Mattarella non ha “liquidato” i debunker
Il 19 giugno scorso, in occasione del 70° anniversario della costituzione dell’Unione Stampa Periodica Italiana, il Presidente della Repubblica ha inviato un messaggio che alcuni hanno interpretato in maniera manipolatoria. Il blog di Nicola Porro, ad esempio, ha titolato l’articolo così:
Pure Mattarella liquida i debunker: “No ai certificatori di news”
Carlo Toto, il firmatario dell’articolo, riporta le parole del Presidente Mattarella in occasione dei settant’anni dell’USPI, sottolineando che “la autenticità dell’informazione è affidata, dalle leggi, alla professionalità e deontologia di ciascun giornalista” e che sarebbe “fuorviante e contraddittorio con le stesse disposizioni costituzionali immaginare che organismi terzi possano ricevere incarico di certificatori della liceità dei flussi informativi”.
Toto riporta:
L’analisi del Presidente della Repubblica è condivisibile, soprattutto in un tempo in cui in nome della guerra alle fake news c’è chi lavora per limitare la libertà di espressione altrui. Debunker, cacciatori di presunte bufale, guardiani delle news e via dicendo: il pluralismo dell’informazione è importante, così come la sua accuratezza, ma non si può delegare a nessuno il “controllo” sui flussi informativi. Dice bene il Capo dello Stato: tutto sta alla deontologia dei giornalisti, all’attenzione del lettore, ma affidare a una società esterna (o padroni dei social network) il potere di scegliere cosa è giusto leggere e cosa no rischia di trasformarsi in un incubo orwelliano. Perché all’inferno si scende a piccoli passi: si parte dall’etichettare come “fuorviante” una notizia considerata “falsa” e si arriva a censurare la libera espressione delle idee. Niente di più pericoloso.
Chi segue BUTAC sa benissimo che nessuno della nostra squadra è mai stato tifoso della censura, ma vorremmo che fosse chiaro che Mattarella non ha “liquidato i debunker”, bensì si è limitato a ripetere quanto è appunto presente nella nostra Costituzione, ovvero che non è previsto un organismo che si occupi di certificare la liceità dei flussi informativi, ma, come specificato chiaramente nella frase subito prima:
La autenticità dell’informazione è affidata, dalle leggi, alla professionalità e deontologia di ciascun giornalista.
Ovvero, la responsabilità di verificare le informazioni, secondo codice deontologico, spetta al giornalista stesso. Purtroppo, in Italia chi dovrebbe vigilare sul rispetto del codice deontologico lo fa solo su segnalazione ed esposto, lasciando liberi tanti giornalisti di scrivere la qualunque, senza fare la benché minima verifica. Nessuno dei fact-checker oggi in attività sta lavorando per limitare la libertà d’espressione altrui: se fosse così, quando fummo chiamati a dare nostri suggerimenti di fronte alla Commissione Diritti e Doveri di Internet del nostro governo, avremmo sostenuto le proposte di legge che appunto volevano imporre un certo tipo di censura. E invece in quell’occasione, già nel 2017, non facemmo altro che ribadire lo stesso concetto (qui ripreso in un piccolo editoriale di quell’anno):
BUTAC da sempre si batte CONTRO la censura. L’abbiamo detto chiaro e tondo di fronte alla Commissione Diritti e Doveri di Internet, l’abbiamo ripetuto ai tavoli della commissione sulle Fake News, e lo spieghiamo da quattro anni sul blog. La censura non porta niente di buono, ma per certi soggetti usarla fa comodo. Che si tratti di governanti che vogliono spaventare o di opposizioni che vogliono dare a intendere di essere stati messi a tacere.
Ma a certi soggetti fa comodo dare a intendere che i fact-checker vogliano fare i censori della libertà altrui. Non è così: i fact-checker vogliono solo poter fare quel che sanno fare, ovvero vogliono sentirsi liberi di fare verifiche senza venire denunciati a ogni articolo, senza vedere legioni di avvocati a cercare di metterci i bastoni fra le ruote. E invece, da sempre, ogni volta che tocchiamo certi tasti, ogni volta che i nostri articoli hanno per oggetto certe realtà subito riceviamo raccomandate, PEC, messaggi minatori. Tentativi di zittirci.
Noi, in dieci anni di attività, abbiamo fatto due querele per diffamazione, di cui una contro la redazione del quotidiano di cui Porro è attualmente vicedirettore, svariati anni fa, querela che fu vinta e portò a una correzione (sul cartaceo) di un articolo dove si sosteneva che io, e gli altri colleghi, fossimo stipendiati dall’allora Presidente della Camera Laura Boldrini. Notizia falsa.
Quello che vorremmo fosse chiaro è che in generale censura e organismi certificatori non ci piacciono, e su questo concordiamo con Toto, perché la libertà di espressione – quando non scade nella diffamazione, nella diffusione di falsità conclamate o peggio nel procurato allarme – va sempre difesa strenuamente. Anche quando chi sta parlando dice cose con cui non concordiamo. Se dice bugie, però, deve essere difesa anche la libertà di chi quelle bugie le verifica e le mostra ai propri lettori.
Tra i mezzi per certificare le fake news qualche tempo fa si era pensato che si potesse usare la Blockchain, ecco, perché non si dica che non l’abbiamo detto: siamo assolutamente contrari anche a quel metodo di certificazione.
Non credo di poter aggiungere altro.
maicolengel at butac punto it
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