La manager da 100k dollari (australiani)

L'ennesima storia edificante di impegno e sacrificio che, con qualche approfondimento, si rivela un caso che non farebbe alcuna notizia - se solo venisse raccontato in maniera completa

Un nostro lettore ci segnala un’intervista – realizzata dal Corriere nell’ambito di un filone sugli italiani all’estero – a una ragazza di 27 anni che vive in Australia e afferma di guadagnare 100k dollari l’anno, dopo essere stata assunta a brevissima distanza dalla laurea (queste, almeno, sono le due informazioni salienti che ci dà il titolo). Non essendo un personaggio pubblico preferiamo evitare di menzionare il suo nome o mostrare la sua faccia: il nostro obiettivo con questo articolo non è prendersela con chi cerca un po’ di visibilità, ma casomai con i giornalisti che fanno il loro lavoro in maniera superficiale e fuorviante.

Nel mondo in generale, e sulla stampa in particolare, negli ultimi anni siamo ossessionati con chi arriva a venticinque, ventisette o al massimo trent’anni e, in qualche modo, ce l’ha “fatta”: se da un lato abbiamo i “giovani scansafatiche”, dall’altro abbiamo l’esempio di chi ha raggiunto i suoi incredibili obiettivi con le sole sue forze e il suo impegno, un modello con cui poi noi comuni mortali dobbiamo confrontarci tutti i giorni, soprattutto se abbiamo raggiunto i 27 anni e per caso non guadagniamo 100k dollari l’anno. Una dicotomia da cui sembra molto difficile uscire (anche nel corso dell’intervista stessa a farci caso, ma ne parliamo dopo). Facciamo solo presente che nel mondo reale di solito le cose non sono sempre tutte bianche o tutte nere, che possono succedere un milione di avvenimenti nella vita di una persona e che queste, nel bene o nel male, portano ad altre conseguenze. Ridurre tutto questo a una narrazione semplicistica da parabola biblica è utile solo al personaggio che viene messo sotto i riflettori in quel momento e al giornalista di turno che – con molto meno sforzo di quello necessario per fare un buon lavoro – anche oggi ha portato a casa la pagnotta.

Il nostro lettore lavora all’estero e ci dà qualche informazione in più per contestualizzare la “notizia”: riportiamo la sua mail più o meno integralmente.

[…] Ora, lo scopo del titolo è chiaro: fare leva sulla comune percezione dei giovani bistrattati in Italia, sull’idea dell’Eldorado (questa volta è l’Australia, ma quasi qualsiasi paese estero va bene sui giornali) e sull’enfatizzare il coraggio e forse il talento di una giovane che si sposta dall’altro lato del mondo a fare fortuna e a diventare una “Manager” che in Italia è sinonimo di persona di successo.
Il “100 mila dollari” poi è la ciliegina per il click.
Ora, essendo io un “Manager” e vivendo dall’altro capo del mondo per lavoro ormai da tempo, e masticando l’argomento, leggo l’intervista e mi rendo conto dell’inesistenza di alcun argomento dignitoso per una notizia.

1. Senza nulla togliere alla buona M., non si tratta di una talentuosa avventuriera che ha fatto grandi sacrifici per andare a lavorare all’estero. M. si è trovata a Melbourne già in età scolastica con tutta la famiglia per motivi lavorativi del padre che, come molti nelle sue condizioni, viene riallocato da un paese all’altro dalla multinazionale per cui lavora.
M. ha avuto il “privilegio” di viaggiare molto nella sua giovane vita e di poter scegliere anche, una volta indipendente, dove rimanere.
Nulla di male assolutamente. Spero che in futuro darò lo stesso privilegio ai miei figli. Certo fa specie sentirla giudicare i meno privilegiati:
«Vedo troppa gente che viene qui a lavorare senza organizzazione, senza visto, magari soltanto per aggiungere un’esperienza sul curriculum o per fare colpo su Instagram o sugli amici al bar. Durano tre mesi, poi salutano la compagnia. L’Australia non è un gioco»
Il problema è che il titolo passa totalmente un altro messaggio.

2. Cosa vuol dire guadagnare 100 mila dollari l’anno? Prima di tutto di questa cifra non si capisce nulla (dollari australiani, americani, lordi, netti, in quante mensilità, comprensivi di bonus o esclusi, etc.).
Guardando però un po’ di numeri in giro si evince facilmente che per un giovane con qualche anno di esperienza, in Australia è possibile guadagnare 100.000 AUD lordi l’anno. Probabilmente è questo il numero.
Ora, 100.000 AUD lordi significano circa 75.000 AUD netti. Diciamo quindi 6.250 AUD netti al mese (12 mesi).
Confrontiamo (tramite Numbeo) l’indice del costo vita Melbourne con Roma (mettiamo da parte Milano che sarebbe più comparabile con Sydney).
Secondo Numbeo, a parità di stile di vita, a fronte di 6.250 AUD a Melbourne, servono circa 5.000 AUD, ovvero 3.000 € a Roma. Quindi circa 58.000 € all’anno lordi.

Ebbene, sembra incredibile, ma non è inusuale per un giovane laureato in materie tecniche (come ingegneria o economia), avere 2-3 anni di esperienza a 27 anni e guadagnare sopra i 50 K€. Cominciando a 24-25 anni, a 27 in una grande multinazionale si può già prendere la prima posizione manageriale, e rompere il tetto di 50.000. Personalmente non sono stato tra i più brillanti dei mei colleghi, e ci ho messo 4 anni a raggiungere il risultato.

