Il virus che attacca il cervello

Un nuovo coronavirus creato in laboratorio in Cina?

Ci avete segnalato un articolo de Il Sussidiario dal titolo:

Cina, creato coronavirus che attacca cervello con tasso di mortalità 100%/ “Rischio di trasmissione all’uomo”

Articolo pubblicato il 17 gennaio. La notizia in realtà circola anche su altre testate, sempre ripresa non dalla fonte bensì da testate come il Daily Mail o il New York Post, non il massimo dell’affidabilità. Perché giornalisti scelgano di fidarsi di testate notoriamente poco attendibili su temi come la medicina è qualcosa che continuo a non capire, ma evidentemente tra stipendi minimi e tempi brevissimi per scrivere articoli si sfrutta quello che porterà più visualizzazioni, ovvero il sensazionalismo.

Lo studio è stato effettivamente pubblicato su BioRxiv, in preprint, ovvero si tratta di uno studio che a oggi non ha passato ancora alcuna revisione.

Ma questo non è importante ai fini delle paure sottolineate su Il Sussidiario.

Creato un nuovo virus? NO!

Il coronavirus GX_P2V, utilizzato nello studio, è stato isolato da un coronavirus di pangolino nel 2017. Non si tratta di un “nuovo ceppo di COVID”, come alcuni titoli sensazionalistici hanno suggerito. Il virus GX_P2V tra le varie operazioni fatte in laboratorio ha subito mutazioni dalla sua forma originale, ma non è corretto affermare che i ricercatori abbiano “creato” il virus. Le mutazioni sono comuni nei coronavirus e il ceppo usato nello studio non ha fatto altro che adattarsi alle colture cellulari in cui è stato cresciuto. Come spiegano i colleghi di Snopes:

Poiché è noto che i coronavirus (e i virus in generale) mutano rapidamente le loro istruzioni genetiche, non sorprende che il virus utilizzato nello studio sia mutato dal momento in cui è stato isolato.

Nulla di nuovo.

Rilevanza dello studio

Lo studio è di piccole dimensioni, solo 12 topi che sono stati geneticamente modificati per contenere le proteine umane utilizzate dal SARS-CoV-2 per infettare le cellule. Di questi, solo quattro sono stati infettati con il virus vivo, tutti deceduti, indicando un tasso di letalità del 100%. Ma, come detto, il campione è troppo piccolo per trarre conclusioni definitive. Purtroppo, come spesso accade, viene dato risalto a qualsiasi articolo che, sfruttando il sensazionalismo, possa attirare lettori. Poco conta che faccia leva sulle paure dei lettori e che le ingigantisca anche senza che vi sia un reale pericolo (con la conseguenza di abituarsi ai continui allarmi e rischiare di sottovalutare le emergenze reali).

Sia chiaro, il fatto che si tratti di un preprint non significa che non vada preso in considerazione, ma come spiegato più volte anche qui su BUTAC i risultati di singoli studi scientifici in preprint vanno comunque presi con le pinze. Si tratta di materiale che, prima di essere riportato dai giornalisti come se fosse consolidato, andrebbe analizzato da altri scienziati, e i risultati andrebbero replicati su campione più ampio per verificarli fino in fondo.

Lo studio è stato realizzato allo scopo di individuare un modello che aiutasse a comprendere i meccanismi patogenetici dei virus correlati a SARS-CoV-2. Ma proprio su questo punto sono arrivate le critiche allo studio stesso. Come ad esempio da parte del prof. Francois Balloux, direttore del Genetics Institute dell’University College di Londra, che su X ha scritto:

Che tradotto:

Ho dato un’occhiata al preprint. È uno studio terribile, scientificamente totalmente inutile. Non vedo nulla di alcun interesse che si possa apprendere infettando forzatamente una strana razza di topi umanizzati con un virus a caso. Al contrario, ho potuto immaginare come cose del genere potrebbero andare storte…

Il dottor Song Li Hua, uno degli autori dello studio stesso, ha risposto a svariate delle critiche che sono state espresse con un lungo commento pubblicato su Sciencecast e che potete leggere nella sua interezza qui.

Crediamo che questo piccolo approfondimento corredato di link possa essere utile a quei giornalisti che ancora non hanno parlato di questo esperimento e che magari decideranno di farlo nei giorni a venire. Gli autori stessi dello studio spiegano che il rischio per la sicurezza biologica posto da GX_P2V(short_3UTR) è estremamente basso. Sarebbe il caso evitare allarmismi.

redazione at butac punto it

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