura dello stigma sociale, per paura che gli altri lo vedano in maniera diversa.
Ad esempio malattie come l’HIV o il cancro hanno subito questa stigmatizzazione perché considerate “sentenze di morte” (sebbene chi aveva contratto l’HIV subisse anche una colpevolizzazione diretta, essendo l’infezione causata nella maggior parte dei casi da comportamenti a rischio), nonostante i progressi medici che oggi, in molti casi, le hanno trasformate in condizioni trattabili. Il linguaggio contribuisce a creare paure ingiustificate e alimentare pregiudizi. Una malattia incurabile oltretutto non è detto che debba essere una condanna a morte, esistono svariate condizioni mediche per le quali purtroppo finora non è stata trovata una cura ma che, grazie alla scienza, sono gestibili fino a permettere al paziente di convivere con la malattia anche per molti anni, con una qualità della vita buona, basti pensare ad esempio al diabete o appunto all’HIV.
La scienza ha dimostrato che molte malattie non possono essere “curate” nel senso tradizionale del termine, ma possono essere trattate con successo. Scegliere il termine “incurabile” ignora questo progresso e rafforza una visione fatalista, che non è utile né per i pazienti, né per la ricerca medica che non vede riconosciuto il suo impegno, né di conseguenza per la società nel suo complesso.
Chissà che qualcuno non faccia girare questo nostro articolo nelle tante redazioni ancora dedite a questa pratica, perché vedete: il primo posto dove questa abitudine dovrebbe svanire sono proprio i media. Se sui giornali, in TV, nei TG si cominciassero a usare i termini corretti fin da subito il linguaggio cambierebbe anche tra le persone comuni, che comincerebbero a normalizzare il poter parlare liberamente di queste malattie, primo passo per eliminare lo stigma.
Se mi avete letto fin qui grazie, so che quanto sopra non ha nulla a che vedere con le bufale, anche se a mio avviso c’entra invece molto con la disinformazione dei media.
maicolengel at butac punto it
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