Google attacca l’informazione libera?
Da qualche giorno sembra che sia scattata l’ora X, tanti si lamentano, tanti gridano alla censura. Cosa sta succedendo? Nulla di scioccante, solo che Google Adsense, concessionaria pubblicitaria usata su miriadi di siti internet, sta bloccando gli annunci su determinate categorie di siti.
Questo lo fanno da sempre, hanno regole (che cambiano spesso oltretutto) che vanno rispettate, regole che hanno causato la perdita degli annunci anche su pagine come BUTAC negli scorsi anni, regole che se non vengono rispettate possono causare il blocco dell’account.
Ma non è in atto nessuna censura, non sono stati chiusi dei siti internet, non sono stati bloccati dall’indicizzazione online. No, solo che sono stati stretti i cordoni della borsa, e Google ha deciso che non pagherà più per la pubblicità su determinate categorie di siti.
Questo non significa affatto chiuderli, e non significa lasciarli in braghe di tela senza possibili entrate, esistono miriadi di agenzie che propongono pubblicità online, alcuni pagano anche meglio di Google. Chi ha un blog può rivolgersi senza fatica a uno di loro, come abbiamo fatto noi per quasi due anni.
E invece, ecco la levata degli scudi:
Stampatevi bene questa data nella testa: 27 gennaio 2017. Il giorno in cui gli effetti della campagna contro le cosiddette “fake news” (ma in realtà con l’obiettivo di colpire l’informazione libera e indipendete), orchestrata da Hillary Clinton, dal Parlamento Europeo, da Laura Boldrini, da Angela Merkel e da tutti quelli che hanno paura che l’informazione libera possa scalzare i loro privilegi e la loro posizione di forza, hanno iniziato a colpire anche in Italia, togliendo la linfa vitale della monetizzazione Adsense, con motivazioni che avrebbero del ridicolo o del tragicomico, se non rappresentassero qualcosa di ben più grave.
A me post come questo fanno sorridere, anche perché sono sempre personalizzati. Google è da dicembre che blocca account con motivazioni collegate alle fake news, ma la pubblicità dal blog del signore che si lamenta qui sopra è stata eliminata il 27 gennaio, quindi per lui è quella la data da scolpire nella roccia. Oltretutto ritiene che la colpa sia della Clinton, della Merkel e della Boldrini, senza rendersi conto che Google è un’azienda privata, una delle più ricche al mondo, è sua libera scelta decidere di seguire delle linee guida, come è sua libera scelta decidere se pagare questo o quest’altro sito per la pubblicità.
Siamo in libero mercato, siamo in democrazia, l’Unione Europea può lanciare tutti i diktat che vuole, ma se Google decide di non ascoltarla c’è poco da fare.
Tra i tanti che si lamentano ho visto svariati incolpare pagine come quella della nostra black list (scopiazzata e modificata da tanti altri blogger), sostenendo che Google possa aver preso i siti da eliminare da quella. Google a livello mondiale sostiene di aver cancellato la pubblicità (per ora) da 200 account, su oltre 500 che sono stati messi sotto osservazione. Spiegano abbastanza chiaramente cosa può essere considerata violazione:
What’s the policy?
Users don’t want to be misled by the content they engage with online. For this reason, Google ads may not be placed on pages that misrepresent, misstate, or conceal information about you, your content or the primary purpose of your web property.
Not acceptable
- Enticing users to engage with content under false or unclear pretenses
- “Phishing” for users’ information
- Promotion of content, products, or services using false, dishonest, or deceptive claims (e.g. “Get Rich Quick” schemes)
- Impersonating Google products
- Falsely implying having an affiliation with, or endorsement by, another individual, organization, product, or service
… alcuni tirano fuori Butac e la sua lista di bufale. Se Michelangelo Coltelli, così come Bufale.Net e ogni altro sedicente detentore di liste di proscrizione pubbliche non cessano immediatamente la loro opera di diffamazione nei confronti di questo blog, saranno querelati, e secondo la legge italiana chiunque amplifichi un contenuto diffamatorio, per esempio ripostandolo a sua volta, si rende a sua volta corresponsabile di diffamazione. Attribuire un’etichetta infamante a un blog che opera con serietà, sacrifici e successo da dieci anni è mancare di rispetto e infamare non soltanto l’autore, ma anche le centinaia, migliaia di intervistati eccellenti, tra giornalisti, economisti, docenti, filosofi, reduci di guerra, politici e intellettuali di primo piano che nel tempo hanno costituito l’ossatura, il dna del blog, così come schernire le centinaia di migliaia di persone che con il loro interesse hanno contribuito a generare decine di milioni di visualizzazioni video, decine di milioni di pagine viste, decine di milioni di contenuti condivisi sui social e così via.Non sono più disposto a permettere che tutte queste persone vengano infangate in maniera capziosa al solo fine strumentale di perseguire i propri interessi.
In questa black list figurano siti che usano il linguaggio giornalistico per scrivere articoli spesso basati sul nulla che portino acqua al loro mulino, qualunque esso sia. Può trattarsi di politica, religione, ideali. Sono siti che fanno male, perché molti di quelli che li leggono sono lì in quanto affini come idee, e non riescono a distinguere tra notizie reali e notizie alimentate solo dal tifo per questa o l’altra fazione, oppure copiano notizie da fonti non affidabili senza fare nessuna verifica.
AGGIORNAMENTO
il caso Messora verte sul fatto che lui usava contenuti audio-video di altri siti web nell’articolo contestato, e quelle fonti esterne erano la maggioranza del contenuto offerto (il contributo originale di Messora è invece di poche righe); contenuto su cui poi Messora monettizzava l’ad, ed è una prassi vietata esplicitamente dal contratto AdSense. Puoi farlo solo sui tuoi contenuti originali. Banalmente, è stato “pizzicato” dall’algoritmo facendo un semplice controllo incrociato sui referrer dei contenuti esterni ed internet, ed infine “misurandone” le rispettive quantità; il resto è stato un normale conteggio di bit
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