La classifica sulla libertà di stampa in Italia
Cerchiamo di fare chiarezza su un vecchio leitmotiv
Ci capita sempre più spesso di sentire citare la famosa classifica riguardante la libertà di stampa, classifica dove, come ben dovreste sapere, l’Italia non è posizionata proprio bene.
Negli ultimi mesi l’abbiamo vista citare quella classifica con, a seguire, frasi del genere:
…a volte vorrei poter ascoltare in tv (dove la massa si informa) anche qualche medico fuori dal coro, ma ovviamente questo non accade…
E chi le scrive è convinto che questo avvenga perché nel nostro Paese non c’è libertà di stampa, ma è una cavolata, di quelle molto grosse.
L’Italia è stata per molti anni considerata un Paese in cui la stampa era libera, secondo il rapporto su cui si basa la classifica stessa. Solo nel 2004 siamo diventati “parzialmente liberi”, il motivo? Lo spiegavano chiaramente nel rapporto, qui ripreso da Wikipedia:
…la controversa legge Gasparri del 2004 e la capacità del primo ministro di influenzare il servizio di trasmissione pubblica RAI, un conflitto di interessi tra i più flagranti del mondo.
La classifica tiene conto di vari aspetti: quello legale, quello politico e quello economico. Nel 2004 noi risultavamo con 33 punti, più basso è il punteggio meno influenze ha la stampa nazionale. Nel 2005 e 2006 la situazione peggiora ulteriormente e da 33 arriviamo a 35 punti: le influenze politiche sono aumentate. Oggi Freedom House non pubblica più una classifica come quelle di inizio anni 2000, in compenso esiste Reporters Sans Frontiers (in inglese Reporters Without Borders) che lo fa, e l’Italia in classifica si posiziona al 46esimo posto. Ma ripeto: questo non è perché ci sia un controllo statale su quanto viene pubblicato. La classifica dipende principalmente dalle influenze che contribuiscono a decidere come i giornali pubblicano le notizie. In Italia quel potere, esterno allo Stato, è molto più forte che in altri 40 Paesi. Le redazioni sono molto più piegate all’editore e ai suoi personali interessi di quanto non succeda ad esempio in Francia o Germania, ma anche in Botswana o nel Ghana.
I problemi italiani legati alla libertà di stampa sono tanti, perché abbiamo una legislazione sul tema che in parte si rifà a regole nate durante il periodo fascista. Come BUTAC potrei – ma lo evito, proprio perché so come funzionano queste cose – raccontarvi dei tanti tentativi di tapparci la bocca con minacce legali di vario tipo, anche da parte di testate giornalistiche nazionali. Potrei raccontarvi delle telefonate, anche alle sette di mattina, da parte di redazioni incazzate con noi per non averli avvertiti che avremmo parlato di loro, per non parlare dei tanti anonimi che diffamano il qui presente fondatore del sito senza che nessuno muova un dito.
L’Italia è indietro rispetto ad altri Paesi in queste classifiche anche per questi motivi. In una però siamo in testa: secondo l’organizzazione britannica Index on Censorship, infatti, siamo al primo posto nella classifica del 2018 per le intimidazioni ai giornalisti. Le intimidazioni che riceviamo noi non fanno testo, visto che come ben sapete io non sono un giornalista.
Tutto quest’articolo comunque era solo per spiegare nuovamente, per l’ennesima volta, che quando citate la classifica sulla libertà di stampa convinti che significhi un controllo governativo sull’informazione state cagando fuori dal vaso. In Italia, la libertà di stampa è sancita dalla Costituzione.
A maggio 2021 il presidente delle Federazione Nazionale della Stampa usava queste parole per introdurre il dossier sulla situazione della stampa italiana:
Al presidente della Camera Roberto Fico il dossier sui giornalisti intercettati dalla Procura di Trapani, sui cronisti minacciati, sulle querele bavaglio e sull’equo compenso degli ultimi, perché non è possibile che ci siano giornalisti che guadagnano cinque euro lavorando in contesti di pericolo e precarietà.
Sarebbe bello farsi qualche domanda, ma come ci ha fatto sapere la Ministra Cartabia le leggi in vigore permettono tutto questo.
Non credo di poter aggiungere altro, BUTAC finché ce lo sarà permesso va avanti.
La redazione di BUTAC
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