Ora, è la media? Assolutamente no! Siamo tutti d’accordo che in Italia la media stipendi è terrificante, confrontata con il costo vita. Così come siamo d’accordo che paesi come l’Australia offrono mediamente condizioni di vita nettamente migliore e ottime prospettive.
Ma snocciolare cifre esorbitanti senza alcun contesto, o commento, è inutile e dannoso.

3. “Sono manager in un’azienda di comunicazione, alla mia età in Italia sarebbe impossibile”
Penso di aver già chiarito sopra che essere Manager a 27 anni in Italia è POSSIBILE ed anche più comune di quanto si pensi. Il problema è la comprensione della gente per la parola Manager.
Solo in Italia ho visto dare a questa parola il sinonimo di persona di successo e di ampia disponibilità economica. Nel resto del mondo si da alla parola il suo significato: persona con mansioni di gestione. Se non sei un operativo, ma prendi decisioni anche semplici, sei già manager. E’ una job description, non un livello. In sé non dice assolutamente nulla della posizione di una persona.[…]

4. L’assunzione a 2 giorni dalla laurea, alla quale il giornalista risponde con “Addirittura”, è nuovamente una condizione comune in chi ha la fortuna di avere determinati background.

Perdonate nuovamente il riferimento personale, ma io come la maggior parte dei miei colleghi uscenti da lauree tecniche abbiamo quasi sempre firmato il nostro primo contratto prima della discussione finale.
Anche qui, non è la media. Purtroppo, abbiamo frotte di ottimi talenti a casa da anni, perché in Italia vasti campi professionali sono devastati e non offrono opportunità. In Australia la forchetta di ragazzi che possono trovare lavoro subito è molto più ampia.
Ma nuovamente detta così non vuol dire nulla.

[…]

Attendo da anni di leggere UN SOLO articolo dignitoso sulla situazione degli expat e ancora mi sa che dovrò attendere.

Quello che ha scritto il nostro lettore è sacrosanto: facile fare quello che che ce l’ha fatta raccontando solo quello che ci mostra nella luce che vogliamo, raccomandando di non “arrivare alla ventura”, insegnando addirittura quale atteggiamento bisogna avere, come se la protagonista della nostra storia fosse sbarcata in Australia con le sue sole forze, e grazie alle sue sole forze avesse raggiunto questi obiettivi presentati come incredibili (e che, come abbiamo visto poco sopra, così incredibili non sono), senza alle spalle una famiglia che è stata con lei per otto anni, che le ha permesso di non arrivare “alla ventura” e l’ha aiutata e supportata nel suo percorso di studi, come spiegato all’inizio dell’articolo del Corriere. Facile fare paragoni, dalla propria situazione privilegiata, con chi effettivamente deve trovare il coraggio di partire da solo, giocandosi tutto, con chi deve fare il sacrificio di lasciare la famiglia e dover mettere soldi da parte rinunciando a molte cose, magari per anni, solo per avere la possibilità di provarci, con chi l’impegno di dover ripartire da zero dall’altra parte del mondo e senza alcun appoggio deve prenderlo davvero, e spesso non ce la fa, quindi non merita nessuna intervista, nessuno spazio e sicuramente nessuna glorificazione. Facile giudicare gli sforzi degli altri e insegnare quale atteggiamento dovrebbero avere dal piedistallo di chi racconta la sua “edificante” storia su un giornale nazionale, probabilmente senza nemmeno rendersi conto che non tutti al mondo sono cresciuti nel centro di Milano da una famiglia che ci ha permesso di avere accesso a opportunità che molti altri si sognano, anche quelle di vivere e lavorare all’estero, anche quella di poter raccontare la propria “storia di successo” sul Corriere, ottendendo magari grazie a questo ulteriori opportunità.

Detto questo ci siamo messi a fare una breve ricerca online, e in tipo un minuto e mezzo abbiamo trovato il profilo LinkedIn e il sito di un’azienda in cui M. è “head of marketing”: si tratta della start-up di cui suo fratello risulta essere CEO e co-founder, e in cui la manager su LinkedIn dice di essere impiegata da tre mesi. M. ha comunque anni di esperienza nel suo campo e inoltre la start-up in questione è un progetto interessantissimo, facciamo quindi fatica a comprendere perché il suo lavoro attuale (non il ruolo, attenzione, sono due cose diverse) non compaiano nell’intervista e si parli invece di un’agenzia di comunicazione, probabilmente il lavoro precedente – anche se effettivamente entrambi gli impieghi, su LinkedIn, al momento risultano in corso, ed entrambi a tempo pieno: e visto che pare che il benessere psicologico del lavoratore e l’equilibrio tra vita privata e lavorativa siano tenuti molto in considerazione, come ci racconta M., non sarà che in Australia, se ci si impegna abbastanza, si riesce a ottenere addirittura delle giornate di 48 ore? E, nel caso, 100k l’anno non sarebbero pochini? Davvero strano, visto che l’intervista è incentrata proprio sul successo lavorativo, che nemmeno quando viene menzionato il fratello rimasto in Australia si racconti che lavorano insieme: probabilmente non era un dettaglio utile alla narrazione di impegno, dedizione e sacrificio che si voleva costruire, esemplificata dalla perentoria affermazione “L’Australia non è un gioco”.

Insomma, meglio fare un altro articolo in cui la morale è “laggente non c’ha più voglia di lavorare signora mia”, e “piove, governo ladro!” o parlare di qualcosa di effettivamente utile e interessante per il pubblico? La risposta sembra decisamente scontata.

redazione at butac punto it

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Foto di Marten Bjork su Unsplash