La minaccia dell’information disorder

Qualche riflessione sulla situazione della disinformazione in questo particolare momento storico

Nelle ultime settimane numerose testate giornalistiche hanno evidenziato come certi tipi di disinformazione siano in aumento. In particolare la disinformazione legata alla sicurezza internazionale, spesso descritta come una minaccia ibrida. Siccome ci riteniamo osservatori speciali della problematica information disorder, abbiamo pensato potesse essere cosa sensata riportarvi quanto circola e quanto abbiamo potuto osservare anche noi, visto che a quanto pare pochissimi in Italia sono interessati a portare la tematica all’attenzione dell’opinione pubblica.

I contenuti da rilanciare

Un ricercatore dell’Università di Barcellona, Matteo Pugliese, che si occupa di questi temi, ha spiegato in un’intervista a Repubblica come la disinformazione abbia raggiunto un nuovo livello di sofisticazione. Racconta Pugliese:

L’offensiva è diventata multivettoriale. Opera molto sui social, con il Corrispondente che produce il contenuto da rilanciare, proprio come faceva nel 2023 in Francia il sito rrn.word, su cui scriveva lo stesso Amedeo Avondet de il Corrispondente. Ma negli ultimi due mesi la propaganda sta usando studenti italiani e influencer, a Mosca e a Sochi, come Ornella Muti, Jorit, e Pupo che si è prestato a tenere un concerto al Cremlino.

Il Corrispondente è una testata in italiano legata a doppio filo alla disinformazione russa, una di quelle di cui si sono accorti anche i giornaloni; ma nell’ultimo anno noi fact-checker abbiamo visto un proliferare di siti simili al Corrispondente. La cosa più grave, però, a nostro avviso è notare come testate giornalistiche con un pubblico considerevole, ritenute di un certo livello di autorevolezza, siano cascate nella scelta di fonti decisamente discutibili.

Gli influencer

Oltre ai nomi di soggetti già noti, come quelli citati da Pugliese nella sua intervista a Repubblica, ce ne sono altri che andrebbero aggiunti. Durante la pandemia difatti abbiamo potuto notare l’ascesa di individui precedentemente sconosciuti che, diffondendo disinformazione sul COVID-19, sono diventati quello che oggi si definisce influencer. Soggetti che hanno cavalcato ogni genere di disinformazione pandemica e che ora magicamente si sono messi a supportare ogni possibile narrativa pro-Russia. Non staremo a fare nomi, significherebbe regalare loro ulteriore visibilità, ma alcuni hanno persino fondato partiti politici.

A conferma di questo il Guardian, citando Ester Chan, parte del gruppo di fact-checker australiani di First Draft, ha riportato che:

…gli influencer che in precedenza avevano manifestato contro i vaccini ora stanno rivolgendo il loro sostegno alla Russia.

Sempre al Guardian Mitchell Orenstein, professore di studi russi e dell’Europa orientale presso l’Università della Pennsylvania, ha spiegato che:

Gli argomenti promossi dalle fattorie dei troll e dai media statali russi sono spesso dettati da funzionari russi.

Il New World Order

La teoria del complotto sul New World Order viene sfruttata da questi soggetti, che possono piegarla a loro piacimento. Dal sostenere che i vaccini pre pandemia, in generale, servissero a decimare la popolazione mondiale per volere di pochi potenti (una teoria che non sta in piedi: perché decimare chi si adegua ai diktat e lasciare in vita i ribelli?) al sostenere che la pandemia è stata creata in laboratorio con lo stesso scopo (e a quel punto sarebbe davvero il vaccino a salvare chi segue il gregge ed eliminare i “liberi pensatori”), per arrivare a sostenere che solo soggetti sovranisti come potrebbero essere Putin (ma anche Trump) possano traghettare la società globale verso un futuro radioso. In questo contesto quei soggetti che avevano guadagnato notorietà durante la pandemia ora utilizzano la loro influenza per diffondere disinformazione populista e sovranista, spesso originata agenzie ben organizzate proprio allo scopo di diffondere costante disinformazione. L’interesse principale non è quello di convincere la gente di questa o quest’altra verità, ma generare confusione, fare sì che la gente non si fidi più di quanto legge o di quanto gli viene detto dai propri governanti. Tanto basta a creare un terreno fertile per populismi vari.

La catena delle segnalazioni

Noi di BUTAC inoltre, da alcuni mesi, abbiamo notato una cosa che ci ha allarmato un po’ e che riteniamo possa essere interessante riportare in questo contesto. Da circa sei mesi, o forse un po’ di più, abbiamo iniziato a ricevere segnalazioni insolite: e-mail in lingua inglese che ci chiedono di andare a verificare notizie che noi in Italia non abbiamo praticamente visto circolare. All’inizio credevamo si trattasse di e-mail che ci raggiungevano perché siamo stati più volte intervistati da studenti stranieri interessati alla diffusione della disinformazione sul territorio europeo. In certi casi abbiamo anche trattato le segnalazioni che leggevamo. Ma più passava il tempo più era evidente che le cose non fossero così semplici.

Cerchiamo di spiegarci meglio: BUTAC riceve quotidianamente messaggi per segnalare notizie che i nostri lettori ritengono che andrebbero verificate. Succede via Facebook e via e-mail, ma anche via WhatsApp; prevalentemente si tratta di segnalazioni che arrivano dall’Italia, più raramente arrivano mail da italiani residenti all’estero.

Recentemente sono cominciate ad arrivare, con una certa regolarità, segnalazioni in inglese, soprattutto riguardanti il conflitto tra Russia e Ucraina, segnalazioni che arrivano da account che sembrano essere stati creati appositamente per inviare queste mail.

Abbiamo chiesto ad altri colleghi, sia in Italia che all’estero, se anche loro le ricevono, e la risposta è stata positiva: i fact-checker sparsi per l’Europa stanno ricevendo sistematicamente mail che invitano a visitare link Telegram e similari. Certi colleghi hanno scelto, come noi, di non guardarle più, altri le aprono usando browser su PC specifici fatti apposta per evitare rischi, altri ancora le trattano come comuni segnalazioni.

Non abbiamo ancora compreso il motivo di questa strategia, che potrebbe essere un tentativo di distrarre i fact-checker o, forse, di indurli a seguire link dannosi, ma non sta a noi indagare in quel senso. Sarebbe molto bello che chi, a differenza nostra, ha fondi e organizzazioni alle spalle, se ne occupasse in maniera più incisiva, ma finora ogni nostra segnalazione in merito ci è sembrata non generare particolare interesse.

Un mare di BOT

Nel frattempo, a febbraio, il servizio di sicurezza ucraino ha riferito di aver bloccato circa 7000 bot che diffondevano disinformazione sul conflitto attraverso piattaforme come Telegram, WhatsApp e Viber. Quello però che pare evidente è che le notizie non siano generate da IA, ma che sfruttino i BOT per la loro diffusione in rete.

La nostra redazione, composta da volontari, non ha le risorse per analizzare questi fenomeni in maniera approfondita, ma abbiamo condiviso le nostre preoccupazioni con colleghi e giornalisti internazionali e ora anche con voi che ci leggete.

Chissà che non si smuova qualcuno.

Concludendo

La cosa che ci lascia perplessi è che negli ultimi mesi siamo stati coinvolti più di una volta da studenti universitari all’estero, studenti che ci hanno intervistato nell’ottica di campagne mirate a contrastare la disinformazione in vista delle elezioni europee di quest’anno. Disinformazione che in Paesi come l’Italia dilaga indisturbata, senza che nessuno sembri preoccuparsene più di tanto.

maicolengel at butac punto it

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