Qualche considerazione sul fact-checking

Una piccola riflessione sui fatti (e le conseguenze) degli scorsi giorni

Oggi niente fact-checking. Oggi un piccolo editoriale per trattare una questione di cui negli ultimi giorni si fa un gran parlare sul web italiano, una questione su cui in molti mi hanno contattato chiedendomi un parere, visto che in parte riguarda proprio l’attività di fact-checking. Sono felice di non essere mai stato visto come un influencer, e che BUTAC sia rimasto il blog di nicchia che se ne infischia di trattare le cose sulla base della loro viralità, ed è per questo che voglio condividere con voi le mie considerazioni su quanto secondo noi non va in questo modo di fare (pseudo)giornalismo.

Del fatto in sé non farò menzione, non serve, perché appunto quanto segue sono semplici considerazioni, probabilmente non richieste, ma che trovo corretto condividere con chi ci segue da tanti anni. Considerazioni che ho scritto oggi, ma che se ci leggete da tempo corrispondono a quanto sosteniamo da anni. Quanto segue è stato riadattato da un post che avevo condiviso su uno dei miei profili social.

Io sono un signor nessuno per la maggior parte del pubblico web, sono un fact-checker che ha scelto di non fare fact-checking su una notizia irrilevante che ritenevo e ritengo una non notizia che andava lasciata sparire, tanto era inutile.

I social, e chi li frequenta, purtroppo, tendono a esaltare gli aspetti peggiori della società. Non si può incolpare una sola categoria: siamo tutti responsabili in qualche modo. Sì, giornalisti e influencer hanno colpe immense in come stanno le cose oggi, ma non sono i soli. C’è chi partecipa a programmi televisivi discutibili, chi evita di criticare un editore utile ai propri interessi, chi ignora le menzogne di un direttore, chi non critica un collega per solidarietà professionale.

Le colpe sono condivise. Un grande problema nelle redazioni è questa costante ricerca di notizie inutili per attrarre lettori, a scapito della qualità. Non-notizie senza le quali staremmo bene lo stesso, la nostra vita non cambierebbe di una virgola, eppure le redazioni amano poterne pubblicare tutti i giorni. La fiera dell’inutilità. Che oltretutto rischia di distogliere la nostra attenzione da notizie che invece la meriterebbero molto di più.

Non importa se si tratta di fatti di cronaca italiana o di storie insignificanti pescate chissà dove. L’importante è che facciano clic. Alcuni pescano su Reddit, altri preferiscono il Daily Mail, o pubblicano giornalismo a tesi tralasciando intenzionalmente dati, omettendo voci. La disinformazione e le fake news non sono solo fenomeni legati ai populisti. Sono diffusi dai media di ogni genere e ingigantiti dalla mancanza di spirito critico dei lettori. Il problema è strutturale. Dovremmo riformare il modo in cui l’informazione viene diffusa e insegnare nelle scuole come evitare clickbait e sensazionalismo.

Se certi media non hanno lettori o spettatori, chiuderanno. Perché non permettere che questo accada, invece di difendere un settore che potrebbe migliorare solo scomparendo? I giornalisti di valore, come la Fenice, rinasceranno dalle proprie ceneri.

maicolengel at butac punto it

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